DOMENICA E GLI ALTRI: LE FERITE DEI TRAUMI

Questa è la storia di Domenica, 85 anni, di Appignano del Tronto. La casa fortemente lesionata dal terremoto del 2016, non vuole lasciare i luoghi in cui ha vissuto e si trasferisce in una RSA. Muore due anni fa per sovradosaggio da benzodiazepine.
Perché ne parlo oggi? Perché si aggiunge alle tante storie che non conosciamo, e altre ne sono venute in questi mesi, altre che parlano di traumi inizialmente nascosti e che poi scavano sempre di più. L’indagine su Domenica è aperta, ma comunque sia andata, resta il fatto che Domenica, e tanti come lei, hanno aspettato invano che qualcosa cambiasse, e che ci fosse la possibilità di un ritorno.
Molti amici mi dicono che questa fase è più traumatica dei giorni in cui eravamo chiusi a casa. Confermo. Perché ancora non abbiamo avuto il tempo di metabolizzare nulla, e ancora abbiamo paura, e se per caso usciamo e incontriamo qualcuno passiamo le giornate successive a interrogarci e chiederci se siamo stati imprudenti. Per non parlar del resto (il lavoro, e per molti la miseria vera).
E noi siamo comunque i salvati, almeno da questa prima ondata. In uno dei suoi bellissimi reportage su Internazionale, Annalisa Camilli spiega cosa succede nei paesi che sono stati decimati:
“Questa situazione ha lasciato degli strascichi indelebili, delle ferite psicologiche diffuse in tutta la comunità, anche se di questo tema si fa molta fatica a parlare. Una recente indagine dell’istituto Mario Negri ha messo in luce che tra tutte le province della Lombardia quella di Bergamo è quella in cui la pandemia ha lasciato più conseguenze di tipo psicologico nelle persone. Quasi il 50 per cento degli intervistati ha dichiarato di avere sintomi di stress psicologico, il 5,3 ha dichiarato di avere sintomi gravi.
Maurizio Bonati, responsabile del dipartimento di salute pubblica dell’istituto Mario Negri, ha spiegato che “considerando i dati provenienti dalla regione Lombardia, è stata osservata una correlazione negativa tra il disturbo psicologico e la distanza dal luogo di residenza da una zona considerata rossa, quella tra Nembro e Alzano. Più ci si allontana, con un modello di propagazione circolare, e più i sintomi diminuiscono”. I sintomi peggiori sono stati rilevati “fino a 25 chilometri dalla zona rossa, in particolare di grave sofferenza fino a 15 chilometri”.
Il rischio tuttavia è che nella fase in cui ci troviamo, si volti velocemente le spalle alla sofferenza e si provi a dimenticare per ripartire, soprattutto da un punto di vista economico. Ma niente sarebbe più sbagliato, secondo gli esperti. “Qualcuno vorrebbe rimuovere, o già rimuove, il dramma vissuto, brandendo noti slogan testosteronici – dal più urbano ‘Bergamo non si ferma!’ al dialettale ‘mòla mìa!’ (non mollare) – che, mentre affermano la legittima propensione a resistere alla tragedia, rischiano di lasciare in circolo le tante scorie mortuarie prodotte da questo tempo infausto”, spiega Paolo Barcella, professore di storia contemporanea all’università di Bergamo e promotore di un progetto sull’elaborazione del lutto e il recupero della memoria che si sta svolgendo per il momento online con alcune persone di Nembro, il paese della val Seriana che ha registrato più morti per il coronavirus.”
Vorremmo dimenticare, credo. Ma non possiamo, e probabilmente non dobbiamo.

Un pensiero su “DOMENICA E GLI ALTRI: LE FERITE DEI TRAUMI

  1. Da sfollato posso riassumerla così: se sto lontano dal “mio cratere”, non ho ansia da terremoto ma subisco tutti i disagi dell’adattamento a luoghi, climi e persone lontane da quelli che avevo prima perché bramo comunque un ritorno (alla “normalità”?); quando mi reco nei “miei posti”, aldilà dell’ansia da terremoto, ne spunta fuori una ben peggiore: la consapevolezza di ciò che è andato distrutto e quindi la consapevolezza che quella “normalità” mentalmente bramata latiterà non si sa per quanto tempo ancora.
    Dunque ansia a profusione.
    Il risultato finale è uno stazionare perenne tra l’incudine e il martello che ti rende rigido e sempre più incapace di affrontare il benché minimo stress senza somatizzarlo pesantemente. Con le conseguenze che si possono ben immaginare, anche da un punto di vista farmacologico.

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