IL VOI INTELLETTUALI

Il “voi intellettuali”. Ieri a Fahrenheit abbiamo discusso con Giorgio Caravale  del suo “Senza intellettuali”, dove spiega molto bene il progressivo allontanamento fra politica e, appunto, intellettuali. Con colpe da entrambe le parti (il ricorso ai “tecnici” nel primo caso, l’individualismo nel secondo).
Mi colpisce ma non mi sorprende la messe di messaggi arrivati. Contro la stessa parola. “Che significa? Che c’è chi sa e chi è deficiente?”. “Basta con la supponenza di chi pensa di sapere di più”. “Possiamo fare a meno di quelli che ci umiliano”.
Allora. Da una parte è comprensibile. Dall’altra meno.
Vi racconto una storiella che probabilmente avete già sentito. E’ facile facile. Mio nonno faceva il calzolaio. Mia nonna coglieva finocchietto selvatico al paesello. Mio padre ha conquistato, con orgoglio della famiglia tutta, il diploma di geometra. Mia madre aveva la terza media. La mia generazione è stata spinta a studiare. Io ho spinto i miei figli a studiare. Ma non “per andare avanti nella vita e fare polpette degli altri”. Per sapere. Per avere parole. Per capire. Quando non si sa una cosa, così ho appreso, e in questo credo, si studia.
E ogni volta che provo a dirlo, scatta il “voi intellettuali”, con aggiunta di “spocchiosi e supponenti”. Studiare. Comprendere che si ha bisogno di sapere quel che non si sa. Studiare. Anche a settant’anni. Apprendere. Non ho tempo, dicono. Palle. Il tempo che impiegate a diffondere meme sui social potete usarlo studiando. Non ho soldi. Palle. Le biblioteche sono gratis. Internet è, più o meno, gratis. Quando ero ragazza, non c’era Internet e c’erano solo le biblioteche, dove ho trascorso una bella parte della mia giovinezza. Non ho mai accusato nessuno se non sapevo qualcosa: ho cercato di mettermi in pari. Ho studiato. Se ogni personale frustrazione, ogni fallimento, diventa il “voi intellettuali” è già un problema. Fra le mille altre cose, questa si chiama cecità. Cecità. Saramago. Google it.

Ps. Il blog non sarà aggiornato fino a giovedì. Domani e domenica sono a LibriCome (alle 21 di domani con Omissis). Lunedì a Torino e da martedì sera al Gigante delle Langhe per un premio letterario per ragazzi. State bene.

3 pensieri su “IL VOI INTELLETTUALI

  1. Mia nonna classe 1929, da pochi giorni scomparsa, aveva la quinta elementare. I miei genitori la terza media. Io, la prima ad aver potuto studiare, ho preso il dottorato. Mia nonna aveva la casa piena di libri, frequentava la biblioteca del suo paese, leggeva il giornale tutti i giorni, frequentava l’università della terza età, e a più di 80 anni ha voluto imparare ad usare il PC e a navigare su internet. Era acculturata, questo sì, ma mai si sarebbe sognata di sentirsi al pari di un intellettuale, “persona fornita di una buona cultura o cultore di studi, ritenuto capace di esercitare una profonda influenza nell’ambito di un’organizzazione politica o di un indirizzo ideologico “.
    Lo studio serve anche a capire quali sono i propri limiti e accettarli, senza offendersi se un intellettuale mostra la propria cultura.

  2. Intellettuale è chi ha il coraggio di porsi e porre domande di cui nessuno ha la risposta e di cui tutti hanno paura, e di tenerle ferme. È l’evitarle il motivo profondo della frustrazione della nostra vita e dell’oppressione, imputata sempre a qualcun “altro”, e sono esse invece a costituire le porte della liberazione.

  3. Io mi sento persa in questo mondo dove tutti sanno tutto e nessuno sa niente. L’attacco alla cultura ma in particolare agli intelletuali da parte della cultura di massa mi sembra sia mosso da un senso di rivalsa accentuato dal fatto che i social media offrono un palcoscenico. Se i riferimenti culturali sono sempre più banali e poveri ma al contempo arroganti come si può accettare che una persona che ha studiato e passa la sua vita a conoscere “ne sappia più di te”? Mi preoccupa che il Sapere collettivo sia sempre più povero e che ciò che passiamo alle nuove generazioni siano pochi granelli di sabbia.

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