C’è un Festival a Roma per cui bisognerebbe ogni giorno ringraziare: è InQuiete, che nasce nel 2017, e sembra ieri. Lo organizza un gruppo di donne, attiviste culturali, amiche, Barbara Leda Kenny, Francesca Mancini, Barbara Piccolo, Maddalena Vianello insieme alla Libreria Tuba, che è un altro luogo per cui bisogna ringraziare ogni giorno. Per chi non lo conoscesse, è un festival di scrittrici: ma non è frequentato solo da donne, perché quest’anno, per esempio, c’erano moltissimi uomini fra il pubblico ad ascoltare tutto quello che si può dire sulla scrittura e non solo. Si parla di questioni letterarie, di scuola, di economia, di cultura, grazie ai Ritratti di Signora si omaggiano le autrici di ieri, c’è una fellowship, LetteraFutura, che ogni anno permette a una scrittrice esordiente di pubblicare. Inoltre. Ci si incontra. Si apprende cosa fa Una, nessuna, centomila per contrastare la violenza contro le donne. Si firma al banchetto di myvoice-mychoice per l’aborto accessibile e sicuro in Europa (lo sapevate? Siamo già a 700.000 firme, prime in Europa). Ci si incontra.
Volevo raccontare questo.
I tempi sono sempre più stretti. Soprattutto dopo la pandemia. So che tendiamo a non parlarne più, come se non fosse mai avvenuta, ma portiamo addosso tutti i segni di quel trauma. Siamo stanchi, tristi, inquieti (appunto), dormiamo male, ci svegliamo all’alba, ci intorpidiamo in serate alcoliche o televisive, usciamo con circospezione, scalpitiamo, non ci ricordiamo quasi com’era prima, e prima era quattro anni e mezzo fa, soltanto quattro anni e passata la scarica di adrenalina dei primi mesi del 2020 ci siamo lasciati alle spalle tutto o quasi.
Non siamo felici, quasi mai.
Ma le cose finiscono. Finiscono certamente anche se non sappiamo quando, e tutti noi vorremmo, di certo, essere già in avanti, essere ai tempi in cui l’Associazione Storica di Studi Gileadiani, presieduta dalla Prof.ssa Maryann Crescent Moon, si riunisce a convegno per raccontare qualcosa che è diventato, appunto, storia.
Far finire il trauma della solitudine è possibile attraverso due cose: gli incontri e le storie. InQuiete permette entrambe. Certo, ci vorrà ancora tempo, ma almeno le basi vengono poste.
Per esempio, ieri sera ho partecipato all’incontro di chiusura, Spazio alle donne, con Annalena Benini, Carlotta Branzanti, Serena Dandini, e Chiara Valerio, moderate da Sabina Minardi. Direttrici di Festival che provano a trovare una narrazione comune. In modi diversi, in festival diversi, grandi e piccoli, al mare o in montagna o in città.
Ora, quale sia questa narrazione comune è difficile capirlo subito. Per me ci sono due strade: la prima, lenta e necessaria, è quella di trovare parole nuove per un immaginario diverso, il reincanto di cui continuo a straparlare appena posso. La seconda è quella di farsi intelligenza dei gruppi, di passarsi il testimone in forme che sono tutte da studiare. Perché è vero che il potere corteggia l’idea del femminile e dunque, forse, bisognerà averci a che fare. Ma è anche vero, lasciate che la vecchia sognatrice lo dica, che il potere si può ribaltare. Esattamente come tutti i suoi simboli che finiscono nel fuoco, che sia un anello o che sia un trono fatto di spade.
E il fuoco è metaforico, in questo caso. Il fuoco sono le storie, perché intorno al fuoco sono nate.
Grazie, InQuiete.