FARE, O NON FARE. NON C'E' PROVARE. A PROPOSITO DI CHIRU'

Tornavo dunque da Torino, ieri mattina, dopo una lezione alla Scuola Holden (partita sulla questione dei mediatori culturali su carta-radio-web, si è trasformata in una conversazione sulla letteratura fantastica, con reciproca – credo – soddisfazione) e dopo aver assistito alla presentazione di Chirù al Circolo dei lettori. Le parole di Michela Murgia mi tornavano in mente mentre provavo a leggere in treno, poi posavo il libro (per i curiosi, Lila, di Marilynne Robinson), e provavo a ragionare.
In Chirù, che è un romanzo non solo di rara bellezza, ma un romanzo da rilettura (va ripreso in mano diverse volte prima di coglierne le sfumature e l’equilibrio) Michela infrange, con grazia, un altro tabù: se in Accabadora rovesciava il senso comune sulla Madre Bianca che dà la vita e l’antico canone che lega la Madre Nera alla morte, qui affronta un altro tipo di “genitorialità spirituale”  che viene considerato esclusivamente maschile. L’essere maestri, ovvero, portarti sulla strada della conoscenza e sospingerti nel profondo di te e poi in avanti. In Guerre Stellari, se mi si concede la citazione, l’ultima prova del padawan prima di diventare cavaliere jedi, è quella di guardarsi allo specchio nella “prova dello spirito”, laddove lo specchio è quello della propria anima, lato oscuro incluso.
Ebbene, ogni maestro del nostro immaginario, che sia da mangiare in salsa piccante come voleva Pasolini, o da sospingere al seppuku come Mishima, è maschio. Maschi sono Isaac Bashevis Singer, Primo Levi, Saul Bellow che Philip Roth designa come suoi apripista letterari, per esempio. Fra gli scrittori, mi viene in mente il solo e solito Stephen King che fra le righe indica sua madre come colei che gli ha aperto la sensazione di possibilità che è alla base della sua scrittura (ma era sua madre, appunto, e forse non conta).
Maestra. Solo la parola non evoca saggezza e forza, non c’è, in questo termine, l’immagine di  un vecchio Jedi, nè un Albus Silente, nè un Gandalf, nè un Pai Mei. La stessa Galadriel, nel Signore degli anelli, è una potente regina che incute timore, più che la portatrice di sapere che pure é. Maestra. Al massimo maestrina, e dunque supponente, inopportuna, presuntuosa. Difficile, accidenti, e seccante: perché alle donne, in fondo, si chiede di essere rassicurati, e non messi alla prova, come i maestri fanno.
Eleonora, la protagonista del romanzo, accoglie Chirù come ultimo allievo, e dopo molte esitazioni, e solo perché riconosce in lui la propria ferita, come è giusto che sia, perché è a un simile che ci si può rivolgere per far sì che non ripeta i nostri errori. O forse proprio perché si sa che li ripeterà, e per insegnargli ad affrontarne le conseguenze.
Eleonora non è una maestra di cui innamorarsi carnalmente: questo è il secondo stereotipo che associa alla magistra un inevitabile ruolo sessuale, come se l’educazione dell’anima fosse impossibile (mannaggia ad Aristotele). Di più: il magistero di Eleonora è raccontato dall’interno, perché, come ha detto Michela a Torino, chi si fa maestra offre non solo quel che sa, ma anche quel che é, e nessun dono lascia immune il donatore, o la donatrice. Nessun amore fra chi insegna e chi apprende è immune dalla manipolazione e dal risentimento. Come nessuna relazione fra chi cammina sulla terra.
Tutto questo insegna (già) un romanzo breve, in apparenza intimo, in realtà in grado di immergere chi legge negli abissi profondi dei rapporti umani, e a illuminarli come fanno i pesci lanterna con i fotofori, perché quando ci si adatta al buio si sviluppano organi che producono luce.  Coglierne un bagliore  è una grazia, e per chi legge, di questi tempi, non è poco.

2 pensieri su “FARE, O NON FARE. NON C'E' PROVARE. A PROPOSITO DI CHIRU'

  1. Letto l’estratto al quale sono arrivato mettendo la manina del cursore sul nome Chirù. Bello. Io avrei levato tutti quei riferimenti a Uomo-Tigre , Barbie e Goldrake x renderlo universale. Bambole e pupazzi e robot. Bulli e pupe. Non credo lo leggerò perchè mi è piaciuto e desidero conservare l’idea , probabilmente errata , che la autrice intenda dirmi/ci che insegnare significa comunicare lo sgomento davanti alle cose, la consapevolezza che prima o poi arriva, come una luccicanza kinghiana, che la maggior parte degli esseri umani recita un copione scritto da altri o da nessuno, con poche variazioni, sotto lo sguardo innocente e sbigottito di chi, talento e malezione, vede i fili dei pupazzi, il senso della rotazione degli ingranaggi, il vero motore del sorriso da smilex del Joker sul faccino di plastica di Barbie. Brr. Non lo leggerò. Nonono.
    Ho letto da qualche parte che Yoda è stato realizzato studiando la mimica e lo chassis del volto di Mark Hamill/Luke Skywalker. Maestro e allievo come due momenti della stessa persona ?

  2. Gentile Loredana,
    non ho ancora letto il libro di Michela Murgia, lo farò a breve sono un suo estimatore, questo mio commento quindi potrebbe non essere pertinente me ne scuso. Sono cresciuto in un minuscolo paese di montagna abitato da bambini e donne per dieci mesi all’anno, i bambini nati tutti tra ottobre e novembre, a maggio solo quelli del medico e del farmacista, quelli del parroco non è dato sapere. L’uomo più vicino stava in Svizzera gli altri sparsi tra Soccarda e Amburgo, emigranti erano chiamati; quella E, oggi, sembra distinguerli dai migranti, nell’immaginario più simili a rondini senza meta che a padri di famiglia, ma creda gentile Loredana erano la stessa cosa anche nella clandestinità dell’approdo e nell’ostilità dell’accoglienza, nella triste allegria dell’ozio forzato e nella propensione alla rissa per noia, nel cordone ombelicale mai reciso con la terra di partenza. Io sono stato allevato da madri di madri ché le nostre erano in troppe faccende affaccendate. Ho conosciuto Caterina che vegliava sulla pulizia delle mie orecchie e raccontava storie; ho conosciuto Maria che aggiustava le ossa con un solo rapido gesto della mano e aveva pozioni che allevavano di ogni dolore, anche dei figli attesi per maggio. Ho conosciuto Silvia insuperata ciclope dell’arte casearia come nessun altro umano né prima ne dopo di lei; ho conosciuto Ido, con la o finale, genio della norcineria, sola depositaria di ricette millenarie e delle storie più truci. Ho conosciuto Antonia capace di sedere per giorni e notti senza resa nel palazzo del potere per affermare i diritti della montagna. Sono state mie Maestre e nessuno mai avrebbe osato discutere il loro potere. Io ho avuto le mie Maestre, ma forse sono stato solo un bambino fortunato allevato dalle ultime streghe prima della loro definitiva sconfitta. Io ho conosciuto le Madri e il mio rammarico più grande è di non essere degno di loro, la mia generazione di uomini non è degna dei ventri che li hanno partoriti. Ecco Gentile Loredana Lipperini mi scuso ancora se non sono stato pertinente, tra qualche giorno Leggerò il romanzo della Signora Michela Murgia e forse mi accorgerò della mia pessima figura da solo. Andrea

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