D’accordo, stiamo tutti cercando strade nuove, o forse strade già percorse per i libri, i discorsi sulla cultura, quelli che al momento negano la presenza fisica. Contributo alla discussione: il solito, amato Beniamino Placido. Era il 7 giugno 1987: certi argomenti che riteniamo nuovi, non lo sono affatto. Dunque, pensiamo se e come rinnovarli, o accettarne la permanenza.
Venerdì sera, ultima puntata di “Mixer cultura” su RaiDue. Ed ultima puntata anche del “Maurizio Costanzo Show” (Canale 5). Mi domando come posso tenere insieme due programmi così diversi in un unico discorso. Mi chiedo se non bisognerebbe parlare piuttosto della politica, che dilaga su tutte le reti, o del tennis, che trionfa dal “Roland Garros” di Parigi (al contrario del ciclismo, che in televisione muore, il tennis in televisione si esalta). Mi rendo conto, infine, che mi trovo di fronte ad un unico discorso. Cercherò di svolgerlo il più semplicemente possibile.
E’ il discorso dei giovani scrittori. Delle giovani scrittrici. Dei giovani aspiranti scrittori. Delle giovani aspiranti scrittrici. L’ “Espresso” ha lanciato un concorso per un racconto. Pensava gli arrivassero qualche centinaio di prove d’ autore. Gliene sono arrivate undicimila. Di questo si è parlato l’ altra sera a “Mixer cultura”. Che è ed è stata – mi piace ripeterlo – una trasmissione utile. Ha dimostrato che la cultura può interessare, divertire, suscitare dibattito. Si può fare di meglio, certo. E sono certo che Arnaldo Bagnasco farà di meglio in futuro. Si poteva far di meglio già l’ altra sera, ed evitare il pericolo di far passare questo fenomeno per un fenomeno nuovo, di oggi. E’ un fenomeno antico.
Nel 1955 Franco Fortini scriveva su “Officina” che nel più profondo dell’ uomo è annidato un cattivo poeta. Nel 1966 Vittorio Sermonti pubblicava su “Panorama” un contributo alla “poetica del romanzo inedito”. Nello stesso anno Fabio Mauri destinava alla rivista “Tempo Presente” un irresistibile saggio dal titolo “I 21 modi di non pubblicare un libro”. Nel quale elencava i 21 modi (ventuno perché multiplo di tre) in cui gli aspiranti scrittori spiegano di volta in volta alla casa editrice perché farebbe bene – nel suo interesse – a pubblicare il loro manoscritto. Avrei invitato a “Mixer cultura” Fortini Sermonti e Mauri per chiedere a loro se la situazione è cambiata – in meglio o in peggio – nel frattempo. Si poteva far di meglio, venerdì sera a “Mixer cultura” tenendo in studio un apparecchio televisivo sintonizzato su “Canale 5”. Dove andava, alla stessa ora, il salotto di Costanzo. E come sempre nel salotto del “Maurizio Costanzo Show”, su sette ospiti quattro erano scrittori, di qualità: Gaspare Barbiellini Amidei, Riccardo Pazzaglia, Susanna Agnelli, Guglielmo Negri. Ciò che mi conferma in un sospetto atroce, che nutro da tempo e non rivelerò mai. Il sospetto che i ventuno modi, o ventuno motivi (per pubblicare un libro) di Fabio Mauri siano diventati ventidue, in questi ultimissimi anni. Che molti scrivano un libro oggi, solo per poter poi apparire in televisione a presentarlo (soprattutto: a presentarsi); nei salotti di Costanzo.
Si poteva far di meglio l’ altra sera con una semplice telefonata a Parigi. Per interpellare qualche santone parigino postmoderno? Ma no, per farsi mandare qualche immagine degli allenamenti mattutini dei famosi tennisti attualmente impegnati al “Roland Garros” (a proposito, oggi chi vuole può vedersi la finale fra Lendl e Wilander, su RaiTre). Perchè bisogna sapere (sì, bisogna proprio saperlo) che questi grandi campioni – stravolti dalla fatica fisica, insidiati dallo stress psicologico – ogni mattina comunque le due orette di allenamento se le fanno: per provare un colpo, per mettere a punto una nuova rotazione, per eliminare un difettuccio che è venuto fuori nell’ultima partita. Avrei proiettato queste immagini, nel corso di “Mixer cultura” perché la risposta all’interrogativo iniziale è lì. L’ interrogativo iniziale era: sono pochi o sono molti gli undicimila aspiranti scrittori dell’ “Espresso”? Bisogna incoraggiarli, pubblicandoli tutti (o quasi), o scoraggiarli con un premio di dissuasione? Mentre passavano le risposte sul piccolo schermo, mi pareva di essere d’ accordo di volta in volta con chi parlava: con Valerio Riva, con Cesare de Michelis, con Piero Gelli che sostenevano – chi più chi meno -: bisogna incoraggiare. Con Giovanni Raboni che diceva, più o meno: bisogna sconsigliare: bisogna che venga fuori una generazione di lettori, non una generazione di scrittori. E mi trovavo d’ accordo, anche, di volta in volta con Ferdinando Adornato, con Cinzia Tani, con Marco Neirotti, con Serena Foglia. Tutti avevano ragione. Perché tutti evitavano – che i più chi meno – il nocciolo del problema.
Un istruttore di tennis, ancorché rozzo, non l’ avrebbe evitato. Alla domanda: undicimila aspiranti a praticare il tennis agonistico sono un buono o un cattivo segno? – avrebbe risposto. Sono un buon segno se hanno molto talento e una sconfinata voglia di sacrificarsi per imparare. Ma se vogliono fare il tennis con l’ idea che così si gira il mondo, si guadagnano molti dollari, si appare in televisione, allora è bene che tornino subito a casa. Allo stesso modo: quanti sono i giovani aspiranti scrittori che leggono quotidianamente i classici, che sanno recitare a memoria da un racconto di Tolstoi, che hanno ricopiato (sì, ricopiato a mano) qualche pagina della “Certosa di Parma” o dell’ “Educazione sentimentale”, con disperata tenacia, per strappare il segreto della scrittura a Stendhal, a Tolstoi? Questi quanti, pochi o tanti, li incoraggerei, li pubblicherei. Gli altri, li rimanderei a casa. Qui viene acconcia una massima ottocentesca di Alphonse Karr (lo dicevo, dapprincipio, che c’entra anche la politica in questo discorso): “Il numero degli scrittori è già esorbitante, ed andrà sempre crescendo, perché scrivere è il solo mestiere – con la politica – che si osa intraprendere senza averlo imparato”.