LA COSA, L'AIDS, NOI

La cosa da un altro mondo era un racconto di John W. Campbell (Who Goes There?, 1938), trasposto al cinema da Christian Nyby nel 1951 e da John Carpenter nel 1982. La Cosa non si nomina, come tutto ciò che ci spaventa, e come ben sapeva Victor Hugo. Sì, perché I Miserabili venne attaccato da non pochi critici e colleghi. Per Lamartine era «libro pericolosissimo in due sensi: non solo perché spaventa le persone felici, ma perché suscita troppe speranze in quelle infelici». Hugo sa benissimo che parlare della miseria, la “cosa senza nome”, scandalizza i benpensanti, ma risponde a Lamartine scrivendo che ciò è necessario: ”Io illumino la notte”.
A volte la notte rimane oscura. La cosa (The Thing) di John Carpenter racconta di un gruppo di ricercatori di una base scientifica americana in Antartide, che si trovano a combattere contro una forma di vita aliena, precipitata non si sa come sulla terra, che ha la capacità di assumere le sembianze degli altri esseri (umani, ma anche animali) con cui viene a contatto, cambiando continuamente aspetto. Per gli uomini della base il problema è scoprire di quale corpo di volta in volta l’alieno si è impadronito, il che significa che non ci si può fidare di nessuno.
Era una metafora perfetta per gli anni dell’Aids. Gli anni in cui i medici (lo fece nel 1985 il dottor Jan-Olof Morfeldt in Svezia) invitavano a non fare l’amore. A non fidarsi della “nuova peste”, così veniva chiamata, finché non fosse arrivato un vaccino. Allora non si parlò di epidemia fino a quando non si ammalò Rock Hudson. Ci furono casi di cartelli affissi nei bagni pubblici con la scritta, crudele e terrorizzata, “Qui Rock Hudson non è mai entrato”. I casi accertati erano appena 47 nel 1980, 260 nel 1981, 989 nel 1982, 2.691 nel 1983 e 5.122 nel 1984. Il totale al 1985 era  di 12.067. Sarebbe andata peggio, come ognun sa. Ricordo una storia di allora. A Rajneeshpuram, la città fondata nell’ Oregon dal Bhagwan indiano, vennero aboliti i baci, mentre negli atti sessuali era quasi obbligatorio l’ uso di guanti chirurgici e di preservativi. “L’ Aids ucciderà gran parte della vita sul pianeta”, predisse un guru. Una volontaria decise di assistere un malato che nessuno voleva curare, lo ha preso tra le braccia lasciandolo piangere a dirotto. Quando l’ uomo si è ripreso, ha detto: “Nessuno mi aveva più toccato da tanto tempo”.
Ora, dobbiamo ricordare e pensare. L’Aids ha cambiato molto delle nostre consuetudini sessuali. Io non sono in grado di sapere quanto il coronavirus cambierà le nostre consuetudini sociali, e se e quando e come potremo abbracciarci, stringerci gomito a gomito a un concerto o in un vagone della metropolitana. Non lo so, ma ci penso e provo a capire quale sarà la via di uscita.
Nel frattempo, ho finalmente capito perché mia nonna non abbracciava volentieri gli altri, familiari esclusi. Era nata nel 1901, durante l’epidemia di Spagnola era una ragazza. Qualcosa rimane sempre. Come il pane avanzato che infilava nelle tasche della vestaglia o nelle maniche del golfino, a ricordo di tutta la fame patita in due guerre.

3 pensieri su “LA COSA, L'AIDS, NOI

  1. Qualcosa rimane sempre, verissimo. Soprattutto se non si trova il modo di gestire la paura e usarla anche. Il punto d’uscita, sia individuale che collettivo (molto più potente quello collettivo, senza dubbio), è per me prendere esempio dalla “volontaria che decise di assistere un malato che nessuno voleva curare”. Cominciare da qui e poi continuare, tenere presente che siamo già – in potenza – coloro che “nessuno vuole più abbracciare” – cos’altro dovrei pensare delle persone che pur portando le mascherine cambiano marciapiede più volte pur di non incrociare nessuno? – ma siamo anche chi può prendersi cura dell’altr*. Se non partiamo da qui siamo già ingabbiati dalla paura in corpo, mente, spirito, ku (o come diavolo lo si voglia chiamare)
    , lo ha preso tra le braccia lasciandolo piangere a dirotto. Quando l’ uomo si è ripreso, ha detto: “Nessuno mi aveva più toccato da tanto tempo”.

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