FORTINIANA: LA VERITA' E LA TENEREZZA NON PASSERANNO

Quando il gioco si fa duro, si torna a Franco Fortini. Ci sono argomenti come il vivere in questo paese, la centralità della scuola, la subalternità che sono esattamente quelli centrali del momento. E dal momento che il gioco si è fatto durissimo, e che si continuano a usare le parole dell’avversario, come si diceva qui ieri, magari tornano utili. Buona lettura.
Ultimo dell’anno
Quando avevo dieci o dodici anni, la sera dell’ultimo dell’anno, e i miei genitori erano usciti per uno spettacolo o una cena con gli amici, andavo a mezzanotte a mettermi davanti a uno specchio e lì giuravo a me stesso di durare così com’ero, di continuare a scrivere poesie per tutta la vita e di non diventare mai come gli altri, come gli adulti. Ora ho sessant’anni e mi pare di aver tenuto fede a quella promessa, non sono mai diventato del tutto un adulto, certe volte mi chiedo se la vita non debba ancora cominciare. Tutto questo potrebbe essere anche sereno, se non felice. Qualche volta mi dà angoscia. Se ho scritto tanto, in versi e in prosa, se ho tradotto tanto e se ho lavorato senza requie per quasi quarant’anni è perché non sono mai riuscito a capire chi fosse veramente quello che in me lavorava e scriveva. Questa divisione, questi rapporti con uno sconosciuto, si chiamano con certi nomi; e sono i nomi che vengono dati dalle religioni e dalle psicologie. Non ce la faccio più a cercare di sapere se sono una persona o due o cinque. Non so chi sono e devo confessare che non me ne importa più.
Non so chi sono ma cerco di sapere chi sono stato, ossia in quale rete di storia e di società mi sono trovato a vivere. L’angolo di mondo, che si chiama Italia, i rapporti fra la gente, fra gli analfabeti, i semianalfabeti, gli studiati, la gente colta, le sinistre borghesi, i borghesi di sinistra, i nuovi veri irraggiungibili privilegiati, i mangiatori di uomini, diciamo, che incontro ogni giorno, ai quali sorrido affabilmente ed ai quali spero piaccia il mio lavoro… tutto questo cerco, sì, di capirlo come posso. Non è vero che non sono stato felice. La felicità è stata nei momenti di accordo fra l’esperienza e la parola mentale. Nei momenti di novità, anche, quando la promessa di mutamento diventava decisione.
Vorrei dire quando lo sono stato. Ma non ci riesco. L’ho scritto tanti anni fa, in versi. E in questo momento avrei voglia di scherzare. Ma come fare a scherzare senza strafare? Non ho messaggi. Quando si sono scritte tante pagine, i messaggi, se ci sono, sono lì. Mi viene in mente il poscritto che un grande uomo, uno scrittore e combattente della libertà del suo paese, il cubano José Martí, quasi ottant’anni fa vergò in una lettera a sua madre. Le annunciava che era sul punto di partire per una spedizione, uno sbarco nell’isola, contro gli occupanti spagnoli, come il nostro Pisacane; che sapeva del rischio (fu ucciso, infatti, dopo lo sbarco e una lunga guerriglia). Scriveva quell’uomo che aveva più di quarant’anni, alla madre, come tanti di noi hanno scritto, chiedendo perdono di mettersi nei pericoli ma riconoscendo che, se lo fanno, è anche per l’insegnamento che le madri gli hanno dato. E dopo aver firmato («tuo figlio José»), aggiunge: «La verità e la tenerezza non passeranno». La verità e la tenerezza, contrapposte e unite.
(Un giorno o l’altro, 1977)
Riguardo al discorso che di solito si fa sulla unità di teoria e di pratica, io sono a favore della separazione fra teoria e pratica, purché vi sia la pratica. Che cosa deve provare di sé un ragazzo della vostra età? Deve provare le possibilità che lui ha. Per esempio: la possibilità fisica, che può esprimersi nello sport o nella fatica fisica. Prendiamo il caso della fatica fisica, la bruta fatica dello spaccalegna, di chi deve scaricare un camion di sacchi o scavare la terra. Diventa una prova: il corpo viene spinto al massimo. Si sperimenta se stessi come pura macchina. Conoscere questo, sapere quali sono le proprie possibilità, è molto importante. Nello stesso tempo c’è un altro aspetto: quello dell’attività intellettuale non strumentale, come quella dello scoprire o del formulare un teorema di geometria, oppure vincere le difficoltà di una traduzione, oppure il godimento intellettuale di una sequela puramente logica. E molto importante avere nell’età scolare la possibilità di provare questi estremi. Guai se perdi quella gratuità. I ragazzi sono tutti figli di prìncipi. Il mondo è stato fatto per loro.
Discorso agli studenti della Scuola Media Gianni Rodari in Crusinallo di Omegna.
Le culture subalterne sono colpite di inessenzialità e divengono derisorie anzitutto ai margini, sulle frange contigue alle forme e ai valori delle classi superiori. L’uomo subalterno è un colonizzato, vive fra le ombre di forme inutili. Esiste senza limite; sarebbe una semplice intenzione se non si portasse i residui delle forme morenti e se – soprattutto – quei residui, «rigenerati», non gli venissero continuamente proposti dalla classe dirigente. Naturalmente la forma del privilegio è autentica in quanto è del privilegio mentre è inautentica in quanto può essere solo per sottrazione di autenticità ad altri, per reificazione degli altri. La sostanza umana degli altri diventa la materia prima della vita privilegiata. La necessità non diventa coscienza, i progetti impossibili, la passività lasciano come colare una lava di esistenza con cui il privilegiato risparmia la propria. Nella società contemporanea, il partecipe del privilegio nuota, alla lettera, nella semenza umana e se ne ricava le forme, i modelli…
Dare forma alla esistenza (1967)

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