FILOSOFI, MAGHI, DOTTORI

A dire il vero, l’intervento è di qualche tempo fa: me lo segnalano ora e lo trovate su Rescogitans. Lo scrivente è Simone Regazzoni e mi sembra valga la pena riflettere sulle sue argomentazioni.
La critica apocalittica dell’industria culturale è un fenomeno di industria culturale, suggeriva Eco in Apocalittici e integrati. Era il 1964. Sono passati molti anni da allora, e sicuramente oggi anche un lettore severo come Citati, che nel ’64 criticava Eco, non si scandalizzerebbe più di fronte a un’analisi di Superman, preferendo piuttosto dedicarsi egli stesso a scrivere la Fenomenologia del tenente Colombo – come per altro Citati ha fatto. La critica apocalittica come fenomeno di industria culturale è dunque morta? Parrebbe di no, stando almeno all’articolo di Nicla Vassallo apparso sul supplemento culturale del “Sole 24 ore” il 29/6/ 2008 con il titolo Sopravvivere al pop pensiero.
L’Autrice attacca duramente i libri di filosofia dedicati ai polizieschi o alle serie tv, classificandoli come “volumi dozzinali che consegnano il discorso filosofico alle perversioni di un mercato editoriale ove il profitto a qualunque costo ha spesso il sopravvento sull’eleganza e la ricercatezza della qualità”. I termini e il tono sono fin troppo chiari: non c’è scampo per la filosofia della cultura di massa – e nemmeno il tempo per una sua seria analisi. Tanto meno per un’autocritica da parte dell’Autrice, benché forse sarebbe stata necessaria: Nicla Vassallo ha infatti pubblicato un saggio dedicato al film Matrix che è, a tutti gli effetti, un film pop.
Per parte mia, ho scritto insieme ad altri tre filosofi un libro di filosofia dedicato alla serie tv “Dr. House” (La filosofia del dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo) e a settembre pubblicherò Harry Potter e la filosofia. Fenomenologia di un mito pop. A differenza di Nicla Vassallo, non credo che la qualità di un’opera filosofica dipenda dall’oggetto o dal problema che essa tratta, ma dal modo in cui lo tratta: dalle questioni che pone, da come si articola la sua argomentazione, dal rigore della sua scrittura. Nel prologo del libro dedicato al dr. House non a caso scrivevamo: “Non ci sono cose degne o indegne di attenzione filosofica, ma solo buoni o cattivi modi di fare filosofia sulle cose. La filosofia non dovrebbe rinunciare a niente, nemmeno alla televisione”.
La forza della filosofia non è fatta né di anatemi né di esorcismi; e nemmeno di facili snobismi: la sua forza risiede proprio nella libertà radicale del suo domandare. Nessuno può dire che cosa e come la filosofia debba interrogare. Perché la libertà di interrogazione filosofica è radicale o non è. Ed è in nome della libertà radicale del suo interrogare che la filosofia può, senza troppi timori, dedicarsi all’analisi della cultura di massa e dei suoi miti che sono un elemento essenziale di questo nostro tempo di cui, diceva Sartre, non possiamo perdere nulla. Se la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero è auspicabile che i filosofi che del proprio tempo vogliano capire qualcosa, e magari trasformarlo, abbandonino le pose, ormai logore, della critica apocalittica per cominciare a interrogare seriamente e criticamente la cultura di massa che è parte integrante dell’orizzonte simbolico del mondo in cui viviamo. Che si tratti di “pop filosofia” o di una nuova forma di filosofia per una nuova generazione di filosofi, non fa differenza. Si tratta, in ogni caso, di un pensiero che non rinuncia a niente.

18 pensieri su “FILOSOFI, MAGHI, DOTTORI

  1. Categoria piccole polemiche fra colleghi?
    Come sostiene un mio amico che sta scrivendo ora la tesi di laurea, c’è PIÚ pensiero vivo nel pop che nella filosofia come intesa dall’università oggi, ed è piú facile che un messaggio ‘filosofico’ arrivi a chi osserva meditandolo un video pop di Coutney Love che non a chi si legge le dispense di storia della filosofia, o a chi leggesse quel video con le dispense di storia della filosofia.
    Ovvero: questi volumi sono la retroguardia di una filosofia già in retroguardia, quando si preoccupano di raccontare con strumenti inadatti il nuovo, mancandone la carica innovativa.
    (non dico che questi libri facciano tutti così, dico solo come si può fare cattivo uso del pop & della filosofia).

