IL 25 NOVEMBRE CHE VORREI

Non so se è solo una mia impressione, ma mi sembra diventato molto difficile parlare di violenza contro le donne. Il 25 novembre si avvicina, le iniziative si moltiplicano, quella che appare indifferenza aumenta. E non solo perché, da dieci giorni, siamo in un tempo sospeso e cupo, dove ci viene ripetuto, più o meno dolcemente, che la nostra libertà verrà limitata per il nostro bene. E’ cominciata prima, quell’indifferenza, e varrebbe la pena ammetterlo.
Leggo qua e là delle solite lamentele secondo le quali discutere di violenza contro le donne e di femminicidio implica presupporre una violenza maschile “per natura”. Questa, nel momento attuale, è l’argomentazione che mi preoccupa di più: con la poderosa campagna di disinformazione sollevata da Sentinelle e comitati “in difesa della famiglia” la confusione è massima, e nel caos riaffiora solo quel concetto di “natura” che chi si batte contro la violenza respinge. Nessun uomo è violento “per natura”, ma può diventarlo per un insieme di fattori culturali e sociali contro i quali, a oggi, diventa impossibile agire. O molto difficile.
La conseguenza di questo discorso è semplice quanto, suppongo, poco digeribile: chi ha intrapreso la fantomatica battaglia contro l’inesistente gender contribuisce, e non poco, alle difficoltà che incontra chi vorrebbe la diffusione di strumenti culturali per porre fine alla violenza contro le donne e ai femminicidi. Perché solo intervenendo prima che alcuni presunti caratteri “innati” vengano accettati e introiettati quella violenza può essere fermata. A scuola, certo. Il prima possibile, certo. Come avviene altrove, certo. Qualche giorno fa il mio amico Stefano, che vive in Svezia, ha pubblicato sul blog alcune immagini del catalogo per i regali di Natale (gender!!), dove bambine e bambini condividono giocattoli senza distinzione di sesso.
Da quanti anni scrivo di questo? Almeno da otto. Sono cambiate le cose? In parte sì, ma quel che sta avvenendo rischia di polverizzare il cambiamento. Per il 25 novembre che si avvicina, dunque, vorrei che le iniziative si focalizzassero  su questo punto: lavoriamo nelle scuole, diciamo con chiarezza che quella che si è diffusa è una spaventosa menzogna, proviamo a immaginare percorsi di libertà per i nostri figli. Detta brutalmente: meno scarpe rosse, più copie di “Piccolo uovo”, grazie.

10 pensieri su “IL 25 NOVEMBRE CHE VORREI

  1. D’accordo condivido sia le idee che i presupposti, ma permettetemi una puntualizzazione: attenzione le vittime della violenza sono sia le donne che i bambini, gli anziani, gli animali tutti gli individui deboli che non possono o non sanno difendersi. Non dimentichiamocene!

  2. rosa rosa rosa… ho un figlio di quasi quattro anni che adora il rosa e io gli compro quello che vuole di quel colore, e chi se ne frega se qualcuno storce il naso!
    Le piccolissime cose che noi tutti possiamo fare…
    (per contrasto le amichette che vengono a giocare a casa nostra impazziscono per macchinine e soldatini, vivaddio!)

  3. La violenza contro le donne non finirà, non in questo momento storico che vede protagonisti altri fatti. Non finirà perchè, anche in tempi “calmi”, l’uomo maschio ha sempre negato (a parole) una sua presunta superiorità sulla donna e le disuguagliahnze, pur evidentissime e documentabili, negate.
    Riconosco all’uomo-maschio una solidarietà, in questo caso deleteria, che le donne (sigh) non possiedono. Cominciassimo a difenderci l’un l’altra, dando peso alle disparità e alle botte piuttosto che giustificare (è rassicurazione?) il motivo che le ha scatenate, le cose pian piano (forse) migliorerebbero.
    Osservo una famiglia dove il papà ha perso il lavoro mentre la mamma l’ha conservato… ecco, questa donna continua a lavorare fuori e in casa mentre il papà cerca lavoro… al bar. Qui sta il problema: il papà non intende occuparsi nè della casa nè dei figli, perchè non è affar suo. Le coppie giovani, da questo punto di vista, sono migliori perchè intercambiabili e poggia su loro la mia speranza per un futuro migliore.
    Buon 25 novembre.

