L’articolo sul Fatto quotidiano comincia così:
“Emma non vuole cartelle di Barbie o Peppa Big. Emma vuole, e ha, una cartella di Spiderman e poco importa se per gli altri è da maschio. Matteo al calcio preferisce la danza. Vorrebbe essere Billy Eliott e non Mario Balotelli. Qualcuno li definirebbe “bambini di genere non conforme”, per altri sono “bambini arcobaleno”. Un termine che arriva dagli Stati Uniti per descrivere i piccoli che non possono essere ancora definiti omosessuali, ma che non si riconoscono nel sesso di nascita e hanno gusti e atteggiamenti più vicini a quello opposto”.
E qui ci si arresta, anche se non si dovrebbe perché, proseguendo, ci sono opinioni interessanti e belle come quelle di Giorgia Vezzoli. Perché quello che l’articolo suggerisce è che bambine e bambini che giocano senza seguire l’etichetta del genere sono predisposti all’omosessualità. Infatti:
“Ma un bimbo che predilige giochi e attività destinate al sesso opposto da grande sarà omosessuale? Per ora, secondo i pochi studi in circolazione (quasi tutti americani) è molto probabile. Le dichiarazioni di gusti e scelte negli anni dell’infanzia sono già una sorta di coming out“.
Con licenza parlando, fesserie, e sarebbe bello sapere quali sono i sia pur pochi studi in circolazione. Sarebbe anche bello sapere la necessità dei distinguo fatti, e se a giustificarli basta lo spirito del tempo cambiato, laddove i vecchi schernitori dei femminismi hanno rialzato la testolina e si riuniscono in allegre bacheche a ghignare su ogni post o iniziativa o articolo che riguarda i femminismi medesimi, ma questa è storia vecchissima e ha stufato voi quanto me.
Due link, allora. Il già citato Let Toys Be Toys, che andrebbe preso a esempio per serietà, coesione fra i proponenti e risultati ottenuti. E la storia di GoldieBlox, bellissima, raccontata da Supermambana. Così, tanto per rendersi conto che esistono anche cose belle e ben fatte.
Che tristezza. Il paradosso è che potrebbe essere vero PROPRIO perché ai giochi si attribuisce questo significato 🙁
Intanto c’è questo errore epistemologico sempre incoraggiato dalla stampa: per cui se a è un fenomeno costantemente correlato a b, ogni volta che vedi b devi supporre a. come causa. Ma sbagli, perché se vai a vedere b è anche presente nei casi di c d ed e. Tradotto: la gente può avere la febbre, per un infezione per una malattia virale per un raffreddamento. Non è che siccome te conosci solo le malattie virali puoi credere che ogni volta che uno ci ha un po’ di febbre ci ha un virus. Per esempio – anche nelle famiglie più reazioarie se il figlio maggiore è di genere diverso dal minore, è frequente che il minore sia attratto dai giochi del maggiore perché sono considerati attraenti per l’età per un’aroma di adultità che hanno. Poi ci sono certamente bambini che giocano con giocattoli tradizionalmente legati al sesso opposto, perché si identificano col genitore di sesso opposto e questo potrebbe preludere a una scelta omosessuale futura, ma si da anche il caso che una figlia femmina interpreti il proprio genere come ha fatto sua madre se sua madre non è una donna molto conservatrice come ruolo di genere.
In generale comunque – c’è una svalutazione collettiva verso il mondo del femminile che viene devoluto solo alle bambine perciò, e una ipervalutazione del maschile che viene proposto a bambine – figlie di contesti più progressisti e bambini. Quello che è fuori di dubbio, da un punto di vista clinico, che la disforia di genere non si diagnostica in base ai giochi utilizzati e basta, ma si deve mettere insieme a tante altre cose.
(In tutto questo, io penso che sia meglio rispettare nei primi anni di vita i giochi per genere ma questo è ot)
@Costanza
Anche se ot si può spiegare meglio l’ultima frase? O fornire delle fonti a cui fare riferimento?