  2. ciao loredana.
    io credo che nicla vassallo non voglia criticare l’oggetto della filosofia pop in quanto tale. mi sembra che i suoi dubbi siano – appunto – legati piuttosto alla chiarezza e alla validità delle argomentazioni proposte. da quanto leggo, la vassallo è scettica sul fatto che l’applicazione della filosofia a “tanti, troppi prodotti di successo” sia legata a un autentico approfondimento di questi prodotti. e mi sembra uno scetticismo lecito, visto che la collana appare come un’operazione strettamente commerciale. (peraltro, il libretto di harry frankfurt, “stronzate”, pur avendo un valore chiaramente commerciale, mi è sembrato un saggetto di buon valore analitico).
    poi non so. bisognerebbe leggere i titoli della collana “popular culture and philosophy series” per farsi un’idea.
    giorgio

  3. citazione:
    A differenza di Nicla Vassallo, non credo che la qualità di un’opera filosofica dipenda dall’oggetto o dal problema che essa tratta, ma dal modo in cui lo tratta: dalle questioni che pone, da come si articola la sua argomentazione, dal rigore della sua scrittura. Nel prologo del libro dedicato al dr. House non a caso scrivevamo: “Non ci sono cose degne o indegne di attenzione filosofica, ma solo buoni o cattivi modi di fare filosofia sulle cose. La filosofia non dovrebbe rinunciare a niente, nemmeno alla televisione”.
    che dire? se ci arrivassero anche i professori universitari che ti guardano dall’alto in basso perché osi proporre l’interpretazione di un fenomeno culturale di massa in un tempio della cultura come la facoltà di lettere forse saremmo un paese con una ricerca filosofica “attiva” e non autoreferenziale. ma purtropo siamo passatisti…
    la groupie numero uno
    ps: ho lasciato una “proposta indecente” nella casella di posta di anobii…

  4. Ho abbandonato gli studi filosofici ormai più di dieci anni fa e, come transfuga, oggi studio cose decisamente pop.
    Articolo della Vassallo a parte, mi è capitato tante volte di ricevere battutine da filosofi che una volta frequentavo e ora non più. Del tipo: “Ah, vero: ora fai la filosofa della tv”. (Per inciso: non mi occupo di televisione.)
    E delizie del genere.
    Ma io ci rido sopra. Altrimenti, a fare troppo l’anti-apocalittica, tornerei apocalittica, ma dall’altro lato.
    Diceva mia nonna: la virtù sta nel mezzo…
    🙂
    Insomma, cerco sempre di affrontare anche le cose pop (e quelle che più pop di così si muore) con un rigore critico-analitico che ho certamente ereditato dagli studi filosofici. E Wittgenstein – tanto per dire un autore che ho amato molto – mi fa sempre una bella compagnia, quando voglio capire qualcosa.
    D’altra parte, è così divertente mescolare i linguaggi, le discipline, i metodi, gli argomenti.
    Ciao!

  5. Cara Loredana, adesso ci metto a pensare un po’, intanto appunto qui qualche questione che mi viene d’acchitto:
    1) quel genere di prodotti appartengono perlopiu’ alla filosofia contemporanea anglosassone, ovvero a una tradizione ben precisa che utilizza strumenti e si muove da una definizione di filosofia ben precisa, quindi parziale e discutibile. Altre filosofie importanti funzionano in modo diverso. ANche se in Germania Adorno scrisse sugli oroscopi…
    2) molto molto spesso questi libri (i simpson e la filosofia, il baseball e la filosofia ecc. con la variante anche del Prozac meglio della filosofia, che e’ un capitolo a se’) sono al massimo nuove scatole per vecchi temi filosofici: la questione di Matrix c’e’ gia’ tutta in Platone.
    se e’ solo questo, non mi pare un gran che’. trovo migliori gli originali.
    3) si dice il nostro tempo appreso col pensiero. Beh, mi sorprendo di piu’ che i filosofi si interroghino cosi’ poco su questioni come il climate change, il consumo come pratica universale ecc. che del fatto che abbiano poco da dire su sull’ermeneutica del Tempo delle mele.
    adesso ci penso un po’
    un abbraccio

