C’è questa faccenda che continua a darmi da pensare, ma mentre ci penso mi rendo conto che è probabilmente inutile. Leggevo stamattina le motivazioni dei sostenitori di Trump, e uno di loro diceva che lo voterà perché “capisce quello che dice”. Non accade solo per Trump, non accade solo negli Stati Uniti. C’è questa voglia di cose nette, di opinioni bianche o nere, di sapere in fretta tutto quello che c’è da sapere, così passiamo alla prossima indignazione. E se sono io che non capisco, la colpa è tua. Allora, non ci sono risposte se non, di nuovo, un Franco Fortini del 1959. Buon week end.
Noi dunque conosciamo che la rosa è una rosa,
la parola una cosa, il dolore un discorso,
che la voce più sola accorda molte grida,
che ogni cuore ricorda quante anime ha percorso.
Ma stretti all’ignoranza, al pianto e alla vendetta
impotente crediamo che il male in bene torni…
Il vero è altrove: e aspetta d’essere amato, viene
e va, come il mattino che per noi prega il giorno.
Ai poeti giovani – da “Poesia e errore”, 1959
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia)