FILONI

In agosto, Neil Gaiman ha detto basta: basta con i vampiri, in particolare. Lo ha detto  a Entertainment Weekly: “I vampiri vanno a ondate, e non c’è dubbio che siamo dentro una di quelle ondate”, ha detto, augurandosi un silenzio di venticinque anni durante il quale i non morti dovrebbero rinchiudersi nelle loro bare, per uscirne completamente rinnovati”. Pochi giorni dopo, ha postato una lieve rettifica sul suo blog, in risposta all’assalto delle twilighters (”non c’è niente di peggio di una twilighter arrabbiata”, ha commentato Alison Flood sul Guardian ).

Dunque, ha scritto Gaiman:“Non c’è niente di sbagliato nei vampiri, anzi. Solo che un mondo in cui una dozzina di persone mi scrivono su Twitter che sono in errore, perché tutti stanno scrivendo storie di vampiri, è un mondo in cui la grande stagione vampiresca si sta avviando alla fine. Bisognerebbe andarci piano, con loro: dovrebbero essere una spezia, non la portata principale”.

Naturalmente Gaiman ha ragione. L’estate scorsa sono stati mandati in libreria La città dei vampiri, La rivolta dei vampiri , Il signore dei vampiri, La notte dei vampiri, Il vangelo dei vampiri, L’ora dei vampiri, Morti viventi a Dallas. Ed è probabile che io dimentichi qualcosa. La qualità dei libri in questione? Molto bassa, con l’eccezione dell’ultimo titolo (di Charlaine Harris, da cui è stata tratta la serie True blood): al punto che persino la primogenita, appassionata del genere e gran lettrice di Le Fanu e Stoker, ha chiuso, disgustata, l’ennesima storia di amore, sesso e canini.
Mi ero già occupata dell’argomento nella postfazione a Io credo nei vampiri di Emilio de’ Rossignoli. Questa volta prendo soltanto spunto per una brevissima considerazione sui libri che mi sono trovata davanti al ritorno dal paesello marchigiano, e a quelli che vengono annunciati. Con poche eccezioni, mi sembra che ci si stia, di nuovo, avvitando nei filoni. Mi sembra che pochi cerchino di battere strade diverse, preferendo intasare fino al soffocamento quelle che hanno avuto successo.
Mi verrebbe da implorare anch’io una moratoria sui vampiri, come Neil Gaiman: ma a quel punto anche sui romanzi con manoscritti misteriosi o sui precari infelici o sulle adolescenti inquiete. Sarebbe ingiusto, però, perchè in questo modo si rischierebbe di stroncare sul nascere libri di valore che utilizzano gli stessi scenari.  Quel che ci vorrebbe è attenzione al testo, più che al filone, da parte delle case editrici. Banalissimo, ma necessario, e più che mai ora.
Un solo esempio: due giorni fa un bravo scrittore con cui di recente scambio qualche parola via mail mi ha segnalato l’imminente volume di Rizzoli, Il tarlo del libro, che raccoglierà le recensioni che appaiono su aNobii. Scelte, sembra di capire, fra le più urticanti, irriverenti e non canoniche. Un modo come un altro di “stare sul pezzo”, sicuramente: ma è così che dovrebbe funzionare?

26 pensieri su “FILONI

  1. Credo che la situazione sia abbastanza semplice: i vampiri continueranno a essere pubblicati in tutte le salse finché ci saranno lettori che compreranno questi libri.
    Da quanto sento in giro, le vendite stanno continuando ad andare molto bene, e non solo per la Meyer.
    Più del previsto. Ergo, anche nel 2010 venderanno vampiri. Poi, si vedrà.