  4. Molto difficile in questo momento. Le scuole , sí certo, dovrebbero essere oasi di tolleranza , veicolo di libertà e libero pensiero sulla base di conoscenze . A progetti ispirati alla riflessione sulle diversità e sulla analisi della violenza femminile il no é stranamente venuto, ahimè , da docenti donne .

  5. Mio padre è avanti per la sua epoca: ha avuto tre figlie femmine ma non ci ha mai fatto sentire “femmine”. Mi spiego: se c’era da falciare il prato lo facevamo noi, se bisognava spostare la legna lo facevamo noi, mi ha insegnato a guidare il camion “perché non si sa mai”. Quando ciascuna ha avuto la propria auto ci ha insegnato a controllare lo stato degli pneumatici e il livello dell’olio. Sembrano piccolezze ma nascondono un grande insegnamento: non hai bisogno di qualcuno accanto che si occupi di queste cose, hai bisogno di una persona accanto che ti ami e creda in te. Da figlia credo che quando questi insegnamenti arrivano dal babbo facciano maggiore presa rispetto a tante parole in altri contesti.

  6. Lai scrive: ” Nessun uomo è violento “per natura”, ma può diventarlo per un insieme di fattori culturali e sociali contro i quali, a oggi, diventa impossibile agire”.
    Non sono d’accordo. Mi pare che le sue posizioni prescindano sempre da considerazioni biologiche e si concentrino solo sulle influenze culturali.
    La differenza evidente tra uomini e donne è la massa muscolare e un testosterone mediamente di n volte più alto, il che porta a effetti di violenza più nefasti e attivazioni di quegli effetti più probabile. Il che non vuol dire che la donna non sia violenta come l’uomo, ma che i danni che gli infligge sono mediamente minori ed è più facile che soccomba.
    Pensare invece che la violenza maschile sul femminile sia causata da effetti culturali sarebbe, a mio parere, affermazione ben più grave verso il maschile della giustificazione biologica, perché implicherebbe che ci fosse una serie di influenze volte a far del male alle donne per principio, per giustizia o per ruolo al di là delle tensioni che agitano gli esseri umani e che esistono in ambo i sessi e non sono eliminabili ma solo gestibili, e d’altrocanto sfogabili in altra maniera.
    Francamente mi pare una spiegazione puerile pensare che il culturale c’entri con la redenzione della violenza. Più realistico è inquadrare la violenza maschile all’interno di economie di povertà con alto tasso di consumo alcolico, che storicamente è il comburente della maggior parte delle manifestazioni violente degli uomini.

    1. Lei può ovviamente non essere d’accordo. Come non lo sono io con quanto lei afferma. Se legge i dati, vedrà che non è affatto vero che la violenza maschile appartiene alle classi disagiate: tutt’altro, anzi. E l’alcool, purtroppo, c’entra poco. La saluto.

  7. Non capisco come noi donne possiamo essere così autolesioniste. Anche nell’ ipotesi che non ci importi niente delle altre, la violenza può riguardare noi, le nostre figlie, sorelle, amiche…Anche in questo caso diremmo che “è la natura e non c’è niente da fare?” La natura è diventata la variante moderna e razionale della volontà di Dio?

  8. Se non lo si fosse capito, ha vinto la visione antropologica cattolica, le “spose sottomesse”, gli schiavi (le schiave) content* e orgoglios* di esserlo. Anche Gesù combatté contro un popolo che era arrivato a quel punto: lo crocifissero preferendogli un noto ladrone dichiarato e non pentito. Pur di non toccare il Tempio, la Legge e i suoi ricchissimi e mistificatori Sacerdoti: non vi ricorda nulla?

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