Ho notato che soprattutto nei primi 3/4 anni di vita, in genere prima dell’ingresso alla scuola dell’infanzia, se lasciati liberi e senza giudizi di sorta i piccoli giocano con tutto. Parto da un osservatorio limitato alla mia famiglia e ai bambini e alle bambine che hanno frequentato la nostra casa o i nostri giardini. Tutto cambia quando una nonna o un nonno, ma anche un genitore, lascia intendere al nipote che è meglio non toccare il passeggino “che è da femmina”…
Io sono un esempio di quel che dice Costanza: da bambina mi vestivo da maschio, pretendevo i capelli tagliati corti, ed ero contenta se mi scambaivano per un maschio, perché ritenevo che essere femmina fosse una gran fregatura. Nella mia famiglia le femmine lavoravano fuori casa E in casa; e nella maggiorparte dei libri, fumetti, cartoni che amavo erano i maschi a fare tutte le cose interessanti e avventurose, le femmine -femmine… perlopiù svenivano, venivano rapite e salvate, blandite con regalini e mazzi di fiori. Lady Oscar (mio grande mito) era ganza appunto perché era stata allevata come un maschio, se no avrebe fatto la dama di compagnia e sarebbe stata a palazzo a prendere il te’. Sai che avventura! E tuttora è vero che è facile che, per motivi diversi, il mondo femminile sia essere percepito come inferiore perché è come dire un’eccezione, mentre il maschile è universale. Perciò è accetttabile che una bambina si vesta di rosso giallo ecc. ma il rosa (nelle varie nuance) è solo per le femmine. I lego “per tutti” sono di tutti i colori, ma ci sono i lego rosa che sono solo per le femmine e fanno solo poche cose da femmine. Come la giri la giri, la presenza femminile è di minoranza. Nel tipico cartone moderno, lungometraggi o serie tv ispirate o meno a giocattoli, l’eroe è maschio, la squadra sono 3 maschi e 1 femmina, i comprimari sono 9 su 10 maschi. Se le protagoniste e la loro squadra sono tutte femmine, il colore dominante è il rosa, allora è un cartone solo per femmine. Così per tutti i giocattoli. La Nerf ha fatto di recente l’arco per bambine: colore, rosa; nome: Re-belles, nome modello: Heart-breaker, copy: è come me, elegante e preciso. Ora, preciso è ok per un’arma, ma essere belle eleganti e spezzare cuori, nell’ ambito di un gioco avventuroso e guerresco direi che non è tra le cose più pertinenti, e almeno a me da bambina non avrebbe fatto che confermare la mia idea su ciò che ci si aspetta da una femmina: essere fatue, svenevoli, da tipa che durante il grande assedio alla rocca degli orchi dice oh cielo mi si è spezzata l’unghia! Tuttora a volte non trattengo l’insofferenza davanti all’ennesima trousse da trucco in omaggio con le scarpe o all’appello a bambine piccole a essere trendy, giocare allo shopping o a cose che riguardano i capelli i vestiti il make up. E mia figlia a volte, credo per compiacermi, anche lei dice: che schifo! e mi si stringe il cuore. Spero solo di riuscire a farle capire che non disprezzo affatto lo shopping, il trucco, il colore rosa e soprattutto l’essere femmina, ma disprezzo chi cerca di limitarti e imprigionarti in queste cose solo perché sei nata femmina.
Perdonate la banalità, ma anche fosse che esista una correlazione (magari forte) tra la tipologia di giocattolo richiesta dal bambino o dalla bambina e il suo orientamento sessuale, dove sarebbe il problema!?
Ho la “vaghissima” sensazione che dietro a questi enunciati ci sia la solita voglia di fare l'”eziologia” del genere e dell’orientamento sessuale. Per “curarli” e renderli “conformi”.
Ah, comunque io sono anche scettica sull’approccio tipo GoldieBlocks, forse l’ho già detto qui in passato. Mi pare un po’ l’approccio usato dalla Lego quando hanno lanciato le famose Lego Friends, i lego per femmine.
Come han detto in molte, se davvero si volesse (ri-)avvicinare le bambine ai lego, si potrebbe forse far sì che nel mondo Lego City ci siano più personaggi femminili, e attività più eterogenee. Invece così ci sono due mondi separati, uno maschile grigio e blu e rosso con solo maschi, azione, pompieri guardie e ladri; l’altro rosa con solo femmine cuccioli café e estetiste… Il tutto in nome del fatto che le femmine giocano in modo diverso dai msachi. Non so, l’idea che le bambine abbiano bisogno di un approccio speciale, ad hoc, per appassionarsi alla scienza e la tecnologia, non riesco a digerirla.