  2. In questo momento, sulla mia testa, sta passando un piccolo stormo di elicotteri. In testa c’è un Ch-53, seguito da tre Mangusta da attacco al suolo. Probabilmente si tratta di elicotteri in addestramento. Virano verso la Val d’Isarco, le montagne altoatesine sono molto simili a quelle dell’Afghanistan. Cosa sono? quattro elicotteri, molto belli se si è appassionati del genere.
    Ma un elicottero non è solo un elicottero esattamente come una storia non è mai solo una storia.
    Di solito, sulla mia testa, passano gli Augusta e i Pelikan da soccorso alpino. Sono veicoli molto belli, pilotati da persone ottimamente addestrate che svolgono un lavoro di una durezza e di una difficoltà inenarrabile. Anche in questo caso, un elicottero non è solo un elicottero.
    Ma voi state ancora pensando al Mangusta. E’ più “potente” come immagine. Gli elicotteri del Soccorso non rimandano (alla mia mente) le stesse eco di un Mangusta carico di razzi. Perchè?
    I Miti sono una brutta bestia. Se partiamo dall’assunto che un mito è una credenza fondativa condivisa da una comunità che NON è consapevole di tale credenza, nell’epoca del Villaggio Globale, l’ultimo mito è quello dell’Economia. Che, cioè, non possa esistere una società che non sia basata sul Mercato.
    Il vampiro si nutre di sangue (blut) e vive nella sua terra (boden). Blut und Boden sono state la causa di svariati milioni di morti. Il vampiro di tendenza, quello di oggi, sublima il suo sangue e il suo suolo nel sesso. Veicolo potentissimo di ideologie e immaginario. Il sesso liberato, come molto altro, è stato fagocitato, digerito e vomitato dal Mito Invisibile odierno: l’Economia. Questi libri vampireschi sono perfettamente inseriti nel Mito Imparande – lo chiamano anche trend. Ed ecco il motivo per cui “miticamente” funzionano alla grande.
    Resta aperto, mi dirai, il discorso sul Mito. Il Mito serve a creare un’identità, uno stringersi a coorte (scudo contro scudo come direbbe Leonida di Miller). Un modo per superare l’inverno. Creare identità è quella cosa per cui il Blut und Boden ha funzionato benissimo negli anni che furono (per ironia della sorte ci fu anche un bel Ragnarok, solo che noi lo chiamiamo Stalingrado). La foga con cui le Twilighter si scagliano su chi non la pensa come loro deriva esattamente da questo. Minacciare l’identità significa andarsele a cercare.
    Il trend, perfetto, per il Mercato è la vendita di identità. Un’identità, perfettamente inserita nel Zeitgeist è un’identità che possa espandere i profitti (film, trucchi, abiti, spin-off e bla bla bla). Penso tu abbia capito.
    Però un elicottero non è mai solo un elicottero.
    L’Agusta arancione sgargiante non è il Mangusta. L’Agusta del Soccorso Alpino è il San Bernardo buono. A noi interessa discutere di Cujo. Il Mangusta è stato pensato, progettato e costruito per un unico scopo: uccidere nella maniera più letale possibile. L’Agusta ci accoglie, il Mangusta ci fa saltare in aria (a meno che non abbia il gagliardetto della Nato).
    Giocare con i Miti (senza essere consapevoli che un elicottero non è mai solo un elicottero) significa non rendersi conto che i Miti sono sempre Miti ad esclusione. Siamo vichinghi e non sami. Siamo greci e non barbari. La lista è infinita ma riassumibile in “siamo buoni e loro cattivi”
    Quindi non resta che la resa? no, bisogna cambiare bersaglio. Il Mito si nutre di linguaggi. Anzi, rende tutti i linguaggi (come quelli dell’abbigliamento, quelli delle “parole d’ordine” etc etc) un UNICO linguaggio.
    Ein Volk, Ein Reich… Ein spot. Una risata vi seppellirà! esatto, era la risata preregistrata di Striscia la Notizia.
    E’ il linguaggio la vera linfa che fa funzionare un Mito (compreso quello dell’economia moderna – voglio dire: Tremonti che parla come un No-Global di otto anni fa dovrebbe suggerirci qualcosa, io credo). Lovecraft, ultimo grande creatore di miti lo sapeva bene e infatti le sue opere sono una lunga preghiera glossolalica. Usare Lovecraft? impossibile, un mito per essere tale deve essere incoerente, ma l’incoerenza al giorno d’oggi è considerata di “cattivo gusto”. L’Incoerenza non fa Opinione. L’Opinione è il Nocchiero che cavalca l’Economia. Quindi?
    Penso che l’unica letteratura che sia in grado di poter affrontare questo tema sia la letteratura fantastica. Ma non la letteraura fantastica avvitata su filoni, come dici tu, o su stilemi che ormai danno la nausea, ma proprio il suo opposto. Per la fantastica (scusa il gioco di parole) possibilità di IBRIDARE.
    Di essere anfibi. Literary Fiction con incursioni del genere. Un linguaggio che sia il coniglio: lo psicopompo per eccellenza. Sotto terra, sopra la terra. Inafferrabile (viscido come un rospo..). E se per caso ti viene in mente che sia il rospo che il coniglio sono due simboli potentemente psichedelici (guarda un po’ l’etimologia che strani scherzi che fa…), bè, esatto.
    Lavorare sul linguaggio, ibridare il più possibile, non rinunciare alla Letteratura, non avvallare i meccanismi pigri e incancreniti, significa, quindi, essere consapevoli che un elicottero non è mai solo un elicottero.

