I BUNKER DEL NUOVO FASCISMO E UNA STORIA DA REINVENTARE

Ieri sera, su Facebook, ho citato un lungo e importante articolo di Naomi Klein e Astra Taylor per The Guardian sul fascismo della fine dei tempi. Leggetelo. Fra le altre cose, analizza l’ascesa di Trump e Musk e delle destre alla luce di una visione apocalittica e survivalista: in poche parole, il diffondersi fra alcuni personaggi, laici e ricchissimi, di una visione del futuro dove il mondo crolla e pochi eletti sopravvivono e prosperano in arche, bunker e città recintate. L’arca laica di Marte per Elon Musk, per esempio, ma non solo. Scrivono Klein e Taylor che i tecnocrati miliardari si sono arrogati un potere divino: non solo costruiscono le arche ma “fanno del loro meglio per causare il diluvio”. Nel suo podcast, Steve Bannon invita a fare scorta di pasti pronti per sopravvivere nei famigerati bunker da costruire da soli (da Mr. Patriot Supply, uno dei suoi sponsor, specializzato in barrette proteiche, filtri per l’acqua e altre piacevolezze apocalittiche), e, già che ci siamo, a esercitarsi a sparare. Naturalmente fa di più, e costruisce giorno dopo giorno e puntata dopo puntata una visione degli Stati Uniti come Grande Bunker, dove le strade e le università e i luoghi di lavoro e sono pattugliati quotidianamente e dove spariscono i nemici, migranti, e oppositori. Recentemente, il direttore dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement), Todd Lyons, ha dichiarato di voler trasformare le espulsioni in attività commerciale: “come Amazon Prime, ma con esseri umani”.
Giuro che è vero.
Del resto la corsa alla sopravvivenza dei privilegiati risale al primo mandato di Trump, mentre anno dopo i transumanisti, superprivilegiati anch’essi, ci spiegano che la vita si può prolungare, quasi indefinitamente, potendoselo permettere. Mark O’Connell, in Essere una macchina, ci aveva già avvertito che la lotta di classe, in un futuro vicino, avrebbe riguardato l’immortalità. Se vi ricorda l’eugenetica, avete perfettamente ragione.
Qualcuno, ieri, ha commentato che l’Apocalisse è ancora lontana. Forse, certo, e forse no. Ricordate Thomas Stearns Eliot in Hollow Men?

 È questo il modo in cui finisce il mondo/ Non già con uno schianto ma con un lamento.

Nella letteratura fantastica il mondo è finito spesso:  per contagio e/o trasformazione in vampiri o zombie (Io sono leggenda di Richard Matheson, Zona Uno di Colson Whitehead, The Stand di Stephen King, Cecità di José Saramago, L’ultimo uomo di Mary Shelley, e ancora e ancora e ancora), per motivi sconosciuti (La strada di Cormac McCarthy, Dissipatio H.G. di Guido Morselli) per catastrofe ambientale o nucleare (Cronache del dopobomba di Philip K. Dick), per sonno invincibile (Fidanzata in coma di Douglas Coupland). L’elenco è ovviamente parzialissimo. A volte il mondo può finire per blackout, come sceglie Don DeLillo ne Il silenzio.
E’ davvero un lamento, questo: Max e Diana sono davanti al televisore per seguire il campionato di football americano, e c’è qualcosa che non va, “un senso di profondità, forme astratte che si componevano per poi dissolversi secondo una cadenza ritmica… E poi a un certo punto lo schermo diventò nero”. Fine della tecnologia, fine di quasi tutto.
E ieri ne abbiamo avuto un piccolissimo assaggio.

Come si combatte tutto questo?, mi hanno chiesto ancora. Ovviamente è difficile da dire, e lungo da fare. Mi convince però, intanto, una delle risposte che le autrici danno: “contrapponiamo alle loro narrazioni apocalittiche una storia ben più avvincente su come sopravvivere ai tempi difficili che ci attendono senza lasciare indietro nessuno”. Una storia non di fine dei tempi, ma di tempi migliori; non di separazione e supremazia, ma di interdipendenza e appartenenza. Una storia che ricrei un movimento, “indisciplinato e aperto”.
E’ già successo, può accadere ancora.

Ps. Il blog non verrà aggiornato fino al 6 maggio. Nulla di apocalittico, ma sarò da domani a lunedì mattina a Macerata racconta. Ci vediamo là.

 

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