Pienamente d’accordo con Francesca.
Si dovrebbe tornare al vecchio approccio Lego. (ma la moltiplicazione di prodotti legati anche ai film forse genera più guadagni)
Da bambina degli anni 70 ricordo bene che i mattoncini erano quasi unisex.
Semmai il problema risiedeva nel parentado che nonostante richieste specifiche si ostinava a regalare cicciobelli e affini.
A me risultano anche studi (svedesi mi pare) in cui emergono cose come la capacità di essere più empatci e meno bulli se (ad esempio) i maschietti giocando invertono i ruoli, e temo che le dichiarazioni del giornalista del Fatto siano anche legate alla situazione italiana: che fatica dannatamente ad uscire dal timore che meno stereotipi significhi una identità di genere dubbia. Boh. Siamo quasi ultimi per parità di genere e ci stiamo a preoccupare??
Non riesco a prendere sul serio questo articolo del Fatto. E’ direi ‘tendenzioso’. Casomai si inserisce nella (quasi ovvia) volontà di controllo sui figli, che passa attraverso il cercar di sapere ‘cosa è meglio per loro’, e poi diventa condizionamento. E in questi tempi di crisi i figli sono (tornati) ad essere un bene-rifugio, non dissimilmente da quando erano la futura forza lavoro dell’era contadina. Con tutte le diffrenze del caso…
Comunque, per tornare all’articolo del Fatto, come dicevo anche su Facebook, mi pare, da profana qual sono, che faccia confusione sui piani.
I “gender non-conforming” kids (che secondo me non si dovrebbe tradurre come “bambini di genere non conforme”, bensì “non conformi al loro genere”) hanno proprio un’identità che non coincide col loro genere biologico. Ovvero hanno genitali maschili, ma non si sentono maschi, e attraverso comportamenti e parole fanno capire con forza che sono, o vogliono essere, di un altro genere. Idem le femmine.
http://www.welcomingschools.org/pages/a-few-definitions-for-educators-and-parents-guardians
Metto un altro link sempre in inglese che secondo me fa capire di che si parla, e che non stiamo parlando di steroetipi, modelli culturali ecc.
http://everydayfeminism.com/2014/10/lies-about-nonconforming-children/
Invece, un’altra cosa è avere genitali maschili e sentirsi maschi, o genitali feminili e sentirsi femmina, ma avere inclinazioni, gusti, comportamenti in parte non conformi alle aspettative prevalenti che la società ripone in quel genere in quel momento storico. A te maschio degli anni ’50 piace fare danza e non pugilato, ma non metti in questione di essere un maschio. Vuoi essere un maschio che danza. A te femmina piace giocare con la ruspa e non con le bambole, ma ti senti comunque una femmina. Una femmina che le piacciono le ruspe.
Condivido in pieno i pareri di M. e di Paola Di Giulio.
Studi finlandesi sull’edilizia segnalano tra le maestranze identità femminili che hanno genitalità maschili e maschilità che hanno genitalisimi femminili, ma questo si fa notare, non può implicare necessariamente una scelta orientativa al genere che è già “orientamento” all’identità dei muratori. Per cui ben vengano i mattoni unisex, purchè la scelta lnon sia imposta ai manovali quasi che il cromatismo del laterizio fosse un etichetta biologica da affibbiare a chiunque non corrisponda ai presunti normotipi generali
Il fatto è che l’italia risente di un plurisecolare retaggio vaticano che la imprigiona negli stereotipi abitativi In alcuni paesi molto più avanzati del nostro, le ruspe nei cantieri invece che il solito banale giallo, sono dipinte di un allegro rosa, e per i muratori biologicamente maschi ma con orientamento di genere femminile, è ammessa una deroga alle norme di sicurezza nei cantieri, che gli permette di indossare il tacco 12 anche su impalcature. gli stessi muratori superstiti durante la pausa pranzo si mettono a giocare con la barbie vestita da muratore con la gonna. E nessuno si scandalizza..Da noi invece in questi tempi di crisi si vorrebbe tornare al vecchio approccio anni 70, in cui i muratori con la canottiera i fischiavano alle femmine. Con tutte le differenze del caso…
Ciao,k.
