Quando ero bambina abitavo in una casetta nel quartiere Africano, cui si accedeva entrando da un portone che affacciava sulla strada, percorrendo tutto l’androne di un palazzo, scendendo altri scalini che affacciano su un piccolo cortile. Nel cortile c’erano piante, alcuni gatti malmostosi, sulla destra l’abitazione del portiere e poi la mia casa , dopo altri, pochi, scalini. Dal cortile, che era il mio piccolo regno, si poteva guardare il palazzo di fronte, che aveva cinque piani. Guardare, e non entrare. In un giorno che non ricordo bene, qualcuno ha sussurrato la parola poliomielite, e dunque quello era un bosco stregato, un castello di incantesimi malvagi, il lago da cui sarebbe sorta l’ondina crudele per afferrarmi i piedi.
Sarei entrata nel palazzo solo quando la parola poliomielite venne considerata vinta per sempre perché nel frattempo avevo ricevuto il vaccino: nei fatti, una zolletta di zucchero con una goccia color ambra, e non si capiva perché tanta eccitazione negli adulti, persino i fotografi a dire guarda qui mentre ero in fila con gli altri bambini per mangiare la zolletta.
E’ forse il primo ricordo forte della mia infanzia, la giornata del vaccino, noi bimbi piccini col grembiule e il fiocco e davvero il fotografo, un signore accosciato con il cappello e una macchina fotografica dall’enorme flash che diceva, girati, guarda, e ovviamente non capivo perché. Mi è tornata in mente dopo aver letto un bellissimo e utilissimo post di Humberto Zanetti su cosa avviene e avverrà dal punto di vista psicologico (lo trovate qui), e rendendomi conto che almeno la mia generazione un’epidemia l’ha attraversata. Diversa, ovvio, ma non meno terribile. Ricordate Nemesi, uno dei romanzi di Philip Roth che più ho amato? Di quello parla, della tremenda epidemia di poliomelite che colpì Newark nel 1944. Cose che abbiamo dimenticato, infine, perché, ed ecco l’altro punto, si dimenticano anche le tragedie.
Ho ripescato una vecchia intervista al pediatra Benjamin Spock (sì, ho usato il suo librone quando i bambini erano piccoli e poi, sottolineato com’era, l’ho mandato a un amico quando è nata sua figlia). Nel 1987 Spock diceva:
“Una volta le cose di cui preoccuparsi erano altre. I genitori dovevano pensare alla poliomelite, alla polmonite, al mal d’ orecchio dei bambini. Oggi, ci sono non so più quanti antibiotici, è tutto diverso, ma anche tutto più complicato…Se oggi mio figlio venisse da me a dirmi che smette di andare a scuola perché il tennis gli fa guadagnare cento milioni di dollari l’ anno, non sarei affatto contento. Proverei a dissuaderlo. Perché, vede, la mente, l’ arte, l’ intelligenza, va bene esercitarla già da piccoli, ci servirà sempre fino alla tomba, ci renderà più ricchi spiritualmente e forse ci aiuterà anche a capire un po’ più il mondo, il giorno che lo vorremo fare. Ma giocare bene un rovescio è un atto fine a se stesso, superati i 30-35 anni e fuori dal campo sportivo non ci servirà più a niente”.
E’ così sbagliato dire che siamo cresciuti sognando di giocare bene quel rovescio, sempre e comunque? Oh, attenzione, non sto affatto contraddicendomi, non penso che l’epidemia, ripeto, ci renderà migliori. Penso semplicemente che dovremmo guardare con attenzione al passato, anche quello che abbiamo dimenticato, per capire meglio, per capirci meglio.
Philip Roth, Nemesi
Sono abbastanza agè per ricordare la prima vaccinazione antipolio che si faceva non per bocca ma con un’iniezione e tanti coetanei con paralisi di uno o più arti. Tempi che abbiamo dimenticato ma che avvenivano in altri contesti e con altre possibilità
È l’una e ventitré e ho appena finito di leggere Nemesi di Roth.Sono stordita da una sensazione che non so bene descrivere,un grumo in fondo allo stomaco,il non sbattere le palpebre per un tempo che sembra infinito,lo stupore.
Oddio Loredana, il dottor Spock! La mia mamma era sola e orfana di mamma fino da piccola, e aveva una sua brutta storia in parte ancora per me misteriosa. Per aiutarsi nella nostra infanzia usò il libro del dottor Spock. Non accettava consigli di altre donne, a parte la nostra pediatra, che ammirava tanto, di cui diceva che non era diventata primario perchè donna. Usò il libro, però a modo suo, combinando con noi diversi guai. Le vaccinazioni me le ricordo e anche un bambino con la polio, che la mamma e le zie guardavano sempre con pietà e paura, mettendosi nei panni della madre che spingeva la sua carrozzina. Morì presto quel bambino. Ma già in quegli la nostra pediatra non ci fece fare il vaccino per il vaiolo, inutile per lei .