Ieri citavo un articolo apparso su Il Sole 24 ore
del 27 agosto: riflettendo, aggiungo oggi il testo e i dettagli. Lo firma
Stefano Salis, il titolo è Quando l’autore dà i numeri. Ovvero:
“In realtà, pare banale dirlo, non tutti i libri che
vendono sono per forza banali o compiacenti o derivativi, e non tutti i libri
invenduti sono incomprensibili, elitari o-semplicemente-brutti. Eppure, ancora
troppa gente schifa chi vende solo perché vende ed esalta chi “floppa” solo
perché “floppa”. Occorre un approccio più laico e meno ipocrita. Se
uno pubblica un libro è perché si auspica che altri lo leggano, possibilmente
molti altri, più ce n’è meglio è. Se lo pubblica presso un editore, accetta che
il libro rechi un prezzo in copertina e venga scambiato con denaro. Se firma un
contratto in cui gli viene accordata una percentuale (bassa o alta che sia) del
prezzo di copertina, vuol dire che si auspica di guadagnarci qualcosa pure
lui”.
Parole sante, che meritavano l’ampia citazione. Sono di Wu
Ming, il collettivo di scrittori autore di Q, New Thing, Giap! E tanti altri. E
servono a spiegare i motivi che sottendono la pubblicazione- sotto il nome di Operazione
glasnost (sul loro sito)- dei numeri precisi, alla copia, dei rendiconti di
vendita dei loro libri. Per dire: q, il loro libro commercialmente più
riuscito, “nel 2001, Q vende 12.322 copie. Nel 2002, altre
17.345. Nel 2003, altre 12.876. Nel 2004, altre 15.463. Nel
2005, 15.488. Tirando le somme: 122.638
copie delle varie edizioni Einaudi vendute in 81 mesi di
presenza in libreria”. Copie che, con altre edizioni extra-libreria, arrivano
fino a 242mila. A che serve tutta questa esibizione di ragioneria? I Wu Ming
spiegano: “è una questione di glasnost e di
approccio laico alla natura (anche) mercantile del libro, ossia allo scrivere
come lavoro”.
Ma c’è di più. E lo testimonia, per
esempio, la virulenza con la quale l’argomento è stato ripreso, trattato e
commentato sull’interessante blog di Loredana Lipperini. Poiché siamo nel
sottile crinale tra “Arte” e “mercato,; nei criteri di misurabilità del valore
di uno scrittore, nei meccanismi che stanno nel mondo dell’editoria,
l’argomento si presta a parecchie riflessioni. E, in sottofondo, si sente la
questione del grande rimosso dell’editoria italiana: il denaro. C’è ancora bisogno
di meditare su tali questioni. A patto di partire dalla prima, sacrosanta,
frase che leggete in apertura d’articolo.
N.B. Nella famosa montagna cartacea
cui accennavo ieri si nascondeva un graditissimo dono da parte di Vittore
Baroni: il Dvd, e relativo fascicoletto, “Che fine ha fatto Luther Blissett?”.
Meritano lettura e visione. Finale dell’articolo introduttivo. “Forse LB non è
più lo stesso, come noi non siamo quelli di dieci anni fa. Forse LB è un
grimaldello che si è usurato col tempo, anche se il suo esempio resta un
fertile modello aggregativo e propulsivo a cui tutti possono guardare e
attingere. Basta provare ad aprire una porticina nascosta del nostro cervello.
Com’è scritto nel sito del Museo Aperto che Luther dirige (o ha diretto)
sulle boscose montagne del grossetano, la chiave è al solito posto.
già… e l’altra sento Massimiliano Parente alla radio che parla del problema dei diritti d’autore, e dei piccoli editori che truffano. Tra i più ladri denuncia il suo, PeQuod…
Zorro, in questa sede vanno riferiti argomenti e non insulti. Se Parente ha qualcosa da denunciare, accolgo le problematiche, purchè documentate.
Troppo spesso i piccoli editori propongono a giovani scrittori contratti con partecipazione alle spese senza alcun impegno sulle modalità e tempi di stampa delle copie nè sulla distribuzione o sulla pubblicità.
Di fatto la collaborazione alle spese copre i costi, senza alcun rischio per l’editore. Forse non si può parlare di truffa ma quasi …
Consiglio di visitare il sito di un esordiente: http://www.illegame.it che ha preferito pubblicare con lulu.com anzichè farsi prendere in giro dal mondo editoriale italiano!
Gli editori rubano sempre, e chi pubblica per grossi editori spesso è più fortunato (se vende) ma neppure più di tanto. Se è per questo Parente l’ho sentito anch’io, mi pare su Radio Città Futura. Quello che ha detto di pecquod, se è vero, è davvero schifoso. Tra l’altro per un libro come La Macinatrice da me amatissimo.
Ho sentito per radio uno che lavora a peQuod confessare di aver detto ai suoi figli di lavorare come trasportatore di rifiuti radiattivi per la camorra, pur di non fari sapere loro di essere l’editore de La macinatrice.
In effetti Garcia per Pecquod pubblicare la Macinatrice è una vergogna come per Grasset pubblicare Proust. Per Marco Molina sentirsi editore di un solo libro deve essere una bella vergogna.
I fans di Parente suscitano sempre dubbi:
fans o fan(s)?
fans di Parente o (fans di) Parente?