  3. sto per dire una banalità, ma a me sembra che purtroppo ormai la tecnica dell’ “intasare fino al soffocamento” valga un po’ per tutto: generi letterari e cinematografici (si era parlato qui una volta del filone ventenni-senza-lavoro per “Generazione 1000 euro” e tutti i suoi simili), reality show, iniziative (vedi libri allegati ai quotidiani)…il problema è che arrivati al soffocamento non si smette ma si insiste ancora per un po’. E poi arriva la morte definitiva. E credo sia tremendo perchè questi filoni letterari, generi televisivi ecc. ecc., o almeno buona parte di essi, potrebbero durare molto molto a lungo se centellinati, perchè nel tempo, ciclicamente, potrebbero essere rinnovati. Così invece si spara tutto subito, innovazioni comprese, e ogni cosa appare nata, sviluppata e conclusa nel giro di qualche anno, con l’effetto che se si volesse riprendere un certo discorso a distanza di qualche anno (a meno che non siamo moltissimi anni) risulterebbe datato, proprio perchè percepito come ormai esaurito.

  4. Ma di fronte a un circolo vizioso, le possibilità per eliminarlo sono due: uscirne, oppure entrarci cercando di modificarlo.
    Uscirne sarebbe una buona soluzione se presupponesse una alternativa diversa, se invece si esce dal circolo vizioso dei vampiri per entrare nel circolo vizioso dei licantropi il problema resta invariato.
    Entrarci, e cercare di cavalcare il successo dei vampiri per riuscire a portare a quella fetta di pubblico una rilettura diversa potrebbe essere una soluzione migliore, e anche più innovativa. Ma è dannatamente difficile, il rischio è rimanere incastrati proprio nell’ingranaggio che si vorrebbe modificare, senza contare il rischio dei furbi che usano il pretesto del tentativo di cambiare per lanciarsi nel filone d’oro senza mutarlo di un millimetro (un po’ come, in altri ambiti, giornalisti di sinistra che vanno a Porta a porta in nome dell’Aventino da evitare).
    Il punto, comunque, è che una buona parte dei lettori odierni di vampiri non si interessano a queste discussioni e non ne sono raggiunti. Quale che sia la scelta davanti al circolo vizioso, resta il fatto che se non si parla con questi lettori, o non se ne “creano” altri, se cioè il pubblico critico resta una nicchia, le possibilità di cambiare la situazione resteranno decisamente scarse.

  5. Infatti, Anghelos, il problema è incrementare le buone narrazioni: e questo è certamente compito di chi scrive. Ma anche e forse persino soprattutto di chi pubblica. Cercare buona letteratura fantastica e l’unico modo per trovare lettori più esigenti rispetto all’ondata post-Twilight. In questo senso l’esempio che hai fatto sui giornalisti di sinistra è perfetto: non bisogna entrare nel filone per sfruttarlo, ma per migliorarlo. Se, invece, si cerca di raccoglierne i frutti e basta, non si va da nessuna parte.

  6. Mi permetto: è una questione di coraggio. Coraggio da parte delle case editrici e coraggio da parte degli scrittori. Coraggio (e forse anche arroganza, dati i tempi) di avere qualcosa da dire.

