IL FATTORE JANE

E io continuo a pensare che dall’immaginario non si possa prescindere.
Stamattina, bevendo il caffè al bar sotto casa, prendo una delle copie di “Leggo” dalla colonna di giornali free e scopro un trafiletto sulla due giorni di Siena. Laddove si dice che il movimento delle donne è nato “in reazione al caso Ruby”.
Semplificazioni, va bene.  Dettagli.
Altro punto che mi ha fatto riflettere, giusto ieri. Repubblica.it, a commento della manifestazione di Se Non Ora Quando, ha messo on line un sondaggio sui libri “irrinunciabili” per le donne. Ebbene, che in testa ci sia Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen mi dà molto da pensare (subito dopo, a pari merito, ci sono Il secondo sesso di Simone De Beauvoir e Mafalda di Quino). Non perchè Austen non sia una grande della letteratura: ma perché, da una decina d’anni a questa parte, la rilettura dei suoi romanzi (si pensi solo alla serie di Bridget Jones) ne mette da parte l’ironia e punta dritto al cuore, Ramon.
Matrimonio.
C’è un bell’articolo di Erica Jong, su Repubblica di oggi, che uno di questi giorni posterò e che spiega abbastanza bene come le nozze, possibilmente in bianco e assai fastose, siano di nuovo al centro dell’interesse delle giovani donne. E va tutto bene. Ma non era in questa direzione che la seconda classificata, Simone De Beauvoir, auspicava si dirigesse il pensiero femminile. Scelta, non canoni. Scelta, non destino.
Che c’entra con Siena? C’entra: perché quello che mi auguro per il movimento è in primo luogo la consapevolezza del valore dei simboli. Se ne coglie un cenno nelle parole che usa Marina Terragni nella sua cronaca, mettendo a confronto gli interventi senesi con i titoli dei giornali. Lo sottolinea, giustamente, Lorella Zanardo in uno dei commenti al suo blog. Il lavoro è appena cominciato: e alla piazza deve affiancarsi, sempre, lo sguardo su quanto appare innocuo, inoffensivo, trascurabile. Ma che, negli ultimi vent’anni, ci ha portato dove siamo ora.

20 pensieri su “IL FATTORE JANE

  1. Cara Loredana
    a Siena ci sono andata e condivido la tua aanlisi sui dettagli, anche a Siena la responsabile del comitato di Bolzano ha insistito su questo
    Quello di cui non si parla esplicitamente mi pare è il sentirsi schiacciate in quanto donne dal peso delle convenzioni sociali e degli stereotipi ancora ben lontani dall essere infranti
    e se nel sondaggio in testa c’è Orgoglio e pregiudizio (da non sottovalutare in questo primo posto il successo del film) non è un caso
    il matrimonio in bianco di cui parla Erica Jong oggi e il suo ritorno non fanno che celebrare l a convenzione sociale dentro alla quale tutti hanno un posto e sono ” uguali” e hanno diritto ad un riconoscimento,uno status sociale
    quante di noi non hanno pagato caramente e sulla propria pelle il coraggio di dire basta? Di voler vivere in maniera diversa dal canone matrimonial religioso la maternità la vita affettiva?
    Abbiamo mai ragionato sulle difficoltà sociali che incontra una donna non sposatasi per scelta o perché si è voluta separare da un marito fedigrafo?
    E perché non si e mai parlato delle difficoltà a campare delle donne separate ma si parla delle difficoltà dei padri?
    perché si da per scontato e ovvio che una donna sopporti tolleri e faccia tutto sia onnipotente infaticabile docile sottomessa
    e vogliamo poi parlare della nefasta influenza della religione che impedisce alle donne di vivere la sessualità come scelta responsabile?
    Perchè se una donna ha successo in politica o negli affari la si connota attraverso il ruolo di mogli e madre? Non mi risulta che per un uomo si usino le stesse categorie
    Vogliamo poi sottolineare il muro mediatico che riduce a due parolette una manifestazione importante come quella di Siena a cui tra l’altro erano presenti uno stuolo infinito di giornalisti e cameraman?
    Quante tra le donne malmenate e stuprate fanno parte della categoria ” borghese” o benpensante?
    Uscire dal canone non solo da un punto di vista artistico (pensiamo alla difficoltà nel crearsi uno spazio e una credibilità degli autori e delle autrici contemporanee) e interroghiamoci anche sul successo di alcuni autori che propongono questo ruolo di mogli madri contro l’ostracismo o il silenzio rispetto a quelle autrici che propongono altri modelli e altri canoni
    e L’ Italia funge da laboratorio di modelli e li esporta all’estero almeno in Europa
    scusa per il disordine con cui espongo ma il tempo di tacere e finito diamo spazio alle nostre voci e facciamo si che il discorso iniziato il 13 febbraio nelle piazze che ha portato alla due giorni di Siena continui incessante come una goccia d’acqua che fa traboccare il vaso ormai pieno….

