SCARY KRITIC! IL RITORNO

Bis da rientro. Riprendo dai commenti di due post fa quanto inserito da William: ovvero, parte dell’articolo "Io, stroncatore pentito ma non troppo" di Roberto Cotroneo, apparso su ieri L’Unità.

"… avevo dalla mia una sola scusante, l’unica possibile: stroncavo
potenti veri, gente che contava. E proprio per questo negli anni mi è
stato presentato un conto assai salato. Per intenderci. Nonostante
abbia scritto cinque romanzi e un numero imprecisato di saggi, e sia
tradotto in una dozzina di lingue non ho mai vinto un premio letterario
italiano. Nonostante abbia scritto migliaia di articoli giornalistici
in vent’anni di mestiere, non ho mai vinto un premio giornalistico.
Forse non meritavo e non merito né gli uni e né gli altri. Ma sappiamo
bene che i premi non vanno ai meriti ma sanciscono un’appartenenza a un
establishment. E chi stronca rompe un equilibrio di elogi incrociati e
non è più establishment.
   Non so ancora se accadrà anche agli autori dell’imminente Sul banco dei
cattivi
, edito da Donzelli, ma le polemiche non mancheranno. Gli autori
sono quattro critici famosi: Giulio Ferroni, Massimo Onofri, Filippo La
Porta e Alfonso Berardinelli. Ferroni stronca Baricco, Onofri, Isabella
Santacroce, La Porta, Carlo Lucarelli e Berardinelli, Tiziano Scarpa.
Eccetto Baricco che è una star della letteratura e può anche ignorare
la stroncatura, per gli altri autori non sarà per niente un piacere.
Anzi.
   Perché stroncare non fa bene a chi stronca. E non fa bene a chi è
stroncato. Perché bisogna intendersi sul significato della parola
stroncatura. La stroncatura non è un parere negativo su un libro o un
film. La stroncatura è un parere estremo, radicale, che tende il più
delle volte a ridicolizzare e a schernire il lavoro di uno scrittore,
di un regista o di un poeta. La stroncatore è amato, troppo spesso, da
quelli che non riescono a pubblicare, da quelli che vorrebbero scrivere
dei libri e non hanno il coraggio di farlo, da quelli che ritengono il
mondo delle lettere, o del cinema, o di quello che volete, un mondo
chiuso, sostanzialmente mafioso, dove non si può entrare se non per
cooptazione. E dove non ci sono meriti ma soltanto privilegi. Il
lettore di stroncature, l’entusiasta delle stroncature, è di solito un
frustrato che manda avanti i critici più radicali in vece sua, che si
sente vendicato e rappresentato da qualcuno che, coltello tra i denti,
entra nella cittadella fortificata degli intellettuali e del mondo
culturale, e comincia a tagliare gole, e a seminare distruzione. Il
lettore di stroncature è il pubblico che assiste all’esecuzione
pubblica di un condannato alla ghigliottina, e applaude.
   Non va bene. E soprattutto non è così che funziona. Che quattro critici
abbiano scritto un libro su quattro autori che non meriterebbero
attenzione è già una contraddizione. Non si scrivono libri su autori
che si ritengono di poca importanza. A meno che questi autori non
abbiano una rilevanza gigantesca. Si può stroncare la Rowling, o
l’ultimo romanzo di Marquez, o i romanzi di Günter Grass alla luce del
suo passato recentemente emerso. Ma gli altri? 
   Con gli altri bisogna essere cauti. Perché in fondo la stroncatura non
delegittima soltanto l’autore. Ma delegittima la cultura nella sua
totalità. In fondo è il sintomo di una malattia profonda, che passa
inevitabilmente dal disprezzo per le opere creative e per la cultura.
Un disprezzo mascherato da altro. In realtà il critico non fa altro che
dire: io faccio a pezzi gli scrittori, li invito a non pubblicare mai
più, li espongo al ludibrio dei lettori perché vorrei soltanto
capolavori. Ma in realtà il ludibrio pubblico investe tutta l’attività
letteraria e creativa.
   Ma se ci si fermasse a questo, l’articolo che sto scrivendo apparirebbe
soltanto come un pentimento o un mea culpa. In realtà ci sono alcuni
aspetti che vanno presi in esame. Il mondo letterario italiano è sempre
stato molto debole e fragile. Fino alla seconda metà degli anni Ottanta
ha avuto una sua identità, ha avuto i suoi critici, e aveva il suo
peso. Essere scrittori o critici dava prestigio, forse dava una certa
fama negli anni, ma non visibilità, successo effimero e altro ancora.
Gli scrittori facevano gli scrittori, e poco più. I critici si
occupavano prevalentemente dei libri. E tutti gli altri, soprattutto se
uomini pubblici, si guardavano bene dal mandare in libreria romanzi, o
altro.
   Ma dalla seconda metà degli anni Ottanta le cose sono cambiate,
l’industria culturale è diventata una vera industria e lo scrivere e il
pubblicare non era più il frutto di un percorso intellettuale. Era un
modo per mostrarsi, per parlare in televisione, per essere ammirati. Da
allora essere scrittori cominciò a significare tutto meno quello che
davvero doveva essere. Da allora, cominciò un meccanismo abbastanza
perverso, per cui si pubblicava e ci si faceva recensire dagli amici,
che a loro volta pubblicavano e venivano recensiti dagli scrittori che
a quel punto diventavano critici. Tutti i libri erano capolavori, tutti
gli autori erano una scoperta, tutti romanzi erano belli per forza.
Quando all’inizio del 1980 Umberto Eco finì di scrivere Il nome della
rosa
, lo mandò a una decina di amici in manoscritto con una domanda
preoccupata: «un romanzo potrebbe danneggiare la mia immagine di
rigoroso docente universitario?». Ve la immaginate oggi una
preoccupazione del genere di chiunque si dia alla narrativa venendo da
un altro mestiere?
   È cambiato il mondo. Mamurio Lancillotto nasceva da lì. Era vero che ci
si trovava di fronte a grandi capolavori? Era vero che la società
letteraria italiana sembrava prossima a un nuovo Rinascimento? In
quegli anni editoria e pagine culturali sembravano aver preso nuova
linfa. Tuttolibri diventava un inserto importante letto in tutta
Italia, Repubblica varava Mercurio il suo primo supplemento di libri, e
il Corriere della sera raddoppiava le pagine dedicate alla letteratura.
Per non dire del quotidiano di economia e finanza per eccellenza, Il
Sole 24 Ore, che la domenica usciva con un supplemento coltissimo e
pieno di recensioni.
   Il successo del Nome della Rosa nel mondo aveva innescato un meccanismo
a catena. A Francoforte, tra il 1985 e il 1990 non si parlava che di
autori italiani. I libri italiani erano comprati, spesso, blind, alla
cieca, usando un termine tipico del mercato editoriale. Ma durò poco.
In poco tempo ci si accorse che di Eco o di Magris non ce ne erano
molti in giro. E le delusioni fioccavano. Bisognava scrivere la verità.
Soprattutto su certi capolavori o certi scrittori immensamente
sopravvalutati. Ecco il perché delle stroncature di quegli anni.
   Ma la storia si capovolse ancora. I giornali cominciarono a pensare che
la cultura era una cosa noiosa e poco vendibile. I critici degli oscuri
signori dalla prosa improbabile e desueta, da limitare il più possibile
e confinare da qualche parte. Gli scrittori e gli editori soltanto dei
questuanti che cercavano di rifilarti sciocchezze per narcisismi e
gloria personale. E se la televisione era diventata il primo veicolo di
circolazione e promozione dei libri, obbedendo alle nuove regole
dell’Auditel stava scacciando dai suoi programmi libri e copertine come
delle calamità più pericolose dell’uragano Kathrina. Se appare uno
scrittore in qualunque telegiornale o in qualunque contenitore perdi
cinque punti dell’Auditel, si diceva.
   Così già nella seconda metà degli anni Novanta il disastro era
compiuto. Ora non si trattava più di stroncare, e dunque togliere linfa
ad autori sopravvalutati, ma semmai di cercare tra le macerie qualche
pezzo di valore che potesse far sì che si ricominciasse da capo. Non
aveva nessun senso sottolineare che in Italia la letteratura arrancava
sempre di più, e produceva risultati spesso al di sotto della media
culturale europea. Si doveva sperare che quella media si potesse alzare
un po’. Non si trattava di avere spazio anche per le stroncature su
giornali, periodici e media in generale, ma di avere quel poco di
spazio rimasto per dare voce a critici intelligenti e recensori
«costruttivi». Non si trattava, infine, di ridicolizzare i vecchi e
stantii premi letterari italiani, con le giurie over 70, si trattava di
provare a sperare che almeno i premi potessero far vendere qualche
copia in più a dei libri buoni (se venivano premiati dei libri buoni).
   Poi, accanto a questi drammi letterari c’erano gli autori che vendevano
e vendono. Non sta a me dire se per moda o per qualità letterarie, se
per motivi che con la letteratura avevano assai poco a che fare, o per
altro. Ne abbiamo visti alcuni in questi anni. Alessandro Baricco,
certo, Margaret Mazzantini, Susanna Tamaro. E recentemente Tiziano
Terzani, Sandro Veronesi, e da pochissimo il romanzo di esordio di
Walter Veltroni. Ma per il resto? Come muoversi, e che cosa fare?
   Quando nel marzo scorso Baricco ha pubblicato sulla prima pagina di
Repubblica il grido di dolore di non riuscire a farsi recensire dal
critico Pietro Citati o da Giulio Ferroni si è chiuso un cerchio
davvero sorprendente. Uno dei cinque scrittori italiani più famosi del
mondo, si lamenta dalla prima pagina del secondo quotidiano italiano in
termini di copie vendute, di non riuscire a essere neppure stroncato
dai critici militanti, se non in qualche parentesi di passaggio.
   Giorgio Manganelli, che è stato un grande scrittore, forse tra i più
grandi di questo secondo Novecento ripeteva sempre una frase
paradossale: «Non l’ho letto e non mi piace». Era la provocazione di
uno che i libri li leggeva e spesso gli piacevano davvero. E stare sul
«banco dei cattivi» è una cosa alla Franti del libro Cuore. «E
quell’infame rise», scrisse di lui Edmondo De Amicis. Ma sono quelli
come Franti che ti fanno capire il mondo. Anche se ridono, e sono
infami. Se stare «sul banco dei cattivi» è un modo per risollevarci dal
deserto tremendo della letteratura italiana (e anche del nostro
cinema), mi può anche stare bene. Ma pur stimando molto Ferroni e
Berardinelli, La Porta e Onofri, ho davvero i miei dubbi…"

20 pensieri su “SCARY KRITIC! IL RITORNO

  1. “Il lettore di stroncature, l’entusiasta delle stroncature, è di solito un frustrato che manda avanti i critici più radicali in vece sua, che si sente vendicato e rappresentato da qualcuno che, coltello tra i denti, entra nella cittadella fortificata degli intellettuali e del mondo culturale, e comincia a tagliare gole, e a seminare distruzione. Il lettore di stroncature è il pubblico che assiste all’esecuzione pubblica di un condannato alla ghigliottina, e applaude.”
    Parole non sante: santissime. E in certi casi, le due figure (scrittore frustrato e critico stroncatore) convivono all’interno dello stesso corpo.

  2. Secondo me Roberto Cotroneo fa bene a ‘pentirsi , ma non troppo’.
    Mi ha fatto molto piacere leggere questa intervista, perchè ho sempre stimato Cotroneo, e Mamurio Lancillotto.
    Come scrittore lo trovo bravino, ma noioso.Più in là di ‘Otranto’, coi suoi libri, non ce l’ho fatta.
    Mi era sembrato di notare, dal tono e dal tenore ei suoi ultimi libri, che volesse dimpostrare che anche Roberto Cotroneo ha un’anima.Ma fa bene, appunto, a non pentirsi troppo.

  3. A me sembra un articolo ben scritto. Mette in luce quel qualcosa che è sotto gli occhi di tutti coloro che hanno a che fare dal di dentro con l’oggetto libro, e cioé l’estrema connivenza all’interno del ‘sistema’ letteratura (in Italia almeno) tra scrittori e critici. Una connivenza circolare che crea una sorta di perimetro-ghetto. Un sistema cioé assolutamente autoreferenziale, in cui molto spesso gli stessi personaggi si muovono occupando più posizioni, scrittori critici recensori uffici stampa talvolta. Sulla storicizzazione del fenomeno non sono d’accordo, credo che anche negli anni sessanta ci fossero gli stessi meccanismi, semmai ha ragione quando intuisce che lo spostamento o l’assimilazione dell’industria culturale al mondo dello spettacolo, con realtiva assunzione di comportamenti di quest’ultimo, ha reso il fenomeno degenerato e forse incontrollabile. Insomma oggi il marchetting è la forma di rappresentanza che tira di più nella promozione del libro.

  4. Luigi, ma davvero il pezzo di Cotroneo dice questo? :-O A me sembrava se la stesse prendendo con chi se la tira perché stronca (ammazza quanto so’ cattivo!) e chi è tanto imbecille da incitare con tifo da stadio chi se la tira perché stronca (Forza, faje vede li sorci verdi!).

  5. Stavo per dire la stessa cosa, Luigi. Mi sembra che Cotroneo a un certo punto dica che è iniziata una terza fase (“Ma la storia si capovolse ancora”) che ha fatto sì che dalla seconda metà degli anni Novanta la letteratura italiana piombasse in uno stato di prostrazione, dal quale forse solo ora sta cominciando a uscire.

  6. Cotroneo esplicitamente dice questo a cui fai riferimento, è vero, dovendo difendere in qualche modo una categoria alla quale, all’inizio, dichiara di appartenere ma con riserva, visto che ancora non l’hanno premiato. Ma implicitamente il suo discorso vale come riconoscimento di un modus operandi in cui è sancito il patto della circolarità.

  7. Non ho letto le stroncature in questione, quindi non posso entrare nel merito. Però, in linea generale, penso che una stroncatura fatta per il gusto di farla sia un po’ come sparare sulla croce rossa, se il libro è davveo debole, e al tempo stesso una perdita di tempo (perchè stroncare un libro? piuttosto scriverne uno che superi il libro stroncando col suo dire e il suo fare). Per contro, una stroncatura fatta bene, argomentata, che dica in profondità cosa non va nel tal libro, insomma una stroncatura da cui si impara vale più di una buona recensione. Il mio primo libro l’ho gettato via dopo un motivato giudizio di un mio antico maestro. Ma chi, oggi, ha l’onestà di ascoltare una onesta stroncatura, quando può commissionare recensioni favorevoli che lisciano il pelo e fasciano le orecchie di salame?

  8. Cotroneo è semplicemente passato dall’altra parte della barricata: ora scrive romanzi e non sopporta di essere stroncato e/o snobbato. Tuttavia il cerchio di chiude, perché era mediocre come critico letterario ed è mediocrissimo come romanziere. Vuole vincere premi? Ci riuscirà, non si preoccupi, verrà premiato anche lui, vogliamo scommettere?, un premio non si nega a nessuno.

  9. non ho letto un altro articolo, avendo anche letto l’integrale. Non sei d’accordo? Forse sei tu che sei blccato/a ad un livello immediato delle parole. Come dice l’analista si è preparato a chiudere il cerchio, tutto qui.

  10. Non so per chi legge e per chi è stroncato. ma per chi stronca stroncare è divertentissimo. E mi sembra un ottimo motivo per farlo. Se ben fatto, assurge poi a vero e proprio genere letterario. In alcuni casi, è anche l’unica maniera possibile per approcciare certi autori. Si può leggere seriamente la Santacroce, o la si può solamente stroncare, esattamente con lo stesso senso di necessità con cui non si può parlare di Bonito Olivo se non come di un cretino epocale. la stroncatura è anzi l’unico strumento di dialogo che esista tra il recensore e il cretino-autore. L’alternativa è il silenzio, con il rischio che esso, aiutando indirettamente l’emergenza e la prevalenza del cretino, non si tramuti in un atto di omertà

  11. ma come, dapprima Egli si lamenta perché, non facendo parte dell’establishment, non è mai stato premiato, e poi critica quanti si lamentano dell’establishment?
    (spero, a questo proposito, d’aver letto anch’io un altro articolo, ed è ben probabile)
    Eppure no, o Cittadini:
    fa male Cotroneo a pentirsi.
    Pentirsi, mai.
    Ritrattare, mai.
    Arrendersi, mai.
    Perché è il confine che conta, la frontiera, lo si comprenda una volta per tutte.
    Una cultura è fatta di frontiere, e alcune vanno superate e travolte e abbattute nei due sensi, e altre vanno fortificate.
    La stroncatura fortifica la frontiera.
    E’ un Alt, di qui non si passa, vili marrani e manigoldi.
    Guai a cedere, sull’importanza della stroncatura.
    E’, essa, un colpo di scure?
    Ebbene, lo è, ma cimentatevi dunque voi a star di sentinella sulla frontiera, e vedrete che il colpo d’ascia è necessario, decisivo, risolutore.
    (il libro in questione è poi solo un cortocircuito di marketing, suppongo; critici che giocano a fare gli scrittori, cui risponderanno scrittori che giocano a fare i critici).
    Embedded, mai.
    Auguro a Cotroneo di non vincere mai alcun premio dell’establishment, ma mi sa, mi sa.
    Salve.
    F

  12. Estrapolo questa frase prima di finire di leggere pezzo e commenti: “Si può stroncare la Rowling, o l’ultimo romanzo di Marquez, o i romanzi di Günter Grass alla luce del suo passato recentemente emerso. Ma gli altri?”
    Ideologico, ideologico, ideologico. Poi magari mi ricredo :-S

  13. Vorrei fare un appello a tutti i giurati dei premi italiani più importanti: vi prego, premiate Roberto Cotroneo, fatelo contento, altrimenti c’è il rischio che continui a inondarci coi suoi romanzi, con i suoi saggi (?) e con i suoi fluviali articoli.

  14. a me è piaciuto molto: in un certo senso integra – migliorandolo – l’articolo di Baricco affermando che il solo apparentemente autolesionistico desiderio (semi)nascosto di stroncature non è altro che il disperato appello dello scrittore a riconoscersi ancora in un ‘privilegio’ di lettori. Cioè i critici. Cioè la critica, quella cattiva che è cattiva soltanto se paragonata al buonismo imperante. Alibi per la superficialità.

  15. Le stroncature hanno in sé qualcosa di malvagio che pone da subito chi le pratica in una condizione di inferiorità nei confronti dello stesso autore stroncato. Il motivo è il mancato rispetto dell’autore che si recensisce. Occorre sempre partire, a mio avviso, dal presupposto che un’opera è sempre scritta con onestà e dedizione dall’autore, e questo suo impegno, che è tutt’uno con l’opera realizzata, non è passibile di alcuna stroncatura. La stroncatura è cieca e fa un unico fascio tra l’impegno e l’onestà e il risultato dell’opera. Se si guarda solo a quest’ultimo, in realtà non si partecipa completaamente del lavoro dell’autore. Quindi, si può scrivere che un libro non ci è piaciuto, ma sempre avendo presente il rispetto che si deve al suo autore. Ridicolizzarlo e porlo alla berlina, mai.
    Bart

  16. Sorry, avevo postato erroneamente altrove.
    La stroncatura molte volte è un gesto di rispetto verso il LETTORE. Non dimentichiamoci che il critico in prima istanza si rivolge al lettore, e soprattutto a lui deve rendere conto. Inoltre la stroncatura può essere ispirata a un doveroso senso di VERITA’.

  17. Ed io ti ho risposto anche là:
    Il rispetto verso il lettore, lo si esercita anche non stroncando, ma dicendo semplicemente, e nel rispetto dell’autore, il perché l’opera non ci piace. Credo che sia il metodo migliore. Ai suoi tempi, Cotroneo esagerò pur di diventare famoso in quel campo.
    Bart

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