@k
Rispetto il post originario che senso ha?
Anche noi siamo andati un po’ ot ma nel suo caso mi sfugge davvero il significato.
Si ha sempre l’impressione che tutto quello che riguarda gli stereotipi non sia degno di attenzione, facciamo spallucce, qualche risatina e via. Che tristezza. Spero davvero di aver inteso male.
Buona notte, ma davvero.
Mi ritrovo molto in quello che dice Francesca Violi: ho avuto un infanzia (felicissima) da maschiaccio e mi sono divertita moltissimo. Tutti i giochi di mio fratello erano i miei e per il compleanno ricordo di aver chiesto guanti da portiere (ovviamente giocavo a calcio) e palloni.
Poi se mi guardo indietro mi dico che sicuramente la mia scelta di fare il maschio (dicevo anche di chiamarmi Marco e avevo i capelli corti e sempre e solo pantaloni) sicuramente ha a che vedere con una percezione di maggiore libertà in quel ruolo. Oltretutto ero particolarmente accettata dal gruppo dei pari che era tutto al maschile, avendo un fratello di poco più grande di me.
…
Come mi comporto coi miei figli maschi? Cercando di offrire loro alternative. A casa nostra ci sono sempre state bambole e giochi per fare la cucina e i bimbi apprezzano. Però ho notato che il mio primogenito che ora ha 6 anni sta molto cambiando e da giudizi categorici su ciò che è da maschio e ciò che è da femmina. E di certo non li ha introiettati in famiglia dove il padre ha sempre avuto un ruolo accudente e fa in casa più di quello che faccio io.
@ElenaElle: Forse dobbiamo sfatare un altro mito: che tutto si decida in famiglia scambiando i figli per un blocco di marmo da forgiare una volta e per sempre in un determinato e solo modo. Esiste anche una società che spesso va in altra direzione rispetto al tipo di educazione scelto dalla famiglia. Il ruolo difficilissimo di chi educa è cercare di introdurre nei figli un approccio critico rispetto a quello che li circonda; l’esempio diventa in questo caso fondamentale.
Tuttavia, ci piaccia o no, l’ultima parola sarà quella dei figli (se sapranno e vorranno crescere!)…
@Luca
Ma certo che non sono un blocco di marmo ecc. ecc. ecc.
E per fortuna che l’ultima parola sarà quella dei figli!!! (io da figlia ho lottato tanto per averla questa ultima parola…)
Non conto più le storie di mamme di maschi avvicinate da perfetti estranei che raccomandano di non mostrare fiori ai figli, di non farli giocare con le bambole, e più in generale di evitare qualunque contatto con “cose da femmina” che avrebbero evidentemente il potere di contaminare e corrompere la virilità che sboccia. Lo stesso terrore non si manifesta con le femmine probabilmente perché si tollera la ”promozione” della femmina nel territorio del maschio mentre la ”degradazione” del maschio verso la femmina è ridicolizzata e intollerabile.
Detto questo, mi pare che l’imporre ai bambini giochi divisi per genere sia una cosa del tutto analoga a scoraggiare i bambini dallo scegliere secondo il genere: cioè se una bambina mostra di amare le bambole rosa, DEVE poter giocare con le bambole rosa, così come se un maschietto adora le macchinine, DEVE poter giocare con le macchinine.
Il comprendonio di un bambino di 2-4 anni è limitato e non vorrei che capisse che dove io vedo manipolazione di marketing, lui vede il rifiuto della sua natura. In parole povere se io faccio capire a una bambina che non mi va bene che giochi con la Barbie (perché è frutto del marketing sessista), lei invece capisce dai compagni che la Barbie rosa è cosa da femmine e deduce che non mi sta bene che lei ami le cose da femmine, e forse che non mi sta nemmeno bene che lei sia una femmina.
@ElenaElle: condivido e ti comprendo: anch’io ho dovuto faticare per avere l’ultima parola… ma anche per recuperare certe cose che avevo frettolosamente contestato ai miei!
