LA DECRESCITA E LE DONNE

Perdonate se torno sulla questione di genere all’interno della questione politica. Ci torno perché fin qui l’unica argomentazione che è stata portata dopo il voto è “ci sono tante donne e tanti giovani in Parlamento”. Molto bene, ma ancora una volta attendo di sapere se le politiche delle donne e dei giovani andranno a favorire chi si trova ad appartenere allo stesso genere sessuale e alla stessa fascia anagrafica.
Facciamo un esempio. Qualche giorno fa, sul blog del Fatto quotidiano, Maurizio Pallante (leader e fondatore del Movimento Decrescita Felice) e Andrea Bertaglio scrivono un duro post contro chi parla di decrescita senza conoscerla. Corretto, oltre che legittimo.
Altrettanto corretto è cercare di capire qual è l’idea di alcuni decrescenti sulle donne. Se andiamo a cercare negli archivi del Fatto, in data 24 luglio 2011 gli stessi autori firmano un intervento dove si inchiodano le donne stesse (naturalmente lodandole) a un’idea di differenza “per natura” che le vuole accudenti e non competitive come gli uomini (che è un vecchio leit motiv: ogni volta che una donna conquista una posizione apicale, non si discutono le sue decisioni – che possono essere buone o pessime, come detto altre volte – ma la misura in cui tradisce o asseconda la propria femminilità).  Vi basti l’incipit:
“È difficile non vedere la superiore sensibilità e delicatezza delle caratteristiche femminili, o negare che questo tipo di società, basata sulla competizione in ogni singolo aspetto della vita, sia generata da smanie di stampo tipicamente maschile. Lo conferma anche un concetto chiamato “maschilità di mercato”. In cosa consiste? Nel fatto che essere virili significa essere forti, avere successo, essere capaci, affidabili, dominanti: tutte caratteristiche di quegli avidi bottegai che, nel corso degli ultimi due secoli, hanno preso il sopravvento (diventando ai giorni nostri importanti politici e uomini d’affari) sia sugli aristocratici dallo stile e dai gusti femminei, sia su quegli artigiani che, soddisfatti del loro operato ma non bisognosi di accumulare ricchezze all’infinito, si accontentavano di fare le cose bene e con cura”.
Andiamo avanti. Ancora Pallante, nel saggio Meno è meglio, afferma:
“A far credere che l’estensione dei servizi sociali fosse un progresso e una conquista di civiltà hanno contribuito in misura determinante le rivendicazioni del movimento femminista sul diritto delle donne ad avere un’occupazione a parità di condizioni con gli uomini. Di per sé questa istanza è indiscutibile. In una società che abbia come fine la piena realizzazione di tutti gli esseri umani, senza distinzioni di genere, non dovrebbe essere nemmeno formulata (…) Ma nelle società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione di merci, gli esseri umani sono stati ridotti a mezzi per il raggiungimento di quel fine (…). In questo contesto, rivendicare alle donne il diritto d’inserirsi nel mercato del lavoro a parità di condizioni con gli uomini significa, quanto meno, pensare che questa finalizzazione dell’economia sia immodificabile (…). Il welfare state, liberandole dal lavoro di cura dei figli e degli anziani, le mette in condizione di dedicare tutto il loro tempo al lavoro salariato, per avere in cambio il reddito monetario necessario ad acquistare merci senza dipendere da nessuno. E’ questo il modo migliore d’impostare la legittima esigenza di parità di diritti tra uomini e donne? La parità si può conquistare soltanto allineandosi sui comportamenti competitivi maschili necessari alla crescita della produzione di merci? “
La risposta è, naturalmente, no:
“Per collocarsi a parità di diritti nel mondo del lavoro salariato, non è necessario che le donne aboliscano dalla propria vita il tempo della produzione di beni, è sufficiente che lo riducano per inserirvi parzialmente il tempo della produzione di merci, in modo da definire un contesto che consenta agli uomini di risalire dalla profondità del pozzo del fare finalizzato a fare sempre di più.”
Insomma, il part-time salva soprattutto gli uomini, perché è il tirarsi indietro delle donne che consente loro di risalire dal pozzo liberista.
D’accordo, è un’opinione isolata, forse, e forse nessun altro ha la stessa concezione e soprattutto gli stessi obiettivi di Pallante. Che, in un’intervista del dicembre 2010, dichiara:
“Secondo noi, poi, bisognerebbe abolire il tempo pieno. Questo è infatti funzionale al discorso della crescita: i genitori, infatti, devono lavorare dalla mattina alla sera. Pensa che quando ho fatto l’assessore a Rivoli dal ‘90 al ‘95 ho incontrato dei commercianti che chiedevano che l’asilo nido fosse aperto fino alle 19.30…

Ma che cavolo l’hai fatto a fare il figlio allora? La mattina appena sveglio lo prendi, lo imbacucchi e lo porti all’asilo. La sera, quando lo vai a prendere, sei distrutto fisicamente e se tuo figlio fa casino dai pure uno schiaffone perché sei esaurito. Ma che rapporto è questo? Alla fine tutto è funzionale al fatto che noi abbiamo bisogno di produttori e consumatori di merci”.
Allora, fermo restando che è vero, chi critica non conosce abbastanza la filosofia (quella italiana, almeno) della decrescita, non si può che attendere che su questi punti venga chiarita a molte donne e molti uomini che in queste affermazioni non si riconoscono, giusto?

66 pensieri su “LA DECRESCITA E LE DONNE

  1. Guarda, prendo come spunto l’ultima parte del commento di Giulia, che mi piace e mi vede completamente d’accordo:
    “E poi, se anche ci fosse una differenza nella distribuzione statistica dei vari tratti caratteriali, non sarebbe comunque giusto porre limitazioni a priori nelle aspirazioni, nelle ambizioni delle persone: perché ci sono sempre le code della gaussiana che vanno oltre la media più o meno tre sigma e hanno diritto a esistere, senza sentirsi additare come “quelli strani”. Una donna ha diritto di fare carriera aggressiva e un uomo di stare a casa per coccolare i figli (se personalmente hanno questa inclinazione, poco importa quanto possa essere minoritaria nel loro genere di appartenenza) senza doversene vergognare.”
    Una legislazione che tenga conto di tutto questo, cosa farebbe se non “esplicitare giuridicamente la struttura che deve avere il rapporto tra i generi e la vita familiare”?

  2. Sono d’accordo con te, Giulia.
    Pensa che lavoro a maglia, con i ferri, e sono un uomo. E nonostante venda ai negozi e ai mercatini, c’è ancora chi si stupisce perché considera la mia attività un’attività femminile.

  3. Tullia, sinceramente non vedo nelle dichiarazioni di Pallante quello che tu dici: nessuna caratterizzazione “innata” è immune da pericoli. Poi, c’è una differenza sostanziale fra proporre e imporre: laddove imporre significa, per me, screditare – anche violentemente – le scelte diverse dalle proprie.

  4. Tullia ma io quello che avevo da dire l’ho detto sopra. ce credo che trovi tutti confusi, non accetti logiche diverse dalla tua. come ti ho detto su allattamento e OMS tiè fai finta che io non sappia un cazzo, che te viene meglio, io delle idee ce l’ho ma semplicemtente sono ferma alla mia formazione quando me ne sono occupata, e ssulla base di quella esprimo i miei giudizi, te li riferii poi cose tue, sei grande, basta. Non sei d’accordo tuo diritto, ma se ti da fastidio allattare colla preoccupazione a 19 mesi, mica può essere un problema mio abbi pazienza. Che faccio butto al cesso pareri che stimo perchè te ci hai il problema? Per me fai gran bene ad avercelo, poi ti prego risolvitela da te come meglio credi.
    per il resto Non mi piace la teoria di genere che propone Pallante. Me deve piacere per forza? Non la condivido scientificamente e politicamente. Devo farlo ? Tu non senti questo modello e le sue proposte come prescrittive liberissima, per me invece lo sono. Non ti fa specie che la proposta di un modello non tenga conto di difficoltà lamentate pregresse dalle donne? A me fa specie. Ora io non ti voglio mica persuadere, su Pallante ho scritto abbondantemente a casa mia mesi fa, e sono intervenuta solo perche interpellata. ma insomma – che palle. Io chiudo qui.

