Intanto, la consueta anteprima mensile della classifica di Wikio per quanto riguarda i blog che si occupano di cultura: stavolta vede al primo posto Cineblog, a seguire Nazione Indiana, Booksblog, Carmilla, Lipperatura, Soundblog, La poesia e lo spirito, CineTivù, Il Cinemaniaco, Blogosfere spettacoli. Il resto, fra poco, su Wikio.
A seguire, Umberto Eco dice la sua su Il giovane Holden (a proposito, il 9 febbraio si terrà un Salinger’s Funeral Party a cura della Scuola Holden), nella Bustina che appare oggi su L’Espresso. Ovvero:
Alla morte di Salinger ho letto varie rievocazioni de ‘Il giovane Holden’ e ho visto che si dividevano in due categorie: la prima, erano le memorie commosse di coloro per cui il romanzo era stato una meravigliosa esperienza adolescenziale, la seconda erano le riflessioni critiche di coloro che (o troppo giovani o troppo vecchi) lo avevano letto come si legge un romanzo qualsiasi. Le letture del secondo tipo erano tutte perplesse e si domandavano se lo ‘Holden’ sarebbe rimasto nella storia della letteratura o rappresentava un fenomeno legato a un’epoca e a una generazione. Eppure nessuno si era posto problemi del genere rileggendo ‘Herzog’ alla morte di Bellow o ‘Il nudo e il morto’ alla morte di Mailer. Perché con ‘Holden’?
Io credo di essere una buona cavia. Il romanzo esce nel 1951, viene tradotto l’anno dopo in italiano per i tipi di Casini con il titolo poco incoraggiante di ‘Vita da uomo’, passa inosservato e ottiene successo solo nel 1961 quando esce da Einaudi come ‘Il giovane Holden’. È quindi la ‘madeleine’ proustiana di chi era adolescente all’inizio degli anni Sessanta. Io a quell’epoca ero trentenne, ero impegnato su Joyce, e Salinger mi è sfuggito. L’ho letto, quasi per dovere documentario, solo una decina d’anni fa, e mi ha lasciato indifferente. Come mai?
Anzitutto non mi ricordava alcuna passione adolescenziale; in secondo luogo probabilmente quel linguaggio giovanile che aveva così originalmente usato era ormai superato (si sa, i giovani cambiano di gergo a ogni stagione), e quindi suonava falso; e infine dagli anni Sessanta a oggi lo ‘stile Salinger’ aveva avuto tale fortuna ed era riapparso in tanti altri romanzi, che non poteva che apparirmi di maniera, e in ogni caso per nulla inedito e provocatorio. Il romanzo era divenuto poco interessante a causa del successo che aveva avuto.
Questo induce a pensare quanto, nella storia della ‘fortuna’ di un’opera, contino le circostanze, i contesti storici in cui appare, e il riferimento alla vita stessa del lettore. Un esempio a un altro livello: io non appartengo alla ‘Tex generation ‘ e rimango sempre stupito quando sento qualcuno che si dichiara cresciuto col mito di Tex. La spiegazione è semplice, Tex appare nel 1948 e a quell’epoca io, già liceale, avevo smesso di leggere i fumetti, e avrei ripreso a leggerli verso i trent’anni, all’epoca di Charlie Brown, della riscoperta dei classici come Dick Tracy o Krazy Kat, e con l’inizio della grande tradizione italiana dei Crepax e dei Pratt. Nello stesso modo il mio Jacovitti è stato quello di Pippo, Pertica e Palla (anni Quaranta) e non quello di Cocco Bill.
Ma stiamo attenti a non ridurre tutto a problemi personali. È ovvio che qualcuno può odiare la Divina Commedia perché, all’epoca in cui doveva studiarla, stava soffrendo di una tremenda delusione amorosa, ma questo poteva succedergli anche con i film di Totò. Tuttavia non bisogna indulgere al vizio pseudo decostruzionista per cui non esiste alcun senso di un testo e tutto dipende dal modo in cui il lettore lo interpreta. Si può intristire ricordando ‘Totò, Peppino e la malafemmina’ perché la nostra ragazza ci ha lasciato proprio quel giorno che eravamo andati a vederlo, ma questo non esclude che, a un’analisi spassionata, l’episodio della lettera a Dorian Grey risulti un capolavoro di ritmo e di dosaggio di effetti comici.
Allora, se il valore artistico di un’opera può essere valutato indipendentemente dalle circostanze della nostra personale ricezione, rimane la questione delle ragioni del suo successo o insuccesso in un’epoca determinata. Quanto il successo di un libro può essere legato al periodo (e al contesto culturale) in cui appare? Perché lo ‘Holden’ affascina i giovani americani all’inizio degli anni Cinquanta ma nello stesso periodo lascia indifferenti i giovani italiani, i quali lo scoprono solo dieci anni dopo? E non basta pensare al maggior prestigio editoriale e alla capacità pubblicitaria di Einaudi nei confronti di Casini.
Potrei citare molte opere che hanno ottenuto vasta popolarità e apprezzamento critico di cui non avrebbero goduto se fossero state pubblicate dieci anni prima o dieci anni dopo. Certe opere devono arrivare nel momento giusto. E dalla filosofia greca in avanti si sa che ‘il momento giusto’ o ‘kairos’ costituisce un serio problema. Affermare che un’opera appare o non appare nel momento giusto, non significa poter spiegare perché quello sia proprio il momento giusto. Si tratta di quei problemi irresolubili come predire dove sarà mercoledì una pallina da ping pong affidata il lunedì alle onde del mare.
Se bastasse una buona promozione a fare di un libro un successo planetario, staremmo freschi! Per fortuna esiste l’Imponderabile…
beh, ma al giorno d’oggi molti libri sono scritti da personaggi famosi proprio,e solo perchè il loro solo nome è un richiamo. la fortuna conta molto, quando si pubblica un libro senza un gran nome alle spalle o un imponente campagna pubblicitaria. certo, in quel caso oltre alla fortuna il libro deve pure avere delle qualità o esser ‘bell0’, nel senso che piace a molti, e il passaparola può dar luogo a veri fenomeni, ma la maggior parte dei libri di successo (che si basa su dati di vendita)conta in partenza su una promozione massiccia o ottimi contatti
Gentile Loredana, condivido con lei l’indifferenza provata nel leggere “Il giovane Holden” ma non la necessità di porsi una domanda circa le cause imperscrutabili della fortuna di una determinata storia rispetto a un’altra.
Escludendo il fine economico di un simile quesito non perde appunto di senso la ricerca della ricetta del best-seller (o long-seller)? Le risposte che si possono ricavare analizzando i libri – penso a “Sei lezioni sulla storia” di Carr e a “Cultura e imperialismo” di Said che trattano anche di questa tematica – circa i loro autori e i contesti sociali nei quali vivevano sono a mio avviso molto più interessanti.
Del resto è quello che ha fatto lei in questo post tentando di capire le ragioni del successo o meno del romanzo di Salinger a sessant’anni dalla pubblicazione. Grazie.
Luca, sono onoratissima di essere stata scambiata per Umberto Eco. 🙂
No, no, ho visto una foto di Eco una volta e sono quasi sicuro abbia la barba 🙂
Non più: adesso ha solo i baffi, e sembrano finti, sicché… 🙂
Non che significhi gran che, ma posso testimoniare che anch’io ho letto “Il giovane Holden” più o meno una decina di anni fa e non sono riuscito a capire perché mai tanta gente ne parla come di un capolavoro. Propendo a credere che si tratti semplicemente di un libro datato. Ma forse sono io che non ho capito.
Forse è datato perchè è fasullo. Operazione artigianale pregevole, ma vi ha riconosciuto la propria adolescenza solo chi poteva indossare gli stessi tic e stilemi di quella. Quando sotto il vestito non c’è niente, e il vestito cambia, resta il vuoto pneumatico o al massimo un manichino che non appassiona più nessuno. Ma questo vale anche per i cloni italioti del genere: direi la stessa cosa per “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”.
Vabbè, ancora con questa storia del linguaggio giovanile e il momento storico… Come ha scritto una mia amica sul suo profilo di FB: beata ignoranza…
“Il giovane Holden” è semplicemente un gran bel romanzo: non colpisce per il linguaggio alla moda, ma per la coerenza del linguaggio, non stupisce per lo spirito rivoluzionario, ma per il modo di vedere le cose del protagonista, per il ritmo, per la precisione, per le atmosfere, per le intuizioni (per tutte le cose per cui stupiscono i buoni romanzi).
Non è “I fratelli Karamazov” (ma nessun altro romanzo vale i Karamazov), non è la “Recherche”, ma vale sicuramente più delle “Notti bianche” di Dostoevskiij o de “Il diavolo” di Tolstoj o di tutti i libri di Philip Roth.
Umberto Eco, se si leggono con attenzione le sue interviste, non è questo grande esperto d letteratura, è un nome, un intellettuale influente, talvolta brillante, e uno scrittore che non mi sento in imbarazzo a definire mediocre (ci sono alcuni scrittori mediocri che sono i più grandi esperti di letteratura, i più raffinati critici, i cuori più sensibili, raramente lo sono gli scrittori mediocri di successo).
E ho scritto questo prima di leggere la seconda parte dell’articolo che non voglio commentare perché ora Umberto Eco mi sembra il “vecchio” Alessandro Baricco.
Per concludere, credo di essere io una buona cavia, che ho letto lo Holden (spero che sia un refuso, altrimenti quel po’ di stima per alcuni passi “Apocalittici e integrati” va a farsi benedire – a proposito la seconda parte dell’articolo è una rielaborazione di un passaggio di questo libro) almeno 20 volte dopo l’entusiastica prima lettura adolescenziale e non per fanatismo, ma per verificare la qualità del libro, con il passare del tempo, dopo altre letture (tra cui il “Nome della rosa” che tra i miei amici ha apprezzato solo chi leggeva molto poco ed era a digiuno di storia e filosofia, e non vengo da Cambridge ma da un paesello di montagna”) e per imparare qualcosa e godere esteticamente (spero che si possa dire ancora), ogni volta di più, dell’abilità di Salinger.
Vorrei aggiungere qualcosa di pungente, sarcastico, offensivo addirittura nei confronti di Umberto Eco, ma non ce la faccio proprio… a parte la mancanza di ritegno quando fa le citazioni (la madelaine è un luogo comune, dovrebbe essere proibito citarla negli articoli retribuiti) e la domanda che si fa su Bellow e Mailer (chissà perché nessuno si fa questa domanda, forse perché, nonostante il rispetto che meritano paragonati a, mettiamo, un romanziere come Umberto Eco, dopo due secondi dalla loro morte – Salinger è come se fosse morto 40 anni fa – nessuno è più interessato alla loro opera?), questo intervento mi lascia deluso più che arrabbiato.
Vabbè, comunque troppo forte Umberto Eco: lo Holden (scrivere lo Holden mi fa morire proprio) è un romanzo fortunato, sopravvalutato, circostanziato, troppo apprezzato, un romanzo che ha barato… certo che basta che Bloom scriva una stronzata e le pecore gli si lanciano dietro: ma quanto sei italiano Eco da 1 a 10, quanto sei superficiale e spensierato per liquidare così uno dei migliori scrittori del ‘900 (parlando di Tex, della madelaine, degli amori infelici)?
A questo punto vorrei sfidare Umberto Eco a duello, spada o pistola non importa, ma ho rispetto per la sua età e poi credo che non leggerà questa mail (comunque se volesse io sono a disposizione, difendo l’onore di Salinger dai chiacchieroni).