  2. iniziamo a chiedere alle librerie, tante, di eliminare la categoria: letteratura al femminile che mette insieme Liala e Morante. Forse è anche da qui che nasce la discriminazione. grazie e buona giornata.

  3. Concordo pienamente, a Siena c’era una bella energia, la guerra agli stereotipi che incatenano la vita di tutti noi è una guerra infinita e infinito deve essere anche l’entusiasmo e il divertimento nel combatterla se no abbiamo già perso e poi non abbiamo nulla di valido da sostituire al canone se non un altro canone.
    D.

  4. Molto curiosi questi link finali, così critici nei confronti del SNOQ, dalle tue parole in un altro commentarium mi era parso di capire che non si potesse criticarlo: “Ma che caspita vuoi? Vuoi che tutte in coro urliamo anatemi contro Se non ora quando? Non accadrà.”
    Evidentemente possiamo ancora confrontarci, meglio così.

  5. Il confronto e’ una cosa, l’anatema un’altra. La critica, sempre, va argomentata. E questi, cara Jo, sono argomenti. Peraltro, correttamente, postati dopo l’incontro di Siena, per non comprometterne in alcun modo la riuscita.

  6. Ho sempre amato i libri di Jane Austin e continuo a sostenere l’impossibilità di ridurli alla categoria del romantico. Del resto, basterebbe un confronto con uno dei libri delle Brontë per accorgersene.
    Eppure il messaggio che passa è unicamente questo: l’amore che trionfa, il matrimonio, il “e vissero sempre felici e contenti”, poco importa se si tratti di Cenerentola o di Elizabeth e Darcy. Una generalizzazione banalizzante che può apparire “trascurabile”, appunto. Ma è da tutte queste piccole cose trascurabili che si comincia a cambiare la mentalità delle persone. Senza un mutamento della mente non si va da nessuna parte.
    Per questo sono stata contenta che a Siena abbiano affermato più volte l’autonomia di SNOQ dalla protesta contro il governo. La strada è ancora lunga, e condivido i motivi di disaccordo evidenziati da Giovanna Cosenza: ma qualche cambiamento, per quanto piccolo, mi è sembrato esserci.

  7. Austen mode on…
    Io credo che il discorso sulla “vecchia Jane” sia complesso. Da un lato, la critica sociale al vetriolo manca negli adattamenti recenti delle opere di JA, ma dall’altro dire che Bridget Jones non ha una componente umoristica mi sembra inesatto (anche se film e libro sono diversi in questo – la protagonista del primo e’ una sorta di “Fantozzi” donna mentre nel libro, questo personaggio appare non sempre simpatico ma un buono specchio delle nevrosi urbane, descritto con una penna impietosa e decisamente non autocompiaciuta).
    Per quanto riguarda la riproposizione del tema lavoro-famiglia-da-coniugare-per-forza, non vorrei fare della sociologia da accatto ma credo che anche la temperie economico-culturale influisca. Nel senso che le donne, in Italia, sono forse le piu’ colpite dalla crisi finanziaria e sono talmente con l’acqua alla gola (specie le ragazze piu’ giovani) da non potersi permettere nemmeno di analizzare DAVVERO i propri desideri ed applicare una scelta serena e consapevole. D’altro canto, la crisi ci rifocalizza su una scelta che dovrebbe essere “normale” (nel senso di comune e praticabile, non nel senso di unica possibilita’ accettabile), ovvero quella di lavorare E dedicare tempo al proprio nucleo famigliare e agli affetti, mentre oggi appare come una sfida titanica…

