FANTASMI: MARK FISHER, E ANCHE FORTINI

Non ho l’ossessione del mercato, lo premetto e lo prometto anche. Non vivo in eremitaggio sui Monti Sibillini, anche se a volte mi piacerebbe, e forse non sono del tutto pessimista, alla Mark Fisher, cui  si deve una delle analisi più lucide sulla nostra contemporaneità, quella espressa in Realismo Capitalista, quella che ci dice che tutto viene gestito come un’azienda, anche noi stessi, pur se non ce ne rendiamo conto:  “il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è il consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine”. O anche, come ben scriveva Franco Palazzi su Doppiozero:
“un realismo, quello capitalista, che diversamente dai precedenti mira all’accettazione non di una realtà immutabile, ma di una infinita plasticità, di una costante riconfigurazione – difficile del resto trovare metafora migliore per la natura sempre più volatile dei rapporti di lavoro e per la compressione del dibattito politico in un’unità di senso non più corpose della durata del talk show medio. Ma se la società disciplinare di foucaultiana memoria – che si reggeva su apparati imponenti come la scuola, il carcere, il manicomio e l’esercito – appare in buona parte superata, il suo pesante carico di supervisione burocratica ha semplicemente assunto una forma diversa: il controllo, afferma Fisher riecheggiando Deleuze, è ora dentro di noi. Non sono più necessarie le ingombranti impalcature istituzionali del passato: l’individuo neoliberale è il primo sorvegliante di se stesso”.
Detto questo, manca un po’ il fiato. Perché questi lunghi mesi, in teoria, avrebbero dovuto dimostrare il fallimento, o quanto meno l’incrinatura, di quella nuova e pervasiva costruzione. Invece, mi pare, è avvenuto il contrario: siamo diventati più abili nel sorvegliarci e nel promuoverci, nel fare di ciò che siamo, idee, desideri, talenti, un prodotto da piazzare sul mercato. Intorno a me, giorno dopo giorno, vedo crescere quella che non è solo ambizione, ma viene vista come l’unica possibilità da cogliere. Vale un po’ per tutto. Libri. Movimenti. Giornalismo.  Solo per rimanere nei territori che conosco meglio.
Sono convinta, per intenderci, che esista ancora quello che gli antropologi chiamano mutualismo, cultura del dono, trasmissione di servizi e saperi: solo che, mi sembra, sta passando in secondo piano, è qualcosa che non cattura l’attenzione, o caso mai si usa quando serve a rendere più forte la propria visibilità. D’accordo, The Times They Are a-Changin’.  Però, visto che i tempi sono lì che cambiano, valga ancora questo, che valeva ieri e auspicabilmente varrà domani (sì, è Fortini, quello che definiranno ghignando faccenda da salotti radical-chic, e che auspicabilmente, un giorno, turberà i sonni a qualcuno). Buon week end.
I presupposti da cui moviamo non sono arbitrari.
La sola cosa che importa è
il movimento reale che abolisce
lo stato di cose presente.
Tutto è divenuto gravemente oscuro.
Nulla che prima non sia perduto ci serve.
La verità cade fuori della coscienza.
Non sapremo se avremo avuto ragione.
Ma guarda come già stendono le loro stuoie
attraverso la tua stanza.
Come distribuiscono le loro masserizie,
come spartiscono il loro bene, come
fra poco mangeranno la nostra verità!
Di noi spiriti curiosi in ascolto
prima del sonno parleranno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto