I ROSEI ELEFANTI NO

Nei commenti, dm ha parlato dell'”aspetto performativo della rissa verbale”. Credo, in tutta onestà, che siamo stati fin troppo performati negli ultimi venti anni, e che sia necessario trovare altri mezzi di confronto. Ma ringrazio dm, perchè mi dà l’occasione di riprendere un tema che ritengo centrale, per quanto riguarda la questione femminile (e non solo), e che è quello della comunicazione.
Non parlo di “come” comunicare quel che avviene: questo è già un “pensare all’elefante”, tanto per riprendere il mio assai citato George Lakoff. Ovvero, porsi nella cornice di altri, che sempre negli ultimi vent’anni hanno legato la politica esclusivamente all’abilità comunicativa.
Parlo di cambiare le regole. Cambiare la scrittura. Evitare, come detto altrove, di muoversi nel campo del notiziabile in quanto notiziabile. Parlo di sfuggire alla tentazione del femminile=folklore che anche il più democratico caposervizio dell’italico suolo non riesce a eliminare. “Mettiamoci una donna”, “Qui ci vuole una notizia sulle donne”, o cose del genere.
Parlo di cambiare le parole, le immagini, la ripetizione degli stereotipi che vanno a confinare il movimento nelle due-tre colonne che si ritengono confacenti. Non c’era, forse, l’occasione di riflettere sul corpo femminile giusto ieri, dopo l’approvazione di un testo agghiacciante come quello sul biotestamento? E ancora: su quanti quotidiani appare la discussione che in queste ore si tiene a New York sulla Cedaw, che non è esattamente una faccenda marginale (anzi, anzi)?
Non è notiziabile. E’ noioso. Non “tira”.
Allora, per essere pratica, torno a ritirare fuori una vecchia proposta che ripeto ormai da due anni, dopo averla lanciata sulle pagine de L’Unità nell’estate 2009, su sollecitazione di Concita De Gregorio.  Stati generali della comunicazione, presenza delle donne nella medesima, linguaggi, convenzioni, responsabilità (incluse quelle dei magazine femminili), prospettive. Ma, per favore, non il solito rituale della convegnistica, con la formula sacra due politiche-due giornaliste-due sociologhe e mettiamoci pure una scrittrice per gradire (chi chiamiamo, a proposito?).  Quella formula va ripensata, non serve se non ad autocelebrarsi o a dare un contentino di visibilità. E di visibilità, personalmente, o di rincorsa alla, ne ho piene le tasche. Usiamo un altro modello (il feminist blog camp sta lavorando molto bene, per esempio, per quanto riguarda la rete). Ma se non agiamo sui modelli e le pratiche di comunicazione, ma andiamo a rimorchio di quelle esistenti, ne verremo, prima o poi, inghiottite.
Non pensiamo all’elefante, ma creiamolo. E, per favore, che quell’elefante sia di qualsivoglia colore. Anche giallo zucca. Ma non rosa.

11 pensieri su “I ROSEI ELEFANTI NO

  1. concordo pienamente e (non) casualmente – perché me lo sento ripetere ad ogni passo, professionalmente dalle “strutture” (diaciamole così per essere impersonali, il potere è sempre più impersonale) editorialli in cui lavoro – aggiungo che gli stessi luoghi comuni (tira, non tira) vengono aplicati alla questione “libri” (di solito “non tira”).
    La cosa però da dire non è solo che il caposervizio democratico cede alla tentazione, ma che questo andazzo è stato strutturalmente e sovrastrutturalmente (per dirla come una volta) una delle concause del degrado italliano in generale e che nella questione del femminile del culturale vedrebbe due questioni centrali – non è un caso che i rapporti sulla lettura registrano che l’80% di chi legge è donna.
    Insomma lo dico con una battuta che può sembrare una provocazione ma non lo è, ma quando Ezio greggio a striscia la notizia per difendere la questione delle Veline agita le copertine sexy di Velvet e D , non mi sento di dire che sbaglia.

  2. Perfettamente d’accordo. A ogni vino il suo bicchiere, a ogni lotta la sua forma di espressione! Perché adattare i propri contenuti ai formati altrui? I buoni contenuti dovrebbero trovare la forza di imporsi con contenitori nuovi; la visibilità nei contenitori vecchi è sempre già (potenzialmente almeno) compromessa, bisogna trovare modo di farsi inseguire dai media incapaci di catturare le nuove forme di lotta che esistono e si fanno vedere altrove.
    Non dico che sia facile, però…

  3. Una formula non “bypartisan” per gli Stati Generali (e ce ne vorebbero, non solo per la comunicazione e il ruolo delle donne dentro la comunicazione) c’è: è quella classica, la prima. Quella che innescò la Rivoluzione francese come processo costituente. Si parte dal basso, dalle realtà locali, che elaborano dei propri documenti (anche in forma di interventi pubblici: come accaduto a Siena, dove ogni intervento era di una singola donna a nome di una realtà femminile, e declinava il globale nel locale); e poi, a piramide, si generalizzano i “quaderni di lagnanze” (che sono anche carte di proposte) sintetizzando quelli locali in cerchi sempre più ampi, fino ad avere una Costituente dove ogni singolarità che si esprime è attraversata dalle storie che l’hanno prodotta, e hanno prodotto e legittimato la sua presenza e il suo diritto di rivendicare.
    Per quello che ho visto a Siena, il movimento delle donne non parte da zero, ha già fatto qualche passo in questa direzione. E magari può fare da apripista per altri Stati Generali (della conoscenza, dell’istruzione, e via dicendo). Abbiamo tutt@ (=tutti e tutte) qualcosa da imparare dagli eventi del 13 febbraio-9/10 luglio.

  4. So talmente d’accordo che non so che dire. Forse se l’elefante che però comincio a non poterne più Loredà de sta metafora dell’elefante abbiate pietà de noi lettori storici delli vostri blog eh 🙂 PPPP… dicevo comunque, frse se l’elefante fosse un po’ meno nostro delle donne e un po’ di tanti anche dei maschi sarei contenta. E forse non mi piace la questione dell’elefante, perchè è uno. Qui finchè non si considera la cosa come una confederazione di elefantini in cui ognuno si muove nella sua territorialità l’è tutta una proboscitata.

  5. Approvo la confederazione di elefanti!!!E anche il summit degli elefanti in modo che ci si possa confrontare, propongo un elephant camp!!Sia chiaro fatto sia per elefanti femmine che per elefanti maschi… anche perché in natura l’elefante è nomade, poligamo e matriarcale… noi si aggiusta un po’ il tiro…

  6. Ciao Loredana.
    Solo questo.
    Io sono d’accordo sul fatto che bisogna riformulare le basi. Che bisogna sfuggire alle forme chiuse in cui le logiche mediatiche e politiche imprigionano i movimenti nascenti. Ed è il motivo per cui ho criticato certe posizioni.
    Però mi pare – e questo volevo dire riferendomi all'”aspetto performativo della rissa verbale” – che bisogna anche preoccuparsi di spostare un po’ questo presente, e non solo culturalmente, anche praticamente. Bisogna essere intransigenti, e non solo nei confronti dei propri avversari naturali, come i Berlusconi o chi per lui. Bisogna rimettere tutto in discussione, ma tutto. E l’iniziativa che ti ho segnalato va secondo me in questa direzione. “L’aspetto performativo” poi è stato determinante, le parole hanno modificato la realtà, hanno “cambiato il mondo”. Quel manifesto pubblicitario ora non c’è più.
    Non è solo questo il punto, ma anche.

  7. D’accordo su ogni carattere che hai scritto, Lippa. Quanto all’elefante… come ben sa Zauberei, esso giace da anni al centro della mia cucina e non se ne vuole andare. 😉
    Grande sintesi di Girolamo: convinta anch’io come lui che sia quella, la strada. E che ciò che abbiamo visto a Siena ne sia una buona approssimazione e/o simulazione.
    Unico caveat, Giro: SNOQ ha ancora diversi problemi a muoversi su internet e a riconoscere le diverse realtà che si muovono in rete. Ma giurano che ci stanno lavorando. Speriamo, sarebbe ora… e se non ora? 🙂

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto