FAVOLACCE, IL PIFFERAIO DI HAMELIN E IL DOLCE DOMANI. DUE.

Ieri sera ho chiesto ai commentatori di Facebook se ci fosse una fiaba che ancora da adulti rinnovasse la paura. Ce n’erano tantissime, da Barbablù a Pollicino a Hansel e Gretel. Non spetta certo a me un discorso culturale o antropologico sulla fiaba, perché quello che mi interessa è ribadire il banale: le fiabe non sono rassicuranti, le fiabe non hanno sempre un lieto fine, le fiabe sono molto più oscure di quanto si intenda oggi. Vale la pena ricordare la petizione di un gruppo di mamme per cambiare il finale di Cappuccetto Rosso nelle scuole frequentate dai figli, o l’invito a non leggerla affatto, quella fiaba scorretta dove il lupo viene ucciso. E magari non sanno che il lieto fine non c’era. Nella versione di Perrault il lupo, digerita la nonna, invita Cappuccetto a giacere con lui sul letto, e Perrault ne approfitta per fare un poco di morale:
«Da questa storia si impara che i bambini, e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti; e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena. Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n’è un tipo dall’apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!»
Nelle fiabe i bambini muoiono, e anche spesso. Zio Lupo mangia la bambina golosa. Le piccole orchette vengono decapitate dal padre in Pollicino. Muore di freddo La piccola fiammiferaia di Andersen, di consolazione la ragazza vanitosa di Scarpette rosse e di superbia Inger de La fanciulla che calpestò il pane. Ne La camicina da morto dei Grimm i bambini tornano anche a spiegare che è il caso di smettere di piangere:
“Ma poiché‚ la madre non cessava di piangere, una notte egli le apparve con la bianca camicina da morto con la quale era stato messo nella bara, e con la coroncina in testa; si sedette ai suoi piedi, sul letto, e disse: -Ah, mamma, non pianger più, altrimenti non posso addormentarmi nella bara: la mia camicina da morto è sempre bagnata delle tue lacrime che vi cadono tutte sopra-“
Il fatto è che non solo i bambini morivano nella realtà. Ma che con ogni probabilità pesava nella memoria collettiva quanto avvenne nella Grande Carestia europea di inizio trecento, che falcidiò la popolazione, e dove non fu inconsueto mangiarli davvero, i bambini.
Dunque, Favolacce, perché qui torniamo, riprende una modalità della fiaba. I bambini del film non vengono mangiati fisicamente, ma moralmente sì. Perché da loro si pretende performance scolastica, bellezza, audacia. Non esistono in quanto individui ma in quanto figli, perché siano la parte migliore di noi e siano noi.
Quando la comunità adulta persiste nella stoltezza, viene punita. Avviene nel Pifferaio magico, come detto. Avviene nel romanzo Il dolce domani di Russell Banks. Per Banks, il dolce domani è il sogno dell’America liberal: e quando racconta l’incidente di uno scuolabus che precipita sul ghiaccio uccidendo la gran parte dei bambini della cittadina di Sam Dent, ha in mente qualcos’altro: “negli Stati Uniti – diceva – da una ventina d’anni qualcosa di terribile è accaduto ai nostri bambini. Li abbiamo persi”. Era il 1991. Aggiunse: “Una comunità che perde i bambini perde l’anima. L’America è in uno stato di crisi profonda, antropologica. Con la perdita dei nostri bambini, l’avvenire passa dietro di noi, e ci lascia di fronte al dolce domani illusorio”.
Nel 1997 Atom Egoyan trarrà un film dal romanzo. Nel film risuonano i versi del Pifferaio magico di un poeta, Robert Browning.
The Mayor was dumb, and the Council stood
As if they were changed into blocks of wood,
Unable to move a step or cry,
To the children merrily skipping by–
And could only follow with the eye
That joyous crowd at the Piper’s back.

Perché i bambini? Per molti motivi, ma di questo si parla domani.

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