Mi spiace per i toni duri ma dopo il quarantesimo articolo che attacca “Il giovane Holden” (solo quel libro, non tutta l’opera di Salinger e questo la dice lunga sulla competenza dei detrattori) perché il suo autore vuole tirarsela fingendosi anticonformista, non ce l’ho fatta a trattenermi (l’unico impagabile detrattore da apprezzare, BE.Ellis su Twitter: “Era una vita che aspettavo che morisse, stasera si festeggia”)
Ok, ora mi sono sfogato 🙂
un attimo, un attimo… dimenticavo “ero impegnato su Joyce” ma che vuol dire ero impegnato su Joyce? anch’io quando ho letto Salinger ero impegnato su Joyce e su Rimbaud, su Puskin e su Goethe, e con questo?
Un consiglio per Eco, quando vuoi tirartela dicendo che eri occupato inserisci sempre uno scrittore molto letto dagli adolescenti (in questo caso un poeta, Rimbaud) e due di grandissimo valore ma che ultimamente non vengono citati tanto spesso (Goethe, ma soprattutto Puskin). Se fai riferimento a Joyce (Joyce e Proust , mai citare il loro nome quando non è indispensabile), quei pochi fessi che leggono con attenzione, si accorgono (attenzione a questo modo di dire, attenzione…) che ti stai sparando le pose
Loredana, mi sono accorto solo ora di aver saltato l’introduzione in corsivo… 🙁 In ogni modo non avrei mai letto questo pezzo senza il suo blog, grazie ancora.
Arturo, proverò a leggere un’altra volta “lo” Holden e ti farò sapere!
Scommettiamo che se Eco avesse detto meraviglie del Giovane Holden A. lo avrebbe stroncato con altrettanta ferocia?
Magari no, magari gli piace davvero: un commento come quello secondo cui Il Nome della Rosa piace solo agli ignoranti è decisamente caulfieldiano.
Poichè mi capita di condividere appieno l’opinione e l’esperienza di Eco non posso fare a meno di sentire confermata la mia sensazione che ‘lo Holden’ sia il manuale dei fasulli, come sostiene giustamente The Onion:
http://www.theonion.com/content/news/bunch_of_phonies_mourn_j_d
Arturo, massimo rispetto per lo sfogo. Però mi piacerebbe tanto sapere con quale faccia tosta l’amica scrive “beata ignoranza” a proposito di Eco. Si può dissentire, certo: ma un’affermazione di questo tipo, perdono, ha l’effetto di un boomerang. 🙂
@Arturo
Che il best-seller di Eco sia dopotutto un romanzo mediocre non lo pensi solo tu, ma lo pensano anche Pietro Citati e Aldo Busi, per fare solo due nomi. Nel tuo intervento mi interessa il punto in cui dici: “il ‘Nome della rosa’ che tra i miei amici ha apprezzato solo chi leggeva molto poco ed era a digiuno di storia e filosofia, e non vengo da Cambridge ma da un paesello di montagna”. So che in questo libro Eco ha volutamente inserito degli anacronismi, per esempio alcuni assiomi di Wittgenstein. Però l’ha fatto, appunto, volutamente. Tu vuoi forse insinuare che ci sono altri errori storici o filosofici che sono sfuggiti a Eco? Ho capito bene? Questo mi interesserebbe…
Intendevo ignoranza nel senso che Umberto Eco ignora il valore letterario de “Il giovane Holden” e l’ho definita beata perché lo fa a cuor leggero senza nemmeno chiedersi se c’è un motivo per il quale il romanzo di Salinger ha ancora tanti lettori.
Secondo me c’è un punto su cui Eco e Bloom (quest’ultimo lo cito a orecchio) hanno ragione: la vicenda di “The Catcher in the Rye” e quindi il suo primissimo livello di lettura sono fortemente legati al momento storico in cui il libro è stato scritto e all’adolescenza; ma a rigor di logica, se la sua lettura non avesse molto altro da offrirci, se non si trattasse di letteratura di altissima qualità, nel giro di una ventina d’anni, come è successo a tanti altri libri, “Il giovane Holden” sarebbe sparito dalle librerie e dalle biblioteche e, in ogni caso, nessuno sopra i 16, massimo 18 anni, riuscirebbe ad apprezzarlo.
