I GIARDINI, QUANDO CI SONO, BASSANI E I BATTELLI CHE NON ABBIAMO

Misurare gli spazi, circoscriverli, è qualcosa a cui non avevamo fin qui pensato. Sostituire le foto dei nostri viaggi, su Instagram, con le immagini delle nostre case. Ne vedo tante, in questi giorni: corridoi, cucine, appendiabiti, tappetini della doccia, lampade, computer aperti su tavolini, tazze, tazzone, piatti, bicchieri colmi di vino, cortili, balconi, finestre, terrazze condominiali, a volte giardini. Immagini che potrebbero ripetersi giorno dopo giorno, cambierebbe la luce, cambierebbe la piega di un lenzuolo o di un accappatoio lasciato cadere. Tutte più o meno uguali.
Dove siamo, dunque? Un mio caro amico, Girolamo De Michele, mi ha inviato una mail con il testo di un suo intervento su Giorgio Bassani e il giardino. E’ bellissimo e ne rubo qualche passaggio. Dice, Girolamo, che il giardino dei Finzi Contini è ciò che Foucault chiama “Eterotopia”. Ovvero:
“Possiamo distinguere le eterotopie in due grandi categorie. La prima è quella delle eterotopie di crisi: quei luoghi nei quali ci si posiziona in una situazione di crisi rispetto all’ordine sociale. Ad esempio, l’adolescenza richiedeva certi luoghi sacri, che, dice Foucault, ormai non esistono più. In realtà ne nomina uno che negli anni Sessanta esisteva ancora: i vagoni letto nei quali si consumava la prima notte di nozze delle coppie, perché un treno che viaggia è per definizione un luogo che non è un luogo, e il luogo in cui la fanciulla perde la verginità non è né il luogo da cui esce, né quello in cui entrerà. Ma negli anni Trenta questi luoghi esistevano ancora; e ipotizzando che Micòl abbia davvero avuto una relazione con Malnate, possiamo immaginare che facessero l’amore nello spogliatoio del campo di tennis, come crede il narratore; oppure nella rimessa che è nel giardino, entro la quale c’è una vecchia carrozza, un rudere che il buon Perotti ogni settimana lucida di struma e ramazza illudendosi che possa tornare in uso: uno strano oggetto che ha perso la propria funzione, di cui Micòl dirà che meriterebbe di esser lasciato morire, perché «anche le cose muoiono, mio caro. E dunque se anche loro devono morire, tant’è, meglio lasciarle andare, C’è molto più stile, oltre tutto» (sembra un testo dei Baustelle, vero?). Quella carrozza sarebbe allora un’eterotopia di crisi.
Ma nella società moderna le eterotopie slittano, e diventano eterotopie di deviazione: luoghi nei quali si devia dal corso ordinario delle cose. Le case di riposo, le cliniche, le prigioni, ma anche gli ospizi (a metà strada fra crisi e deviazione): quei luoghi nei quali si è a lato rispetto a dove si svolgono le relazioni sociali”.
Per Foucault, dice ancora Girolamo, l’eterotopia perfetta è il battello.
“Il battello è stato per la nostra civiltà non solo il più grande strumento dello sviluppo economico, ma anche il più grande serbatoio d’immaginazione. Il battello è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l’avventura, e la polizia prende il posto dei corsari”.
Dove siamo, dunque, oggi? Cosa sono i luoghi in cui ci muoviamo, senza acqua, oltre che senza battelli? Solo terra e pareti? Non basta l’eventuale giardino, dunque, perché rischia di essere quel che fu per i Finzi Contini:
“chi è dentro questi luoghi compensa dall’interno ciò che gli è negato all’esterno; ma al tempo stesso, stare in questi luoghi fornisce uno sguardo che permette di diminuire il grado di realtà di quello che c’è fuori. Non potendo stare nella Ferrara negata, i personaggi si rinchiudono là dentro; sono, come dice Foucault, luoghi estremamente organizzati – basta pensare al preciso e puntuale rituale della merenda: una macchina a orologeria che funziona perfettamente, e che permette di dimenticare ciò che accade all’esterno”.
Ecco. E’ quello che non vorrei, quello che mi intimorisce quando sento parlare di riaperture ora subito, perché è vero, si dovrà pur scegliere tra salute e rovina. Però ci vorrebbe acqua, ci vorrebbero battelli, ci vorrebbe un pensiero, intanto un pensiero e poi una pratica, che prefiguri una via possibile.
Davvero cari non saprei dirvelo
attraverso quali
strade così di lontano
io sia riuscito dopo talmente
tanto tempo a tornare
Vi dirò soltanto che mi lasciai
pilotare nel buio
da qualcheduno che m’aveva
preso in silenzio per la
mano
(Sempre Giorgio Bassani, e sempre grazie a Girolamo per la citazione e la riflessione)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto