EPICA E KATANE

In realtà, di interventi su un filone di scrittura che riunisce autori frettolosamente definiti “di genere” (Evangelisti, Lucarelli, De Cataldo, Genna fra gli altri) si è parlato spesso, in rete e non solo. Ad approfondire il concetto, con la definizione di  “New Italian Epic”, è intervenuto Wu Ming 1 qualche giorno fa, in un’analisi al Middlebury College, Vermont. Qui trovate l’audio.

A proposito di “’Unidentified Narrative Objects”, termine usato da Wu Ming in riferimento alla situazione italiana: il libro di Christopher Ross che citavo qualche giorno fa ne è un esempio magnifico. E’ un’inchiesta giornalistica? Anche, dal momento che l’autore racconta, supportato da incontri, testimonianze e interviste, la storia della sua ricerca della katana con cui Mishima si uccise. E’ un saggio sulla cultura delle armi (sullo spirito delle armi, meglio) in Giappone? Certo. E’ una biografia? Naturalmente, dal momento che molta parte della vita di Mishima viene rievocata. E’ un romanzo? In un certo senso, perchè al protagonista (Ross) spettano introspezioni, riflessioni, avvenimenti (la misteriosa malattia, l’incontro con il boss della yakuza e con gli spadai) narrati con un linguaggio tutt’altro che saggistico.

Questo, per raccomandarlo di nuovo e caldamente.

Da pochi giorni, a proposito di UNO (vedi sopra), sto leggendo un testo che potrebbe a sua volta rientrare nella definizione. Italiano, stavolta: lo firma Giovanni Maria Bellu, si chiama L’uomo che volle essere Peron e racconta questa storia, già suggerita da testi precedenti. Gran bella storia, peraltro.

25 pensieri su “EPICA E KATANE

  1. Bravo Wu Ming. Gliele ha cantate chiare al mercato americano che, a differenza di quello francese, non ha ancora pubblicato per intero lo zoccolo duro della new Italian epic: EvangelistiCamilleriDecataldoLucarelliGennaBabsiJonesRobertoSavianoDiMichele. E pensare che i WuMing hanno concepito ‘Manituana’ pensando soprattutto al mercato americano:- )
    P.S. Un duro attacco di Amelia Rossi alle teorie anti-ispirazioniste di Wuming1 nel mio blog.

  2. Un duro attacco alle teorie “pro-ispirazioniste” viene dal prudentissimo e non proprio rivoluzionario Orazio nella sua Ars poetica. Contorta alleanza, tra Wu Ming e Orazio, io vedo. –..–

  3. Il problema mica riguarda noi: i nostri libri sono tra i non molti dell’ultima generazione italiana a essere tradotti anche in inglese, e Manituana è già in lavorazione. Nessun problema nemmeno per Saviano, ovviamente. Ma di Camilleri (Camilleri!) vengono tradotti in inglese solo i Montalbano e non i romanzi storici. Nel mondo anglosassone De Cataldo è noto solo per la curatela di “Crimini”. Lucarelli è tradotto in un sacco di lingue ma negli USA ancora non lo conoscono. Di Genna esiste soltanto Ishmael. Evangelisti è tradotto in decine di lingue ma non ancora in inglese, anche se nelle università americana lo studiano. E chi lo traduce un autore come Luigi Guarnieri? E non riguarda soltanto l’eterogeneo “filone” che ho individuato retrospettivamente, ma tutti gli autori italiani, anche gli ex-“Cannibali” (con la significativa eccezione di Ammaniti) etc. E come ho detto nell’intervento, non riguarda soltanto ciò che arriva dall’Italia, è un problema di rapporti tra lingua imperiale e lingue “minori”. Il mercato anglosassone tradizionalmente traduce pochissimo. Per noi che viviamo in un paese dove si traduce *tutto* (persino troppo) è un piccolo shock vedere un’industria editoriale monoglotta e provinciale (sì, provinciale, addirittura parrocchiale, come sa essere parrocchiale chi vive nell’ombelico di un impero) che pensa di bastare a se stessa. E si badi che queste critiche sono le stesse che si possono sentire là, non si sono materializzate per la prima volta nella mia testa, è un problema annoso e pluri-dibattuto.