  7. Concordo: ma è un nodo che va sciolto in fretta. Parlando al telefono con un’amica, poco fa, ci stavamo confessando che tra le novità di settembre i titoli interessanti sono pochissimi. I cloni, un’infinità.

  8. La letteratura fantastica, per dire qualcosa di nuovo, DEVE essere sovversiva. Sovversiva nei confronti delle gabbie di genere e sovversiva nei confronti dei tempi in cui viviamo.
    Ma ci sono diversi modi di essere sovversivi. Paradossalmente uno dei migliori è agire “sotto copertura”. Inserire un romanzo in un mercato di intrattenimento e di genere, nascondendo l’idea che fa sobbalzare sulle sedie.
    Bisogna essere terroristi del fantastico, ecco cosa.

  9. Ho come la sensazione che tu ed io, Fabrizio, siamo per la prima volta d’accordo 🙂
    Esatto. E ci sono diversi autori italiani che lo stanno facendo, peraltro. Il rischio che io vedo in un’operazione che comunque va portata avanti, è che se non ne sono consapevoli gli editori, la deflagrazione risulta attutita…

  10. Beh, magari è la prima volta di tante, chi lo sa.
    Comunque io vedo la cosa molto bene. Per un semplice motivo di consunzione economica. Il mercato è come una febbre emorragica. Se non trova altri individui da infettare, si estingue e l’epidemia cessa. Se poi la gente si immunizza, il virus cessa di essere pericoloso. L’unica cosa è mutare.
    Il mercato cambierà per poter vendere. E’ l’unica.
    In più in Italia, con i tempi che corrono, c’è ancora più fame di buone idee.
    O pensate che “Amici” e il “Grande Fratello” dureranno per l’eternità?
    Magari dopo, quando passerete a peggior vita, se siete stati cattivi… 😀

  11. Perfetto: attento al rischio. L’epidemia cessa e il mercato (gli editori) decidono che è la narrativa fantastica che non tira e non la valanga di schifezze (mal tradotte) che hanno pubblicato loro 🙂
    Ovviamente, spero con tutto il cuore che non sia così.

  12. Uccidere la narrativa fantastica? Sarebbe la prima volta nella storia dell’umanità.
    Addirittura, si creerebbe un “oceano blu”. Non pubblicano più fantastico.
    Il primo editore che ripubblica fantastico fa soldi a palate. E a quel punto, tutti a ripubblicare… 😉

  13. Dell’umanità, ma non dell’editoria italiana 🙂
    Fino all’arrivo di Stephenie Meyer, pochissimi avrebbero investito sul filone. Io sono d’accordissimo con te, Fabrizio, e mi auguro davvero che succeda questo. Ma mi sembra che occorra tornare ad una consapevolezza che non vedo, in editoria.