  5. @Davide
    Io non mi stupisco affatto e semplicemente ti ammiro per la tua abilità, che io invece non ho. Quando alle elementari la maestra propose un lavoretto a punto croce per tutta la classe (con conseguente insurrezione di alcune mamme di miei compagni maschi, che temevano chissà quale trauma per i loro pargoli), generosamente il mio vicino di banco, con grandi doti manuali, portò a termine il mio lavoro oltre che il suo; io in cambio gli risolvevo i compiti di matematica. 🙂
    Adesso sono fresca di laurea in ingegneria elettronica, l’unica ragazza del mio corso, e quando lo scopre qualcuno si stupisce (probabilmente anche perché coltivo molte passioni letterarie, musicali, umanistiche in genere, non solo perché sono una ragazza).
    Lo stupore di primo acchito infastidisce, ti capisco; ma in fondo la gente ha diritto di stupirsi di quel che vuole, l’importante è che abbia sempre il massimo rispetto dell’altro e delle sue scelte.
    @Tullia
    Guarda che l’ultima cosa che io sostengo è che la legislazione debba “esplicitare giuridicamente la struttura che deve avere il rapporto tra i generi e la vita familiare”. Anzi!
    Io aborro l’idea di imporre una struttura al rapporto tra i generi, di incasellare le persone, di costringerle in un ruolo stereotipato solo perché sono di un sesso o dell’altro. Io vorrei che ciascuno avesse la libertà di essere se stesso e di esprimere senza forzature né costrizioni le proprie qualità, indipendentemente da tutto.
    Io credo invece che la legislazione debba garantire a chiunque – *indipendentemente dal suo genere* – la possibilità di perseguire le sue aspirazioni – *qualsiasi* esse siano (purché non criminali, naturalmente).

  6. Zauberei, qual è il problema? :)) Mi spiace che tu ti appalli, a me questi confronti invece piacciono. Perciò ne scrivo, sennò non lo farei. Non ho nessuna difficoltà ad accettare il disaccordo, semplicemente argomento le mie ragioni. Che significa che non accetto logiche diverse dalla mia? Dai su non arrabbiarti. Se tu ti appalli puoi non rispondere, penso non si offenda nessuno. Ripeto, la questione, almeno per quanto riguarda me, non tocca il piano personale.
    🙂

  7. Ho capito che ti piacciono, ma sei insistentissima sulle stesse identiche cose. A distanza di anni, in luoghi diversi, con lo stesso atteggiamento. Quando gli altri si incazzano probabilmente sono pessimi litigiosi pavidi e non amano il confronto. Ma magari alla quindicesima volta che si sentono muovere le stesse obbiezioni, è chiaro che non mi riferisco solo a questo scambio si rompono le balle. Due quiz sull’insistenza a tre post ogni uno, me li farei. E quando cara le questioni non riguardano il piano personale, non le si menzionano, il che come sopra riguarda questo scambio e i precedenti.

  8. Lo stupore non mi da noia, Giulia, è come viene definita l’attività che mi lascia perplesso. In genere, da quel che ho riscontrato, non la si definisce attività lavorativa, ma semplicemente attività femminile così come altre attività vengono definite attività maschili. In automatico.
    Credo che tu, vista la tua esperienza di studi, ne sappia qualcosa e di questo ne sono un po’ rammaricato perché anch’io provengo da studi tecnici. Nel mio caso sono stati studi aeronautici. Le donne erano, quindici anni fa, cinque su un campione di cento studenti. Cinque. Credevo che negli ultimi anni ci fosse stata un’apertura in questo senso, invece non è così a quanto sembra.
    Mi chiedo se si arriverà, un giorno, a considerare certe attività senza incorrere automaticamente in distinzioni di sesso.

  9. Zauberei, io non ragiono, lo ammetto, su queste questioni in modo scientifico e sistematico ma a tempo perso, e quando mi pongo un problema, se esso non viene risolto, continua a restare più o meno negli stessi termini. Per la verità a dirla tutta non mi sembra proprio che tu abbia risposto qui e altrove in modo puntuale a tutti i miei quesiti, né mi aspetto certo che tu lo faccia, ma sinceramente non capisco, perché strepiti? Se il discorso non ti interessa trattieniti dal commentare, anziché commentare per poi chiosare che però non te ne frega nulla e trattarmi come una stalker dialettica 😀 Su, su.

  10. Francamente non si capisce perché un confronto animato sul piano dei contenuti passa all’improvviso sul piano dell’attacco personale. Che palle lo dico io.