  4. È sconvolgente notare come nessuno, dico nessuno, degli editori italiani della nuova generazione abbia avuto il coraggio di porre apertamente la questione di fronte ad una platea internazionale. Magari anche soltanto conuna piccola intervista. Applausi ancora a Wu Ming.

  5. che versificare/scrivere sia affare di buona bottega è evidente fin dai primissimi esametri dell’epistola, e la bottega di un fabbro serve come primo paragone.
    quanto al’originalità da evitare: beh, l’epistola è una tassonomia ragionata dei generi e un invito alla scoperta e al rispetto delle loro convenzioni.
    Se non basta: dopo una tirata sul rispettare i caratteri dei personaggi noti, Orazio raccomanda:
    … tuque
    rectius Iliacum carmen deducis in actus
    quam si proferres ignota indictaque primus.
    (e tu farai meglio a trasporre l’Iliade per le scene che non a dire per primo cose ignorate e mai dette prima)
    Spazio per l’ispirazione?
    Ovviamente, la continuità con i WM sta solo nell’ispirazione “bottegaia”!

  6. Ah, beh, mi pare che tutto l’intervento americano di Roberto sia un appassionato inno al rispetto dei generi e delle loro convenzioni:-P
    Quanto al versificare secondo le arzigogolate regole della metrica classica, con rigorosa osservanza della “quantità” delle sillabe (gioco dell’alternanza delle lunghe e delle brevi) RICHIEDE sicuramente buona bottega. In età latina, nessun neonato si esprimeva in metrica spontanea fin dalla fase della lallazione…

  7. “Ah, beh, mi pare che tutto l’intervento americano di Roberto sia un appassionato inno al rispetto dei generi e delle loro convenzioni:-P”
    Giusta ironia. Infatti Paolo ha ragione, la continuità con Orazio (o meglio, quel particolare aspetto della visione oraziana) sta soltanto nell’idea di “officina”. Noi al momento siamo per la devastazione delle tassonomie consolidate (comprese le “anti-tassonomie” della “contaminazione”), come le ricerche sul DNA stanno permettendo di devastare tassonomie risalenti a Linneo. Ma è perché oggi uno scrittore ha esigenze diverse da quelle che poteva avere ai tempi di Orazio.
    Ad ogni modo, a parte il nostro scarso apprezzamento del vocabolo, noi non neghiamo in toto che esista la “ispirazione”, ovvero il fatto che a un certo punto… ti arrivi un’idea. Come si potrebbe negare una cosa del genere? Solo che per noi l’ispirazione ha una genesi sociale, ne diamo un’interpretazione al contempo materialistica e sovra-individuale: ogni idea è una sintesi che l’artista opera su flussi di informazione e immaginazione che riceve e in cui è immerso/a. Quei flussi convogliano tanto la contemporaneità quanto la tradizione. Per questo diciamo da sempre che uno scrittore, in senso lato, non scrive mai da solo.
    Qualcuno vuole continuare a chiamare questo processo “ispirazione”? Ok. L’importante è capirne e riconoscerne la genesi.