  14. Si toccano nervi scoperti (almeno per me).
    Maggiore attenzione al testo da parte delle case editrici… concordo. Inserire elementi di novita’ e di sovversione mascherandoli da innocua letteratura di genere… concordo anche qui, e nel mio piccolo ho sempre cercato di farlo, ma si rischia di passare del tutto inosservati, a prescindere dal valore qualitativo della propria opera.
    Se parliamo di fantasy, uno degli ambiti in cui mi muovo io, vedo che anche qui c’e’ la moda dell’arraffa tutto e subito, nella fattispecie la tipologia autore-giovane-prodigio-che-scrive-tomi-iperbolici, sponsorizzato con tutto lo strombazzamento di marketing, dopo i casi Troisi e Paolini, in base all’equazione: fidelizziamo i lettori di fantasy conquistati da bambini, dato che il genere da noi si e’ diffuso per l’infanzia, conquistandoli da adolescenti con testi scritti da coetanei. (Parlo in generale, senza voler qui aprire discussioni su chi sia valido e chi meno).
    Cosi’ si raccattano lettori momentanei, si vendono copie, si creano fenomeni del momento.
    Con drammatico effetto boomerang: non si cercano autori e opere piu’ maturi, non si fanno “maturare”, diversificare e incuriosire i lettori, non si crea spazio per una sperimentazione, per una crescita qualitativa e per una diffusione del genere, che presto finira’ fuori moda e screditato. Infatti sta gia’ imboccando la parabola discendente, a vantaggio, appunto, del nuovo boom vampiri.
    Si alimenta un tam tam di critica feroce, che alla fine tende ad avvolgere tutti, anche i “poverini” editi con coraggio da case editrici minori.
    I quali, contrariamente ai “fenomeni” di cui sopra, con cui vengono a priori accomunati nel discredito generale, sulla fiducia, non hanno certo i mezzi per difendersi dall’assalto dei blogghisti, dato che nel loro caso la maggior parte del marketing a basso costo e basse risorse si svolge proprio in rete.
    In questo senso anche l’enfasi data agli anobiani non e’ esente da pericoli: questo tipo di commento/recensione puo’ essere veramente significativo se a praticarlo, anche solo sotto forma di voto al testo letto, sono almeno un centinaio di lettori, per ciascun libro.
    Altrimenti, vi e’ spesso il rischio che a emergere siano commenti emotivi e/o narcisisti, uno sport che, insieme con quello del “leggiamo e poi stronchiamo” si va diffondendo, appunto, per generi come questo, producendo piu’ danni che vantaggi.
    D’altra parte lo si sa che internet e’ un meraviglioso strumento, innovativo, partecipe, immediato, democratico, ma ha i suoi svantaggi.
    Poi mi si puo’ rispondere che chi e’ veramente bravo emerge comunque, che queste possono anche essere scuse…ma qualche dubbio ce l’ho, perche’ certi handicap di pregiudizio, scarsa visibilita’ o peggio, visibilita’ negativa, boicottaggio a prescindere, non si superano tanto facilmente.

  15. Quando si parla di fantasy, ci vado pianissimo, Milena. Per aver scritto su Repubblica, in luglio, che l’editoria italiana ancora identifica fantasy e young adult, sono stata azzannata sul forum di Fantasy Magazine (i cui commentatori rifiutavano, giustamente, l’identificazione, ma attribuivano a me la responsabilità di averla fatta).
    Però un paio di cose vorrei dirle, e le ho scritte, anzi, nella famosa postfazione per Gargoyle: una delle grosse responsabilità nella controversa reputazione della narrativa fantastica nel nostro paese sta proprio in e-zine di questo tipo. Che, per esempio, inneggiano alla Meyer (Horror Magazine), spacciandola per horror, e contribuendo non poco all’equivoco.
    Quanto al fatto che chi scrive per piccole case editrici abbia meno difese rispetto a chi pubblica per un grosso editore, è una balla clamorosa, perdonami. Le critiche via web colpiscono chiunque: se non mi credi, fai una ricerca su google su Roberto Saviano.
    Io non credo che ci sia una chiave discendente per il fantasy in Italia: ho letto ottime cose di recente (tutte urban fantasy, però). Si pubblica troppo (INCLUSE le piccole case editrici: non basta essere piccoli per essere coraggiosi, questo sì è uno stereotipo) e si pubblica male, questo sì.