Io ho una certa età (ventisette anni), non mi potrebbe fregare di meno di un ragazzino vergine che, espulso da scuola, vaga per New York prima di tornarsene dai suoi per Natale; ci sono un sacco di cose che mi piacciono fare oltre a impedire ai bambini di lanciarsi nel vuoto; non appartengo a una generazione che vuole ribellarsi (purtroppo? boh, non lo so), voglio dire che non aspiro alla ribellione, né ho particolare simpatia per i ribelli; infine, “Il giovane Holden” non è legato a un momento particolarmente felice della mia vita.
E poi se un libro, una canzone o un film sono legati a un momento bello della mia vita li rileggo, li riascolto o li rivedo, non vado a sbandierare ai quattro venti che sono delle opere d’arte: sono capace di distinguere una cosa dall’altra, come tutti, caro signor Umberto Eco! (qui ho fatto una citazione, ho rispolverato la mia vena polemica e ho detto una bugia).
Per farla breve, ne “Il giovane Holden” (ma in tutta l’opera di Salinger) ci sono talento, sudore, sangue, anima (questa parola tanto bistrattata, sì l’ho scritta), tanto sudore soprattutto, rigore e studio, e un incredibile senso dell’umorismo, un’incredibile conoscenza dei meccanismi dell’umorismo – del comico e del tragico -, quindi tutto ciò di cui necessita un’opera d’arte per essere tale.
Poi ci sono i gusti, ma quello è un altro discorso (naturalmente, per quanto argomentata, ogni difesa di un’artista è una difesa a priori).
@Sascha.
Mi piace davvero “Il giovane Holden” (ma se lo scrivo un’altra volta credo che inizierò a odiarlo) e ancora non ho letto l’articolo che hai linkato ma l’espressione “manuale dei fasulli” non mi convince, mi suona un po’ fasulla (e poi questo presuppone che esista un “manuale degli autentici”? E chi sarebbero questi autentici? Si sono autodichiarati tali o li ha nominati qualcuno? No, tutta la questione mi puzza… ora sto delirando, vado a leggermi l’articolo prima di dire qualcosa di sensato)
@Oberdan
Non mi riferivo a quello, intendevo che ci sono certi tipi di opere che impressionano molto alcuni lettori per quello che dicono, anche se in realtà lo dicono con poco vigore o profondità (lo diranno con arguzia e solide basi teoriche, ma l’arguzia e le solide basi teoriche non richiedono il sangue e un raro talento).
Non è che “Il nome della rosa” sia brutto come il… che ne so, “Il codice da Vinci”, ma immaginiamo che ci siano due schieramenti lì, dall’altra parte del sipario, tra 100 anni, due schieramenti di scrittori, uno capeggiato da Dostoevskij (che continuo e continuerò a citare in maniera stucchevole, me ne rendo conto, ma per me è come indicare il Sole), l’altro da Dan Brown, pronti ad affrontarsi in uno scontro mortale (anche se in realtà sono tutti già morti), all’arma bianca.
Umberto Eco starebbe dalla parte di Dan Brown (ovviamente nessuno non può scegliere da quale parte stare), Salinger starebbe dall’altra.
O ci sta già
😉
Eco è stato un grande medievista, l’inventore di una disciplina, autore di un bel giallo, non male..
Ma questo articolo è davvero brutto, scritto male, sciatto..
Ho letto il Giovane Holden da adulto con parecchi pregiudizi. Mi sono ricreduto, è davvero un bel libro, a mio avviso sicuramente più interessante di tanta paccottiglia successiva per adolescenti..
Ma non superiore a Philip Roth, per la miseria..
Correzioni:
1- nel primo commento ho scritto “poi credo che (Eco) non leggerà questa mail”; volevo dire “questo commento”
2- alla fine del mio secondo commento ho scritto “ovviamente nessuno non può scegliere”, ma era “ovviamente nessuno può scegliere”.
3- U.Eco è una molto persona colta, per quello che ne so, sicuramente molto più colta di me: non ho mai pensato di metterlo in dubbio.
Il momento opportuno offerto dal fato potrebbe non essere stato quello giusto per tanti scrittori attuali. Li riscopriranno i nostri nipoti?