  8. Roberto, come ribadito mille volte, nessuno crede alla Musa se non come metafora di un processo di biochimica cerebrale che scatta, al pari di tutti gli altri, per una concomitanza di fattori storici individuali e influenze socio-ambientali. Ricordi quando si discuteva del fatto che non tutti possono diventare Maria Callas, per quanta buona bottega possano infliggersi? Anche l’amore, ovvero quel PROCESSO per il quale due persone iniziano a sopravvalutarsi a vicenda:- ) , non scatta certo perché Cupido ha scagliato la freccia…
    L’ovvietà, dunque, è che GRANDI TALENTI un po’ si nasce e un po’ si diventa. Quindi non serve “devastare” alcunché:-/

  9. P.S. Dimenticavo, a proposito dell’interpretazione al contempo materialistica e sovra-individuale. Peccato che i diritti d’autore dei frutti dell’ingegno siano strettamente individuali:- )

  10. Invadiamo il territorio ove cresce la lana caprina. E’ un problema di sfumatere e proporzioni. Io direi che grandi talenti “un minimo si nasce”, perché è importante non avere danni cerebrali etc., e “molto o moltissimo si diventa”, perché importano la famiglia in cui cresci, il contesto sociale in cui vivi, gli stimoli che ricevi e il modo in cui li elabori, la disciplina che acquisisci, la tenacia che erediti dall’esempio altrui, l’etica del lavoro che vedi nei tuoi antenati e nei tuoi pari etc.
    Il talento non è un “dono” giunto da chissà dove, è un frutto che si coltiva. Nemmeno cantare intonati è una dote misteriosa: l’orecchio te lo formi fin da piccolo, sentendo cantare gli altri e cantando a tua volta. Se la mamma che canta la ninna nanna è intonata, facile che crescerai intonato pure tu. Il fatto che non tutte possano diventare Maria Callas è vero, perché a distinguere un modo di cantare sono anche la conformazione del torace e delle cavità orofaringee e craniali, ma la Callas ha dovuto lavorare sodo per diventare se stessa.
    Sulla questione dei diritti d’autore, torno a un vecchio esempio: il concetto di “tavolo” è sociale e acquisito nei millenni, ma *questo* particolare tavolo lo ha costruito quel particolare artigiano, con le sue braccia e impiegando il proprio tempo, dunque questo particolare lavoro va pagato a lui. A un artista si paga il lavoro di sintesi concettuale, di pratica testuale, di costruzione della singola opera. Si paga la passione che ci ha messo nel costruirla, si paga il tempo di vita che le ha dedicato. Il discorso cambia se qualcuno pretende di appropriarsi dell’idea stessa di “tavolo”, del concetto generico, ed esige di essere pagato ogni volta che qualcuno, in qualunque parte del mondo, se ne costruisca uno. Fuor di metafora ma nemmeno troppo, è quello che è successo negli ultimi decenni, man mano che si estendevano i confini della proprietà intellettuale, fino a brevettare e privatizzare piante che esistono da milioni di anni etc.

  11. Ricordo che da piccino, ogni volta che vedevo una penna e un foglio di carta, avvertivo l’imperativo categorico interiore “Scrivi! Scrivi! Scrivi!”. Né mio fratello, né mia sorella, pur cresciuti nello stesso contesto, provavano gli stessi impulsi… se mai di segno contrario. Ce l’ho messa davvero tutta a DIVENTARE un Grande Talento letterario. Non è bastato. Tutto quello che ne è uscito sono dei meri “cazzeggi letterari”:- )))

  12. Be’, sì, è una storia che ho raccontato tante volte (pigolando sempre più piano). Per tornare al discorso delle proporzioni cui accennava WuMing1, potrei dire, per concludere, che a uno scrittore occorrono Tre Terzi di Nobiltà: 1/3 di talento naturale + 1/3 di coltivazione e buona bottega + 1/3 di Fortunate Circostanze. Prendiamo, per esempio, un bambino del Darfour e facciamolo morire di fame. Magari aveva anche in sé il primo dei suddetti tre terzi… invano, purtroppo, senza gli altri due. Nel mio caso, magari a me mancava proprio il primo terzo. Chi può dirlo? I miei libri, in ogni caso, sono ormai tutti fuori catalogo, compreso “L’incredibile storia della Fata FATUCCIA e della Strega FORESTANa”…
    Solo Carmillaonline, di tanto in tanto, si ostina a pubblicarmi qualche vecchia scoria tipo “UNA VOLTA C’ERA”. Una volta, appunto:-)