  16. Ci credo tu sia stata azzannata 🙂
    Nel senso, come dicevo, che ci sono nervi scoperti, e mi pare lo dimostri il tuo stesso intervento. In questo ultimo periodo ogni discussione sui forum e sui blog di gruppi o singoli, di argomento fantastico, si infiamma come benzina sparsa su un oceano di paranoia, al minimo sospetto di retroscena o di opinioni di fondo che, spesso, sono solo nella testa di chi legge. Ma chi capisce male risponde peggio e la cosa si avvita su se stessa: sostenitori acritici dei baby scrittori contro detrattori, detrattori del fantasy italiano a prescindere contro tutti…spesso si perde di vista il dialogo.
    Per questo ultimamente sono nate iniziative per tentare di dare un indirizzo al fantasy italiano “di buona volonta’ “, come siti comuni e tentativi legati, appunto, al fantasy mediterraneo o all’urban fantasy.
    So che le critiche via web colpiscono chiunque, e l’esempio che hai fatto, di Saviano, e’ certo ben piu’ significativo, di persecuzioni vere e proprie, rispetto agli “scrittorucoli” fantasy.
    Intendevo solo dire che critiche come quelle che leggo spesso sui blog, di frequente insinuazioni, opinioni campate per aria, recensioni basate sulla lettura di un capitolo, stroncature narcisistiche, pignolerie su ricerca ossessiva di blooper, danneggiano in proporzione molto di piu’ chi non ha altri canali di diffusione, conoscenza, promozione. Infatti non mi pare che le vendite di Saviano ne abbiano risentito, per dire.
    Ne’ quelle della Troisi, per rimanere nel settore. Puro dato materiale ed economico, eh, nel caso di Saviano lungi da me sminuire la portata e la gravita’ di cio’ che ha subito e subisce.
    Questa non mi pare una balla clamorosa, ma un dato di fatto.
    Poi non escludo che il mio sia vittimismo o ricerca di alibi. Ma l’impressione di sentirsi danneggiata, coinvolta mio malgrado in polemiche che non riguardano ne’ me ne’ la mia scrittura, rimane.
    Riguardo le piccole case editrici. Parlando per quella che ha pubblicato me, l’editore, persona di grande esperienza, forse con qualche punta di cinismo non condiviso da tutti, lo ha detto chiaro e tondo di dover far uscire roba commerciale, per potersi permettere di dare spazio ad autori ritenuti migliori (opinione dell’editore, non mia, io non mi autoincenso di solito 🙂 ) ma meno popolari e vendibili.
    Infatti, devo ringraziare il loro colpaccio con la Harris, se il mio secondo libro e’ uscito. Altrimenti non avrebbero avuto neanche quel minimo spazio, quel minimo di fiato, per proporre italiani. Il mercato e’ quello che e’.
    Chiaro che una politica del genere puo’ essere condivisa o meno, ritenuta utile o controproducente: io non giudico, riporto solo.
    Cerco di dare un contributo al dialogo, appunto, non rappresento nessuno tranne me, neppure Fantasy Magazine di cui sono semplice utente di forum e non collaboratrice. Horror magazine poi non lo leggo proprio perche’ non amo l’horror. Solo con Fantascienza.com ho un rapporto piu’ diretto.
    Insomma, non prendertela con me, io non c’entro con queste polemiche, davvero…
    E dove avrei mai sostenuto lo “stereotipo” che piccolo uguale coraggioso?

  17. Non me la sono presa affatto con te, Milena, ma il discorso sui ““poverini” editi con coraggio da case editrici minori” e non abbastanza difesi dalla rete è tuo 🙂 Quanto al discorso “pubblico X così posso pubblicare Y”, è il mantra di molti editori piccoli e medi, e non mi sembra contribuisca a risolvere la problematica generale.
    Inoltre, e poi chiudo la questione, quando parlo dell’influenza nefasta di e-zine poco professionali, non parlo di singoli blog: parlo, appunto, di vere e proprie riviste on line che dovrebbero fornire informazione su quanto avviene nel mondo della narrativa fantastica e invece reiterano l’equivoco, e anche i vampiri.

  18. @tinamarti Se l’ideologia dei commercianti si chiama consumismo un motivo ci sarà, no? Ogni cosa non ha valore in sè per questa visione, ma è “expendable”, sacrificabile, strumentale, batti-il-ferro-finchè-è-caldo, ecc.