  6. L’idea di una ricognizione dei linguaggi quotidiani l’ho sentita proporre da Mario Vegetti (uno dei maggiori esperti viventi di Platone, e non solo in Italia) in una serissima sede, come risposta alla domanda: come uscire dalla crisi in cui è caduta la filosofia contemporanea?
    L’idea di una pop-filosofia non è quella del filosofo che scrive due sciocchezze per divertirsi e poi torna ad occuparsi dei massimi sistemi, ma quella di interrogarsi (con gli strumenti propri della filosofia: fenomenologia, decostruzionismo, filosofia analitica, ecc.) su quali siano i processi attraverso i quali attribuiamo un determinato valore a un certo enunciato, o ad una certa sequenza di comportamenti. E se certi enunciati, certi miti, certe figure simboliche sono condivise da un largo numero di individui, non sarà il caso di chiedersi “perché”, e magari anche cos’hanno in comune questi individui che orientano le loro preferenze e le loro scelte di valore nella stessa direzione? Lo snobismo un po’ spocchioso della prof.ssa Vassallo, che cita Marin Marais come se fosse l’unica a conoscerlo, va a braccetto con la più facile delle risposte: quella che considera negativi a prescindere i prodotti culturali di massa, evitando così la fatica di sporcarsi le mani con la plebe volgare e di far sudare i neuroni per cercare di capire il mondo in cui viviamo. E magari, una volta capitolo, per cercare di cambiarlo. Ma, sospetto, a certi intellettuali il mondo va bene così.
    Quanto al fatto che di Marin Marais «la filosofia pop non si occuperà probabilmente mai» (parola di Nicla Vassallo), in questa programmazione culturale “dedicated to the idea that knowledge should be shared” il pubblico assisteva una sera all’esecuzione di brani di Marais, e un’altra ad una conferenza di Henry Jenkins.

  7. E come dice Jenkins da Girolamo appena menzionato, “la produzione teorica accademica” è una “pratica sottoculturale fra le tante possibili”… (lo dice in “Fan, blogger ecc.” ma lo ripete spesso).

  8. Dunque, mi ero persa sto post Dio Pirillo
    Mo numme filerà anima viva!
    – Io su Adorno ci ho fatto la tesi, e nell’elaborazione filosofica dell’industria culturale ci sguazzo, oggi più di allora che mi occupo di Gender Studies. In ogni caso, il tribunale di ogni pensiero filosofico è sempre il complemento oggetto della realtà, e della realtà mentale di un mondo: dunque non c’è da sorprendersi che oggi la filosofia si occupi del pop perchè il pop è l’oggetto mentale di questo momento storico, esattamente come l’eternità dell’anima era l’oggetto mentale di San Tommaso, e la “summa theologica” nongià un libro da preti e credenti, ma il vocabolario, il wekepedia di un mondo lontano.
    Va detto però questo: c’è nella riflessione sul pop una seduzione, una prouderie, qualcosa di accattivante e che attira alla materia sguardi non sempre competenti e spesso troppo pigri: si poppizza la filosofia, la si facilita con delle riflessioni a basso costo. Non parlo naturalmente di te Loredana perchè la mia stima è assodata, ma è anche vero che non ho letto ancora i testi tuoi di cui parli, e forse chi sa, in qualche cosa potremmo essere in disaccordo. Ma se tante cose le ho trovate interessanti in tema, tante altre, per esempio I simpson e la filosofia non superano la barriera del grazioso, ma ci si muove ancora troppo in superfice. La filosofia non deve solo chiedere, non deve fermarsi alla sociologia, la filosofia deve avere la forza di rispondere paradigmi di senso. Che muoiono uno dietro l’altro, ma ne rimangono sempre le ossa.

  9. Sono d’accordo sul fatto che il rischio di riflessioni a basso costo sia reale, ma credo che questo rischio non debba precludere una seria riflessione, ad opera della filosofia, sulla cultura di massa, oltre che sullo statuto del proprio discorso nello spazio della cultura di massa. Se la filosofia, oltre a essere un discorso, è anche un genere di scrittura, proprio nel confronto con la cultura di massa oggi può trovare nuovi modi di scrittura, nuove forme attraverso cui produrre la socializzazione delle sue verità, per riprendere una formula gramsciana. Da questo punto di vista, l’analisi di Adorno sull’industria culturale mi sembra inadeguata. Nel mio pezzo in risposta all’articolo di Nicla Vassallo volevo solo sottolineare che un rifiuto a priori del confronto tra filosofia e cultura di massa in nome di una presunta purezza del discorso filosofico mi sembra oggi fuori luogo e frutto semplicemente di uno snobismo secondo cui la filosofia, in fondo, non sarebbe buona per le masse. Che il terreno del confronto sia minato non significa che quel terreno non debba essere esplorato. Mi sembra poco interessante, e forse pericoloso, dire che quel terreno è infestato dal male e che è meglio restare chiusi nel proprio campo sicuro secondo lo schema mentale di “The Village”. Perché scendere sul quel terreno può anche significare riprendere in mano, in modo nuovo, un problema vecchio quanto la filosofia: e cioè il rapporto tra il sapere filosofico e il suo pubblico che non si può risolvere, credo, semplicemente con i festival. E’ la questione già platonica dell’esoterico e dell’essoterico, che riprende anche Kant quando pone il problema della filosofia popolare, fino a Gramsci. Che cos’è oggi una filosofia pop(olare)? Esite, ad esempio, in filosofia qualcosa di analogo alla letteratura di genere e agli straordinari risultati, in termini di qualità, che gli scrittori che lavorano forzando i generi producono? Non ho risposte ma mi interessano queste domande. Per parte mia, che sono di formazione derridiana, e che oltre a libri pop ho scritti testi più accademici su Platone e Derrida, credo che la filosofia debba lavorare su più livelli, secondo diversi registri, senza avere paura di perdere la propria specificità che, credo, non è data né da un metodo né da un genere di scrittura ma dalla possibilità di reinventarsi, ogni volta, per rispondere nel modo più giusto agli appelli, che sono più d’uno, del proprio tempo.