@Calenda Maia: credo tu abbia perfettamente descritto il dilemma e le contraddizioni che si pongono ai genitori e soprattutto ai figli quando gli insegnamenti della società cozzano decisamente con quelli familiari. La domanda, terribile nella sua banalità, è quindi: che fare?
M. il senso del mio esilarante messaggio è quello di provare a esprimere sotto forma di parodia le difficoltà che ci sono nel trasmettere le teorie educative gender. Difficoltà, che ammetto ci sono però anche nel recepirle. A me per esempio non convincono per niente. Negano la realtà e per questo appaiono demenziali e confuse (come il mio precedente messaggio)
Contraccambio la buonanotte
Ciao,k.
@Luca Perilli
Premesso che secondo me l’identificazione di genere può avvenire in base a diversi stimoli, come per esempio i bagni divisi oppure qualche mamma incinta che si presenta a scuola, che obbligano i bambini a vedere che sono fatti in modo diverso e che solo le femmine hanno il seno e possono avere bambini, ecc…
la mia soluzione personale è quella adottata negli asili e nelle scuole materne “normali” : i bambini hanno accesso a tutti i tipi di giocattoli, dai bambolotti alle costruzioni, e possono giocare con quello che vogliono senza che gli adulti commentino le loro scelte come giuste o sbagliate. Eventualmente occorre prepararsi a difendere il bambino che prende in mano il passeggino oppure la bambina che vuole fare il pompiere dalle obiezioni degli estranei che li ridicolizzano, come si farebbe quando un estraneo dice a un maschietto di non piangere perché i maschi non piangono. Ho in mente adesso un post di Lorenzo Gasparrini in cui raccontava di una maestra che riservava il gioco con la cucina alle femmine e quello delle automobili ai maschi, ecco a me sembra che l’apartheid lavorativo e la poca considerazione del contributo femminile si rifletta e sia coltivato in questi atteggiamenti.
P.S. ma ripeto, l’evitare commenti include secondo me anche la scelta ”consona” al genere. In questo periodo sto digerendo il periodo rosa & glitterato di mia figlia che ha quasi 5 anni, che adora i mini pony, hello kitty e tutto l’armamentario “da femmina” in quanto lo considero una fase necessaria. Poi quando mi dice che un giorno sposerà la sua migliore amica, non sono ancora preparata a rispondere 🙂
Caro k., le “teorie del gender” esistono solo nella mente dei religiosi oltranzisti e reazionari (soprattutto di stampo cristiano ma non solo), per il resto esistono da anni nuovi studi accettati pacificamente dalle scienze psicologiche e sociali che stanno (tentando di) descrivere l’estrema complessità della sessualità umana, lontana mille miglia dalla semplificazione biblica di tipo rigidamente fisiologico e binario e dalle sue derivazioni più “laiche”. Del resto, è dall’avvento della psicanalisi che la conoscenza e la percezione della sessualità umana sta cambiando facendosi sempre più complessa, ricca di sfumature e di variabili non sempre interdipendenti.
Capisco il tuo senso di smarrimento: la semplificazione binaria cui abbiamo aderito per quasi due millenni attraverso l’egemonico dettame culturale di origine giudaico-cristiano era comodissimo come il mondo diviso in due blocchi; purtroppo la realtà umana sfugge sempre alle divisioni rigide e mostra un ventaglio di variabili molto più variegato.
Il problema è che culturalmente si sta tentando un ritorno deciso a quella semplificazione, non tanto per ragioni filosofiche o religiose, quanto di mero marketing. Evito volutamente di citare chi pensa questa marcia indietro come una questione di potere, perché lì siamo nella cattiva fede più totale e chiunque frequenta questo blog sa dove si vorrebbe andare a parare.
@Calenda Maia: totalmente d’accordo con te, capisco anche il tuo smarrimento verso i propositi della tua bambina… forse, banalmente, puoi rispondere che ne riparlerete quando lei e la sua amica del cuore saranno entrambe più grandi perché ci si sposa da adulti! (e forse chiedendole pure cosa ne pensa la sua amica perché puoi già spiegarle che, oltre che da grandi, si deve essere d’accordo in due per sposarsi!) 😉