  13. Cmq, lasciando la pista oraziana e ispirazionista, il discorso di oggetti narrativi funziona. Riascolterò con calma, non credo ci sia tanto da aggiungere o dissentire.
    Ross: Loredana, una volta ancora hai segnalato il libro che fa per me! Aggiungerei, tra le sue forme, “avventura antropologica”.
    Chissà perché, tutti quelli che sono affascinati da Mishima si affrettano a precisare che era un fuori di testa. Penso anche a Franchini in Quando vi ucciderete maestro…

  14. Il libro di Franchini (personalmente adoro come scrive) *Quando vi ucciderete maestro* l’ho letto un po’ di tempo fa, se ricordo bene non rappresentava Mishima come “uno fuori di testa”: parlava di M. riferendosi al suo malsano (perché tardivo ed esagerato) culto per il corpo e la forma fisica. In pratica Franchini sottolineava come anche una persona particolarmente colta e intelligente non è immune da atteggiamenti sciocchi che possono renderla davvero ridicola.
    un libro interessantissimo, peccato che non venga più stampato.

  15. Sì, forse ridicolo è una descrizione più calzante di fuori di testa, ma lascia fuori l’accezione tragica. Cosa che neanche “fuori di testa” fa, peraltro. Non so se abbiamo coordinate sufficienti per collocare la sua lacerazione (Genna direbbe) esorbitante. Magari Ross più di Franchini (che per altro anch’io apprezzo molto), ma devo finire di leggere il suo libro.
    Non so, in entrambi leggo qualcosa come ammirazione ma senza un vero rispetto possibile per la figura del romanziere giapponese. E’ l’atteggiamento giusto per avvicinarglisi? Rileggerò anche il racconto di Pelevin su Mishima, e poi ci medito su.

  16. E’ esatto! Rispetto senza ammirazione totale, e soprattutto condivisione di alcune delle ossessioni di Mishima: questo, almeno, Ross. L’impressione che ne ho tratto io è che Ross abbia voluto trovare una risposta ad una delle molte domande di Mishima. Specie quella sul come fermare lo sbiadire della vita man mano che viene vissuta…

  17. L’episodio che ho citato fa parte di una riflessione molto più ampia che Franchini fa su Mishima. Il libro parla del rapporto tra Arte del combattimento e scrittura e ovviamente M. viene spesso citato. Sì, direi che “rispetto senza ammirazione totale” è anche l’approccio di Franchini.

  18. Finito Ross. Grande libro, ben risolto, poche cadute. A dire il vero, io avevo scritto il contrario di quanto poi scrivi tu, Loredana: dicevo rispetto senza ammirazione. Ovvero: “riesco a capire bene perché lo fai, ma non per questo ti reputo un grande”. Come un manager bravo nei tagli al personale. Si può leggere anche al contrario, ammirazione senza rispetto: “vedo in te qualcosa di grandioso, ma non lo condivido e ti riderei in faccia”. Comunque.
    Mishima è comunque uno stano ibrido: accoppia al mono no aware (si dice così, il senso di transitorietà?) tipicamente giapponese un desiderio di eternità attraverso l’arte tipicamente occidentale, reso iperbolico per la volontà di costruire la propria vita come opera d’arte: cosa che può fare solo a patto di costituirsi come maschera.
    Il risultato in lui è un adulto come “adolescente spostato”. Se Ross (e Franchini) sembrano avere consapevolezza di ciò in Mishima e in loro stessi, e sanno venirci a patti in modi “maturi”, tenendo ben separate fantasie e realtà e assegnando posti opportuni a entrambe, Mishima si ferma a costruire quel Sé giovane e “totale” che ha mancato di essere al momento giusto, e lo sigilla con un atto doppiamente fuori dal tempo.
    Da parte mia: infinita curiosità. Ammirazione e rispetto, boh.

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