  8. Dal blog della rivista Xxd
    Se non ora quando o le féminisme caviar
    Comincio dalla fine e mi si perdoni il tono recriminante, ma non riesco a farne a meno. La fine di “Se non ora quando”, per me che sono andata via da Siena domenica mattina presto (per tornare a Milano in treno e spendere poco ci ho messo più di 7 ore. Ma chi ha avuto l’idea brillante di fare l’incontro nella scomodissima Siena?), è stata la sera di sabato alle 20.30. La fine è stata una piazza del Duomo riempita per un quarto da donne perlopiù di mezza età che urlavano, un po’ scomposte, “se non ora quando” con palloncini rosa in una mano e bolle di sapone nell’altra. Io le guardavo e mi chiedevo che pubblicità sembrassero. In genere adoro le manifestazioni ma questa a che cosa doveva servire, esattamente? Questa domanda, che mi tormenta anche adesso, mi è venuta in mente appena arrivata nello splendido giardino di Sant’Agostino a Siena, dove era stato allestito il set per la rappresentazione di “Se non ora quando”. Non posso definire altrimenti il dispiegamento di nomi e cognomi famosi e di giornali e televisioni mainstream. Guardavo la piazza e poi la rappresentazione mediatica sui siti di Repubblica e del Corriere della Sera (dal computerino che avevo con me) e mi chiedevo: a che cosa serve tutto questo?
    La piazza era piena. Mille persone. Magari anche di più. Quel che è certo è che c’erano le donne dell’Italia che conta. Sedute in prima fila, in piedi nelle retrovie e sul palco a parlare. C’era la Camusso che ha appena fatto un accordo con i sindacati fake Cisl e Uil per aumentare il potere contrattuale delle aziende (e ne avevamo proprio bisogno). C’erano la Turco, la Bindi e la Bongiorno – che è stata, per chi l’avesse dimenticato, l’orgogliosa avvocata del mafioso Andreotti – che hanno promesso di impegnarsi per difendere i diritti delle donne. Mentre parlavano mi chiedevo: ma perché promettete? Cosa fate quando siete in Parlamento? Che cosa avete fatto per quel tesoretto dell’Inps di 4 miliardi di euro? Avevate bisogno di vedere i palloncini rosa per ricordarvi che le donne in questo paese sono discriminate? Soltanto ora vi ricordate di essere femministe?
    Pardon, ho pronunciato la parola bandita. Perché il termine femminismo, alle donne dell’Italia che conta, piace poco. Meglio trovare parole nuove, più politically correct, come “risveglio delle donne”, come se fosse la prima volta, come se non fosse successo niente fino ad ora, come se all’estero non ci fosse un dibattito vivacissimo, come se non fossero state scritte tonnellate di libri sull’argomento. Le donne dell’Italia che conta, quando ho chiesto di poter lasciare i volantini della rivista femminista Xxd per cui scrivo sul tavolo dove c’era il materiale informativo di “Se non ora quando”, hanno storto il naso e alzato le spalle. Se proprio vuoi, mi hanno detto, senza nemmeno guardarmi in faccia. Speravo che mi chiedessero almeno: che rivista é? Ma si sa, senza un pedigree, nell’Italia che conta, non sei nessuno. Se ti va bene sei una faccia senza un nome, sennò un nome senza un cognome. Grazie! Lo sapevo già e non mi servivano 14 ore di treno in due giorni per ricordarmelo.
    Ma sabato a Siena c’era anche qualcosa di meraviglioso. C’erano le donne che avevo visto nelle piazze del 13 febbraio, le donne che quando parlano di precariato e maternità impossibile – due temi ricorrenti nella giornata di sabato – sanno che cosa stanno dicendo perché lo vivono o l’hanno vissuto sulla loro pelle. C’era il bellissimo gruppo delle Archeologhe che (r)esistono. C’erano le donne che si battono contro la mafia, le donne di Arcilesbica, le donne di Punto G e tantissime altre. C’erano le donne dell’Italia “che conta davvero”. E il problema è proprio questo: le donne “dell’Italia che conta davvero” possono continuare a farsi rappresentare da quelle “dell’Italia che conta”? Non c’è altro modo? Possiamo davvero sentirci parte di un movimento dove chi parla di precarietà o di maternità lo fa perché l’ha sentito dire dalla colf? Io, se nascesse un partito formato da sole donne che contano come la Camusso e la Bongiorno (e tutte le altre che potete vedere nelle varie photogallery online), non lo voterei di certo.
    “Se non ora quando” ha fatto riunire le donne nelle piazze lo scorso inverno. Ci ha ricordato che siamo tante, che siamo arrabbiate e che abbiamo molto da dire. Ma ora basta con questi slogan patetici, questi palloncini e queste bolle di sapone. Basta con questo femminismo caviar. Se ci vedessero Virginia Woolf, Shulamith Firestone, German Greer, Luce Irigaray, Elisabeth Badinter, Judith Butler, Rosy Braidotti ed Erica Jong (solo per citarne alcune e omettendo le italiane), che cosa penserebbero di noi?

