LA CIOTOLA DI SHIRLEY: OSSERVARE NEL TURBINE

Nell’immobilità possono esserci turbini, come ora. Non solo turbini lavorativi, e collettivi nonostante la distanza fisica (parlo del Salone del Libro Extra, che prende vita dopo due settimane di conversazioni, mail, telefonate del gruppo di lavoro, e prende vita in una “altra forma”, e chissà quali strade ci saranno dopo, ma intanto c’è questa). Turbini di pensieri, emozioni di ogni segno, anche stupore per aggressività inedite di persone che si ritenevano miti, e crolli, e rabbie, tutto inevitabile, visto il momento. Turbini, ma dovremmo imparare tutti a fissare nella memoria istanti che ci aiuteranno, sia che si scriva sia che si faccia altro. La stanza buia nell’appartamento di fronte che si illumina, deserta, a ore ricorrenti. La signora con la mascherina che passa nel vialetto cantando. Quel misto di paura e sollievo delle persone che incontri quando esci a comprare le sigarette. Ricordare, segnare.
Come scrisse Shirley Jackson in Paranoia. Tutto serve, tutto serve. Serviranno anche questi giorni.
“Non ho alcuna pazienza per chi pensa che si cominci a scrivere quando ci si siede alla scrivania e si prende in mano la penna e si finisca quando si rimette giù la penna; lo scrittore scrive sempre, vede tutto attraverso una sottile nebbiolina di parole, crea piccole, rapide descrizioni per ogni cosa che vede, osserva di continuo. Così come un pittore non può bere il suo caffè mattutino senza notare di che colore è, uno scrittore non può vedere un piccolo gesto strano senza applicarvi una descrizione verbale, e non dovrebbe mai lasciar passare un istante senza descriverlo.
Una sera stavo giocando a bridge con un musicista, un professore di chimica e un pittore quando, durante una mano particolarmente tesa, una grande ciotola di porcellana che tenevamo sopra il piano è improvvisamente andata in mille pezzi. Quando ci siamo calmati, abbiamo riscontrato quattro reazioni completamente diverse. Io, guardando tutti quei frammenti sparsi, mi sono accorta per la prima volta di come una ciotola rotta possa diventare una metafora definitiva. Il professore di chimica ha osservato che qualcuno aveva vuotato dentro la ciotola un posacenere con una sigaretta ancora accesa, e naturalmente il calore aveva spaccato la porcellana. Il pittore ha detto che quando la luce colpiva i frammenti il verde della ciotola diventava più intenso. Il musicista ha constatato che la ciotola, rompendosi, aveva emesso un sol diesis. Poi siamo tornati alla nostra mano di bridge.
Un giorno avrò bisogno di quella ciotola rotta, lo so. Conserverò il ricordo dei frammenti sparsi sul pianoforte, e un giorno, quando vorrò un’immagine mentale di totale distruzione, quella ciotola tornerà da me, in un modo o nell’altro. Supponiamo, per esempio, che mi capiti di descrivere una casa distrutta da un’esplosione; la modalità della distruzione sarebbe diversa, ovviamente, però potrei ricordare i frammenti di quella ciotola che giacevano lì inerti dopo essere stati per tanto tempo una cosa sola e intera; nessuno di loro avrebbe ritrovato il suo posto, e la compattezza che li aveva tenuti insieme non esisteva più.
Supponiamo che voglia descrivere l’effetto di uno spavento improvviso: quando la ciotola si è rotta avevo appena giocato il fante di picche, e sono rimasta a guardare la carta per tre o quattro secondi, sconcertata, prima di riprendere fiato. Supponiamo che un giorno voglia descrivere il dispiacere per la perdita di un oggetto amato e prezioso; la mia ciotola verde non era particolarmente preziosa, se no non avrei lasciato che la gente ci svuotasse dentro i posacenere, però ricordo come mi sono sentita quando ho spazzato via i frammenti e li ho buttati nell’immondizia, quando li ho visti completamente distrutti.
Certo, l’atto di ricordare è già di per sé una cosa strana. Non pensavo a quella ciotola verde da settimane, finché non ho cercato un’immagine vivida per spiegare come qualunque oggetto sia un potenziale paragrafo per uno scrittore. È da un po’ di tempo che combatto contro uno strano effetto della memoria; forse se lo descrivo posso dimostrare più chiaramente cosa intendo quando dico che niente è inutile e niente va mai perduto”.

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