  19. @anghelos Un mio piccolo puntiglio è stato ed è ricordare come un vincolo sia apportatore di miglioramenti se ben sfruttato e uno stereotipo (che è un vincolo) sia una risorsa per chi la sa usare. Il vantaggio sfruttabile dello stereotipo, anche quando invertito o infranto clamorosamente, ma ciononostante mantenuto, è quello della riconoscibilità, dell’immediato canale privilegiato che crea tra il lettore smaliziato e l’autore smaliziato. Che ne sarebbe dei fumetti giapponesi senza gli stereotipi? Che ne sarebbe del fantastico (o del poliziesco, o della fiaba) senza gli stereotipi? Tolkien stesso, padre fondatore, rielaborò in modo originale e con convinzione (essenziale, agli autori forse spesso manca) un corpus di stereotipi precedente! Il guaio è che giovarsi degli stereotipi senza apportare nulla di nuovo è come andare in Ferrari senza patente: non perdona. In questo caso crea cloni. Non brutti, uguali. Letto uno qualsiasi di loro, gli altri sono inutili. Più la realtà ha stilemi specifici ed è settoriale più è vero. Croce sosteneva che solo i discepoli sono di una scuola, i maestri sono solo loro stessi. Il genere si crea sull’onda del successo di un vero e bel lavoro dotato di una personalità che colleghi meno abili tentano di ricalcare più o meno scopertamente sperando di farsi le ossa così (discorso che più di una volta mi sono trovato a fare riguardo alla scena musicale metal, che col fantastico ha spesso punti di contatto: esce fuori un nuovo modo di fare metal, lo si cataloga in un nuovo minuzioso sottogenere e subito spunta chi vorrebbe seguire quegli stilemi come una bibbia, nati paradossalmente come delle libertà e non come tali, risultando identico al “maestro”). PS Il fenomeno “uno nuovo-> dieci nuovi identici a lui funziona anche col canone estetico femminile

  20. Se l’hai intesa come “poverini editi con coraggio da case editrici minori e non abbastanza difesi dalla rete” devo essermi spiegata proprio malissimo, 🙁
    Al punto da apparire infantile e ingenua, il che mi rattrista abbastanza. Tutto l’opposto di cio’ che intendevo. Innanzitutto il discorso era strettamente personale e non generale, la “poverina” ero io e parlavo del mio caso.
    Al coraggio non ci pensavo neppure. Ne’ mi aspettavo “difesa” dalla rete. Figurarsi. Parlavo piuttosto di attacchi generalizzati ad alzo zero.
    Dicevo solo che il gran polverone levatosi intorno al fantasy italiano e al baby boom finisce per danneggiare in proporzione di piu’, dal punto di vista del passa parola e delle vendite, chi non ha marketing e diffusione capillare alle spalle.
    E che io mi sono trovata coinvolta mio malgrado, a mo’ di bersaglio casuale, in ogni tipo di polemiche, per via dei forum, della casa editrice (sulle cui idee, appunto, non commento) che non c’entravano e non c’entrano niente con cio’ che scrivo, ma che ne hanno indirettamente danneggiato il giudizio obiettivo.
    Poi qui la chiudo anch’io, per carita’.

  21. si, ma io intendevo che si tende abattere il ferro anche dopo un po’ che non è più caldo e quindi si va oltre l’intasamento, praticamente alla repulsione

  22. Mi fa tristezza vedere, da ieri sera, i miei due commenti in attesa di approvazione, bloccati come fossi un troll, quando non ho mai offeso, ne’ insultato, ne’ criticato alcuno, ne’ usato toni men che civili.
    Mi spiace molto. Probabilmente finira’ in moderazione anche questo.

  23. Milena per favore, niente panico! O meglio, il panico è il mio, da wordpress: se qualche commento appare in moderazione è semplicemente perchè, avendo bloccato due IP per vecchi motivi, a volte vengono messi in moderazione anche gli altri 🙂
    Rispetto, invece, a quel che scrivevi: vedi il rischio? Siamo finite entrambe a personalizzare la discussione. Tu stai pensando, peraltro correttamente, al tuo caso e io sto tentando di pensare al quadro generale. In quel quadro, l’attività relativa a informazioni e recensioni della Delos, tanto per fare nomi e cognomi, è tutt’altro che benefica. Con questo tu e il tuo lavoro entrate poco, nel mio discorso. Per quanto riguarda la rete, insisto sul vecchio discorso: esistono commentatori con la stessa funzione delle tricoteuses sedute intorno alla ghigliottina, guardano e sghignazzano, chiunque sia il bersaglio. Esistono qui, in altri blog letterari o no, nei cosiddetti siti satirici, e via così.
    Questo, però, permettimi, è marginale rispetto al fenomeno di cui si parlava: e che riguarda le responsabilità degli editori, non dei lettori.

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