  9. Intanto definire la Bindi caviale etc. proprio mi pare ridicolo se non altro per i taglierini, e Camusso idem. Confondete i radical chic con le persone che si sono conquistate un potere, e usate l’arma del senso di colpa dei soldi per invidiare il potere. A me questa roba non interessa. Posso anche facilmente immaginare che le femministe storiche citate (tutte insieme eh, come se fossero andate tutte d’accordo solo per via del genere) avrebbero avuto l’intelligenza di capire il significato storico di questi eventi, e di farne un’analisi attenta senza invidie e piccole ricatti morali. Ma in caso critiche serie – che non riguardano chi sei che stipendio hai cosa hai fatto (cazzo, mo’ essere regista sta diventando una colpa – però se si parla solo di registi uomini è una colpa. Quindi la colpa è il potere che non si ha) ma le proposte che fai e il linguaggio che proponi. Se tante donne della base c’erano, diverse e non necessariamente afferenti a una elite o dobbiamo dire che sono delle cretine, o dobbiamo chiederci cosa di buono ci hanno trovato, oltre il finesettimana simpatico.

  10. Come ho ribadito nell’incipit, il mio è stato un intervento “recriminante” (con tutta la retorica che ne consegue). Detto questo sono fermamente convinta che, in questo movimento, ci sia un potenziale da non disperdere e sul quale lavorare. Credo che questo potenziale sia rappresentato dalle donne “della base”. Vorrei che riuscissimo a trovare delle persone capaci di rappresentarci davvero. Vorrei anche che fossimo sempre presenti a noi stesse e consapevoli per non farci mai strumentalizzare. Che cosa c’entri tutto questo con l’invidia non mi è molto chiaro.

  11. Sono fermamente convinta che, in questo movimento, ci sia un potenziale da non disperdere e sul quale lavorare. Credo che questo potenziale sia rappresentato dalle donne “della base”. Vorrei che riuscissimo a trovare delle persone capaci di rappresentarci davvero. Vorrei anche che fossimo sempre presenti a noi stesse e consapevoli per non farci mai strumentalizzare. Che cosa c’entri tutto questo con l’invidia non mi è molto chiaro.

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