Riguardo a Tex, è un fumetto che è stato di gran moda per almeno vent’anni, ma lo ritengo soprattutto maschile, anche perché i personaggi femminili sono pochi, e secondari.
Anche l’inquadramento di Holden nelle epoche, nei decenni, mi lascia perplesso, come metodo in sé. Credo ancora nella letteratura sganciata dalle mode, trans-temporale, per così dire. Io l’ho scoperto alla fine degli anni Ottanta, e anche se ero già un superlettore di americani, mi è piaciuta quella freschezza, quell’ironia, quella giovinezza così ben narrata. “Datato” è per me un termine incomprensibile. Chi non ne è stato invece coinvolto, per vari motivi, perché deve per forza definirlo vuoto, ecc? Come se in letteratura contassero i contenuti. Conta lo stile. E’ nello stile che viaggia il contenuto. Per cui non riesco a capire come uno stile possa essere definito datato. Forse si vuole dire che è “falso”? Questo è un altro tema.
P.S. Messaggio OT per Girolamo, se è connesso: ti ho scritto su libero, l’unico indirizzo che ho di te.
In effetti il giovanotto è transtemporale e sganciato dalle mode: è antipatico oggi come allora.
‘all that David Copperfield kind of crap’ – sì, ti piacerebbe…
Sara’ che il giovane Holden, ci capitasse d’incontrarlo, faremmo di tutto per non incontrarlo di nuovo: chi ha voglia di sentirsi giudicato da un adolescente snob e spocchioso?
Fosse, per rimanere in epoca, uno dei giovani favolosamente attraenti di James Purdy, come Malcolm o lo stupratore seriale Cabot Wright, allora, forse, si sopporterebbe ma il giovane Holden non da l’impressione di essere poi così attraente…
(concesso che Salinger scrive effettivamente bene, l’unica scusa che trovo è il sospetto che la sua fosse una satira del giovane Caulfield, o almeno che ci volesse suggerire che il giovanotto non è un modello di comportamento ma un futuro Mark Chapman)
Credo che Salinger, rinunciando a scrivere altro dopo il suo Holden, trincerandosi dietro una assoluta improduttività (se non altro pubblica), in fondo abbia fatto la miglior critica a se stesso.
A me piace moltissimo la frantumata saga della famiglia Glass. Mi ha insegnato qualcosa che va oltre la letteratura. Alla signora grassa penso spesso quando non ho voglia di fare quello che devo fare. In quei brevi romanzi è evidente che Salinger sperava di andare oltre le parole, un po’ come Lord Chandos. Un caro saluto, Marco Lodoli
Mi meraviglio sempre dell’autorità di cui gode Umberto Eco, intellettuale poco originale e spesso pedante, scrittore mediocre, uomo colto ma assolutamente insensibile da un punto di vista letterario. Il suo articolo è l’ennesima riprova che lui non “sente” la scrittura, è un accademico, un fossile avrebbe detto Rimbaud. IL GIOVANE HOLDEN è un libro di assoluto rilievo, io l’ho letto nel 1990 quando avevo 15 anni e l’ho trovato irresistibile; poi in seguito l’ho riletto trovandolo…resistibile. La stessa cosa accade a molti altri lettori, che io sappia. Ciò dimostra due fatti: 1) è un libro che prescinde da un determinato periodo storico (e scusate se è poco); 2) è un libro che non prescinde (non più di tanto, almeno) dall’età alla quale lo si legge. Paragonare IL GIOVANE HOLDEN ai grandi capolavori è insensato, ma lo è pure paragonarlo a JACK FRUSCIANTE, come qualcuno sopra ha osato. E’ insomma un libro che dopo oltre cinque decenni continua a dar pugni, è un libro generazionale ma anche trans-generazionale, e il suo valore resiste al tempo purché non lo si rilegga troppo. La sua è una grandezza discreta, dicianmo così.
ps: lo scrittore Salinger non è a mio avviso paragonabile alle più importanti voci americane attuali (McCarthy, Roth, Delillo, Wallace, Pynchon), viene un po’ dopo. Ma avercene come lui.