  11. @Davide
    Certo, intendevo appunto che lo stupore infastidisce in quanto motivato dal fatto che “l’attività non ti si addice in quanto femminile/maschile per definizione, mentre tu sei uomo/donna”.
    Non c’è stato un grande cambiamento; poi, anche in seno a ingegneria, dipende dal corso di laurea. A elettronica le ragazze sono davvero poche, non so perché. Ma ho un’amica che studia ingegneria aeronautica, ora in Francia, e lì sono di più.
    Io spero che un giorno si arrivi davvero a considerare qualunque attività senza incorrere in distinzioni di sorta. Ognuno deve fare la sua parte, scegliendo quel che gli piace senza curarsi degli stereotipi e rispettando le scelte altrui; direi che noi due, la nostra parte, l’abbiamo fatta.
    @Tullia
    Li ho già letti e spero bene di averli capiti. Ho solo tenuto a precisare che una legislazione che tenesse conto del mio ragionamento non espliciterebbe proprio nulla in merito a rapporto tra i generi e vita familiare, perché non prescriverebbe alcunché ad alcuno in funzione del suo sesso.
    Perché sentir classificare “il femminile come quella categoria che ha a che fare con la cura e il maschile con quella che ha a che fare col potere”, così come qualunque altra classificazione del genere (ad esempio, vedi la conversazione con Davide, dire che è femminile lavorare a maglia, è maschile progettare circuiti stampati), non mi piace affatto.
    Anzi, se fossi il legislatore imporrei congedo parentale obbligatorio per entrambi i genitori e per lo stesso numero di mesi, in modo che chi assume non avesse ragioni di sorta per discriminare una candidata da un candidato. E garantirei la presenza di strutture che supportino in ogni modo i genitori che lavorano, magari non solo per portare a casa la pagnotta, ma anche perché nel lavoro trovano una realizzazione di sé complementare alla maternità/paternità.
    Farei in modo, insomma, che l’accudire i figli non passasse più per caratteristica femminile, ma dovere congiunto di una coppia (così come la generazione dei figli è dipesa da una coppia, mica da una sola persona).

  12. ma che c’è di bello a sbattersi 10-12 ore al giorno a svolgere un lavoro alienante, che ti ruba tempo ed energia e che ti rende dipendente da servizi esterni, che, ovviamente, paghi (ergo devi lavorare di più)?
    Qualcuno lo sa che le aziende ora offrono anche aiuti tipo: ti porto a lavare la macchina, ti prendo i farmaci in farmacia, porto i vestiti in lavanderia etc etc? Questi servizi non sono aggratise e la conclusione è: devi spendere tutta la tua giornata qui, isolato, devi solo produrre.
    Le donne dovrebbero battersi per la propria autodeterminazione, per avere la possibilità di scegliersi da sé i propri progetti di vita, non per farsi espropriare della propria esistenza a vantaggio del business. Ridurre la questione dell’autodeterminazione “solo” ad un lavoro e uno stipendio significa depotenziare la portata rivoluzionaria del movimento delle donne. (Sputi sangue sotto il Marchionne di turno, con paga pari al tuo collega uomo quindi va tutto bene)

  13. @A.
    Non tutti i lavori sono alienanti. Non tutte le donne lavorano 10/12 ore al giorno.
    Ma se tutte avessero l’opportunità di mandare i figli al nido e poi alla materna e poi magari alle elementari col tempo pieno, forse avrebbero anche l’opportunità di SCEGLIERE, cosa che attualmente è negata alle più.

  14. Appunto. L’idea che solo il lavoro di cura non sia alienante è quanto meno pericolosa: ogni donna deve poter scegliere la propria strada, senza colpevolizzazioni, e con gli strumenti per farlo.

  15. Il lavoro (quello pagato…è lavoro anche quello domestico, solo che nessuno lo paga) fa assai spesso schifo, specialmente se si è donna e quindi più esposta alla precarietà, al finire a fare un lavoro inferiore alle proprie capacità, e persino al mobbing. Ma è l’unica cosa che al momento può dare un’indipendenza economica, che significa anche autonomia nelle proprie scelte. Non è una questione di come si impiega il proprio tempo, ma di avere i mezzi per scegliere per se’ e, se necessario, anche per i propri cari.
    Poi, ripeto, sono d’accordo che il lavoro, al momento (con la crisi che inasprisce i rapporti con i datori di lavoro e spesso anche con i propri colleghi e che rende tutto più insicuro) sia una fonte di stress, di frustrazione e di preoccupazioni. Ma non deve essere per forza così, le cose possono cambiare.

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