  10. Sul rapporto tra filosofia e popular, parlate pure di Adorno, di Platone, di Gramsci, di Kant… ma non parlate di Locke, perché è SPOILER!!!!
    😀
    (scusate, so d’aver scritto una cretinata, ma non ho resistito)
    😀

  11. @ Simone Regazzoni
    Vorrei dirti che qui c’e’ sempre l’argomento, molto spesso legittimo e giusto, contro gli snob in qualsiasi ambito. Guardate dall’alto in basso Domenica In e il calcio, i Vanzina e i videogiochi e invece tutto questo offre occasioni su cui riflettere. Sarà pure vero, fatto sta che molto spesso, la qualità dei libri che associano un prodotto pop a una lettura filosofica sono di scarsa qualità (non parlo del tuo libro che non conosco), esercizi di stile arguti per surfare sullo spirito del tempo dei festival culturali. Per cui meglio qualcuno che mi dice cos’è la Teodicea attraverso un simpatico telefilm piuttosto che farne a meno (mica e’ obbligatorio parlarne) oppure leggermi Leibniz. Possono essere al piu’ prodotti di divulgazione filosofica (come la scienza e Star Trek lo sara’ per la scienza) e non c’e’ niente di male peraltro, ma non opere filosofiche (qualsiasi cosa voglia dire quest’espressione).
    Non tutti sono Jenkins e non basta dipingere un iPod o Paris Hilton per essere i nuovi Andy Warhol.

  12. Uhm, io per la verità penso che tutti possono essere Jenkins, e che l’indagine filosofica vada sempre fatta, sia sempre meritevole e si serva di tutto ciò che passa il convento. Però il surfismo mi indispone: la facilizzazione anche: perchè sottovaluta l’uditorio, sottovaluta l’altro. Se ti va, ti puoi sedere e cercare di capire. E non mi va di passare per snob io perchè ti dico minchia, la parola “ontologico” esiste. E no, mo te spiego che vuol dire, non ne uso un altra perchè un’altra non c’è.
    Un’altra è populismo.
    (Chiaramente non mi riferivo a nessuno qui eh, ero in preda all’afflato retorico:))

  13. Claudio, in fondo è una vecchia storia. Che parte almeno da quando Kant scoprì che (la banalizzo) per sapere cosa c’è dentro la testa delle persone non c’è altra via che partire da quello che dalle teste viene fuori, e provare a dedurne i meccanismi generativi. Se questo principio vale (un’asse Kant-Bateson, diciamo), viene a cadere ogni principio di gerarchia preliminare tra le diverse espressioni dell’ingegno umano. Non solo: più prodotti della mente riesco a ricostruire, più cose scopro della mente. Il che non è poco, mi pare. La pop-filosofia viene da qui, in linea teorica. Dal punto di vista pratico, ha bisogno di filosofi che smettano di vergognarsi dei telefilm, delle canzonette, dei fumetti, dei film di Totò, ecc. Poi, non dimentichiamo che Platone NON attribuiva valore educativo ai testi omerici, che per lui erano solo favole, e di basso livello: B-movies in versi, potremmo dire. Eppure cita versi omerici a piè sospinto… E che il film sulla vita di Marin Marais, Tutte le mattine del mondo l’ha girato un regista di noir, Alain Corneau.

  14. L’ignoto e le arti divinatorie attraggono la curiosità di chiunque. Anche altri campi attraggono la curiosità, come per esempio il perché sono torturata impunemente da quindici anni e nessuno si è mai interessato al mio caso benché abbia esercitato comunicazioni e informazioni a 360°.
    Chissà se qualcuno si sente in grado di rispondermi. Perché il capo del personale del posto di lavoro che ha da anni assecondato il crimine è sereno, tranquillo e beato?
    Vi invio un po di link da riflettere. Grazie. Un cordiale saluto e un buon fine settimana. Giovanna Nigris (giovanna.nigris@gmail.com)
    http://politicalshaman.splinder.com/
    http://it.youtube.com/watch?v=K0IG4I3YAT0
    http://it.youtube.com/watch?v=Wqb-d27vYtU
    http://www.mobbing-sisu.com/cronaca_documentata.php
    http://www.mobbing-sisu.com/poesie/justice.html

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