Nel 1977 viene lanciato nello spazio, inserito in una nelle due sonde spaziali del Programma Voyager, il Voyager Golden Record. Era un disco d’oro, e conteneva i suoni delle onde, del vento, i canti degli uccelli, saluti terrestri in 55 lingue. Parole che in sumero, in greco antico, in cantonese, in ittita persino, portavano messaggi semplici: veniamo in pace, benvenuti, auguri ai nostri amici dello spazio, state bene, benvenuti. Al momento del lancio, era noto che la sonda Voyager avrebbe impiegato 40 000 anni per arrivare nelle vicinanze di un’altra stella.
Non aveva importanza. Nel disco c’è, ancora, il primo movimento del secondo Concerto brandeburghese, per tromba, di Bach, e ancora Johnny B.Goode e l’aria della Regina della Notte di Mozart, e il Preludio e fuga in Do maggiore da Il clavicembalo ben temperato sempre di Bach, suonato da Glenn Gould, e molto altro. Sulla superficie del disco è stata incisa la frase: “To the makers of music – all worlds, all times” (Vi ricorda il senso di Murder Most Foul di Dylan? A me sì).
Sperava, Carl Sagan che guidava la commissione del Disco d’oro, che qualcuno, dopo decine di migliaia di anni, avrebbe ascoltato quella musica. Una bottiglia nel più vasto degli oceani. Conteneva una speranza, certo, ma dietro c’era una certezza: avremmo dovuto prenderci cura del luogo che aveva potuto concepire quella bottiglia. Così disse Sagan:
“Guardate quel puntino. È qui. È casa. Siamo noi. Su di esso, tutti quelli che amate, tutti quelli di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di presuntuose religioni, ideologie e dottrine economiche, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e suddito, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì su un granello di polvere sospeso dentro ad un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria ed il trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un punto. Pensate alle crudeltà senza fine impartite dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti i loro malintesi, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto ferventi i loro odii. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è nessuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è nessun altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Abitare, non ancora.
Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.”
Lo scrisse dopo il 1990, quando venne diffusa la Pale Blue Dot, la fotografia dalla terra vista dai confini del sistema solare. In questi giorni, penso spesso al Golden Record e alle trombe del secondo Brandeburghese di Bach che aspettano di squillare nella galassia. Magari non avverrà mai. Magari sì. Ma il desiderio, in questi giorni che strisciano lenti e spaventati, è di poter ottenere la stessa speranza, la stessa meravigliosa utopia, che spinse gli uomini a sparare Bach nei cieli.
Grazie, non conoscevo la fotografia Pale Blue Dot. Molto interessante, è anche la smentita di chi pensa che l’immagine fotografica sia un oggetto materiale o digitale e non una lettura che continua a cambiare dopo la ripresa a seconda di chi guarda, di quel che sa, ricorda, sogna. Questa fotografia con la sua didascalia innesca pensieri incredibili.
Saluti
Grazie. I branderburghesi e il clavicembalo ben temperato di gould erano le uniche cose che riuscivano a calmarmi nelle giornate frenetiche quando ti capitava di tutto a scuola. E gould era uno dei miei esempi preferiti quando i prof liquidavano allievi secondo loro poco dotati o volenterosi dicendo “non combinerà mai niente”. Ero la preside e piano piano, anche grazie a Gould, credo di aver seminato il seme del dubbio. Fosse solo per questo, dieci anni di fatiche impagabili sono valse la pena.
Pale blue dot dovrebbe essere diffuso come i libri sacri, di più!
Ciao Loredana!
Si, ma a vedere come i politici di tutto il mondo si stanno comportando all’avvento di questa nuova emergenza, non nutro molte speranze che sia vero che questi giorni ci cambieranno in meglio, che da domani saremo più capaci di prenderci cura di questa unica casa che abbiamo.
Le reazioni dei politici rappresentano nello spazio ristretto di questa emergenza, le stesse, con un tempo dilatato, di un’altra emergenza, a quanto pare a questa piuttosto correlata: quella dell’inquinamento, della salute del pianeta. Chi a parole l’ha presa sul serio ed ha annunciato che si era pronti ad affrontarla, ma non era vero e chi fino a quando non ha contato il numero dei morti, ha negato che fosse una vera emergenza.
L’emergenza salute della terra è da molti abbracciata proclamando che ci stiamo attrezzando, salvo poi non fare nulla, e da molti negata fino a quando sarà troppo tardi. Continuerà ad essere così.
Politici, ma non solo. Siamo tutti così. Accusiamo i politici di non aver capito, di aver sottovalutato, ma fino a quando non ci hanno obbligati, minacciati, ce ne siamo andati in giro…
Credo che molti stiano aspettando la fine di questa emergenza con le chiavi della macchina in mano, desiderosi di girarla e pigiare sull’acceleratore incuranti della possibilità di usare altri mezzi di trasporto.
Grazie della bella riflessione e dell’utopia.
Se fossi un alieno e trovassi questo disco, mi verrebbe voglia di visitare quel pianeta che ha dato i natali a Mozart, Bach, Chuck Berry e tutti gli altri. In quel disco c’è il meglio che l’umanità ha saputo offrire, il lato migliore. E dovremmo ricordarlo, dovremmo fare più cultura e meno guerra.
Mi ricordo quel lancio nello stagno cosmico di quella navetta. Aveva dentro messaggi visivi e sonori che dovevano presentarci agli alieni . Allora mi parve una genialata e mi sentii fiero e speranzoso che ci fosse qualche omino verde o blu in un punto lontano del cielo, che raccogliesse quel messaggio a vuoto a perdere, lo capisse e in seguito ci cercasse, per conoscerci e renderci la vita più bella che mai. Chi non lo avrebbe voluto fare dopo aver visto come siamo fatti e ascoltato la musica che negli anni siamo stati capaci di creare? Era tutto bello, perfetto, sublime. Dopo più di quarant’anni ripensandoci, sembra una missione che doveva portare dei messaggi, non nello spazio celeste, ma a noi stessi. Può essere che gli alieni non siano omini verdi o blu che usano i nostri cinque sensi e magari non usano nemmeno le cinque stelline per misurare la loro soddisfazione su qualcosa perché non sanno cos’è uno stato d’animo, e come può una qualsiasi cosa apprezzare della musica e dei corpi nudi se priva
di stati d’animo? Non lo so. Eppure se dipendesse da me, lo rifarei. In fin dei conti noi siamo così. Al limite cercherei di disegnarli speculari nella posa questi Adamo ed Eva ipotetici, con dei tratti in più per descrivere “l’origine du monde ” ecco . Per la musica aggiungerei si il disco ultimo di Dylan per l’attualità ma anche “Nessun dorma ” cantata da Luciano Pavarotti, per le vibrazioni che forma con la voce, che può sentire anche chi è senza orecchi, chi non ha il senso dell’udito. Questo dopo aver cercato di conoscerci un po’ meglio e chissà, scavando in profondità sarebbe affiorata la possibilità che la perfezione, per fortuna, non fa parte del nostro mondo e mai come in questi giorni si può notare. Magari nemmeno in quello degli alieni…