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Mi scrive un mio contatto di non pochi malumori provocati dalla ultima rubrica che ho scritto per L’Espresso, scambiato per una difesa a prescindere e per l’invito a non schierarsi in caso di guerra. Non è nessuna delle due cose: intanto invito a leggerlo, perché è visibile integralmente in rete. Semmai, in quell’articolo, provavo e provo ora a problematizzare la posizione degli intellettuali invitati a schierarsi per Gaza, chiedendomi cosa si intende per schieramento e cosa si dovrebbe e potrebbe fare. Uno status su un social? Onestamente, lo trovo poco utile, anche considerando quanto è difficile intraprendere qualsivoglia discorso complesso sui medesimi. E allora?
Nella rubrica ho riportato l’amarezza e i dubbi di Franco Fortini ai tempi della guerra del Golfo. Qui posso rimandare a due pareri lontani, novecenteschi, appunto. Quello di Umberto Eco e quello di Antonio Tabucchi.
Suscitare dubbi, riflettere a voce alta, provare a capire è quel che abbiamo: questo è. Per dirla con Tabucchi, “Non è facile far luce, e del resto, come diceva Montale, ci si deve accontentare dell’esile fiammella di un fiammifero. Ma è già qualcosa. L’importante è tentare di accenderlo.”
Ma l’ultimo luogo, oggi come oggi, dove accendere fiammiferi sono i social, perché quel che si ottiene è far saltare tutto senza alcun risultato utile. Così la penso, almeno, io che non sono che un frammento di unghia di Eco e Tabucchi e forse neanche quello. 
Infatti, il consiglio novecentesco con cui chiudo il mio articolo è: studiate e leggete chi ne sa più di noi. E’ il mio fiammifero, e lo uso così.

“Meglio mostrare l’infelicità che promettere felicità. Chi fosse capace oggi di farmi toccare per mano una serie di infelicità che esistono farebbe un lavoro culturale. Chi invece mi promette per pochi euro una felicità estemporanea non fa che continuare ad appiattirmi sul presente come un rospo schiacciato sull’autostrada”.
Così Umberto Eco nel 2014. Ieri Annalisa Camilli, a proposito della strage di Steccato di Cutro, scriveva: “Non dovremmo dormirci e invece ci siamo anestetizzati, esauriti dal lutto e questo ci spinge probabilmente a pensare che la vita di alcuni sia sacrificabile”.
Lavoro culturale è, anche, risvegliarci. E magari riflettere sulle reazioni (avverse, da sinistra) all’elezione di Schlein.

“Non è facile far luce, e del resto, come diceva Montale, ci si deve accontentare dell’esile fiammella di un fiammifero. Ma è già qualcosa. L’importante è tentare di accenderlo. Anche un fiammifero Minerva.”
Questo è un post molto lungo, e persino un po’ datato, perché la lettera di Antonio Tabucchi ad Adriano Sofri, con ampia incursione nelle parole di Umberto Eco, è addirittura del 1997. Parla di intellettuali, categoria di cui da anni  si dice tutto il male possibile, e il problema è che non è più solo qualche politico – o tutti – a farlo, ma gli stessi intellettuali, se come tali devono essere definiti coloro che lavorano con le parole e il pensiero. Anche sui social. Gli intellettuali non ci sono più! Tacciono! Si sottraggono!, dicono costoro. Eppure, quando sono davanti a un gesto intellettuale, tacciano chi lo compie di superficialità, violenza, vena autopromozionale. Chi non lo fa, tace, o magari solidarizza, chissà, in privato, fosse mai che si perde la possibilità di un passaggio televisivo.
Dunque, care e cari, ecco cosa significa essere intellettuali. Ecco a voi l’intervento strepitoso di Antonio Tabucchi del 1997. E’ lungo e spesso non facile. Ma leggendolo impariamo tantissimo, e così dovrebbe essere sempre. 

Ieri abbiamo deciso di provare a capire i motivi dell’interesse, libresco e giornalistico, nei confronti della famiglia reale inglese e del tormentato principe Harry, la cui biografia è risultata già vendutissima nel primo giorno di uscita. Ora, anche se il solo parlare della vicenda ha turbato qualche puro spirito, o i soliti malignazzi, c’è una questione a mio parere non proprio secondaria, in editoria come nel giornalismo. Si chiama mutazione, ed è iniziata clamorosamente, sui quotidiani, nella tarda estate del 1992. All’epoca Repubblica mi chiese un articolo per capire come mai le prime pagine dei giornali fossero occupate dalla foto dell’alluce di Sarah Ferguson. Lo scrissi. In capo a pochi giorni si aggiunse Umberto Eco. Rileggere, anche se parliamo di 31 anni fa, aiuta: “Oggi tutti hanno gli stessi diritti a sapere tutto. Eppure è questa cancellazione della divisione sociale del pettegolezzo che costituisce il pericolo dei nostri mass media. Così come agli inizi della televisione i sociologi ci avevano raccontato che, per molti spettatori impreparati, non c’ era differenza di genere nel corso della serata, e si prendeva sia il telegiornale che il telefilm come rapporti di pari veridicità sulla stessa realtà, oggi non solo gli indotti ma persino i dotti non riescono più a districare la notizia pettegola dalla notizia che fa tremare il mondo.”

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