LA DONNARELLA E LO SCRITTORE

Donnetta, donnina, donnicciola, donnarella. Declinato al maschile: ometto, omino, omuncolo (non è la stessa cosa, però), omarello (neanche questo va bene: meglio ominicchio).
Lo confesso: l’articolo di Sebastiano Vassalli su, o per meglio dire contro, Elena Ferrante non mi è andato giù. Non tanto perché,  non primo e di certo non ultimo, si scaglia contro l’anonimato della scrittrice: questa è ormai argomentazione risaputa, e c’è un bel po’ di gente nel mondo letterario che si sta guadagnando o ricostruendo una fama scrivendo articoli indignati nei confronti del “fantasma”.
Quel che mi infastidisce sono  i toni usati: donnarella, personcina, tremebonda.
Non si vede perché una donnarella che ha scritto libri amatissimi (anche in America) dovrebbe tremare e non, invece,  alzare il mento e dire “embè?”, in caso – a cui non credo affatto – di disvelamento. Non si vede perché chi usa un eteronimo debba essere una donnarella. Consiglio a Vassalli di visitare questa pagina, dove troverà un bel po’ di gente tutt’altro che tremebonda.
Però il concetto è interessante. So bene che la storia degli insulti letterari è ricchissima e variegata, e non sempre esaltante. E so anche che un discorso “di genere” sul punto è rischioso, perché di certo salterà fuori qualcuno a protestare contro “le quote rose in letteratura” e, naturalmente (lo aspetto a pié fermo e non tremebonda) contro “il POLITICAMENTE CORRETTO”, scritto in maiuscolo, perché fa fine.
Però, se si ripensa alle qualifiche ricevute da George Sand (“vacca bretone” secondo Jules Renard, “sciocca, pesante, logorroica … ha la stessa profondità di giudizio e la medesima delicatezza nel sentire delle portinaie e delle mantenute”, secondo Baudelaire). Se ci si sofferma sull’anatema di Céline verso Françoise Sagan ((“Un fenomeno pubblicitario! Una servetta degenerata!”), un paio di dubbi diventano legittimi.
Quali? Quelli antichissimi, secondo i quali gli scrittori adorano le donne: ma soprattutto le donne che li leggono con fedeltà e passione, come la lettrice nel quadro  di Federico Faruffini. Oppure le donne che nei secoli hanno vagheggiato nei romanzi, facendo di Lotte e Emma  lo specchio di Narciso, un fantasma femminile creato dagli uomini affinché li insegua. Una trasfigurazione, certo: ma anche il più sublime dei modi per destinare la donna all’amore.
Ecco, il dubbio è che molti scrittori amino un po’ meno, anche se mai lo confesserebbero, percaritàmaschilistaiocometipermetti, le donne che scrivono, immaginando che la loro opera sia faccenda, appunto, da donnarelle. E di cosa scrivono le donnarelle tremebonde? Ma d’amore, ovviamente, per la gioia di altre donnarelle traditrici, quelle che non leggono loro.
Come mi è già capitato di scrivere, la cosa buffa è questa:  qualche anno fa un sondaggio inglese chiese a un campione di intervistati di cosa avrebbero fatto a meno più malvolentieri.
Gli uomini risposero che non avrebbero mai rinunciato alla donna. Le donne, che non avrebbero mai rinunciato al cioccolato.

19 pensieri su “LA DONNARELLA E LO SCRITTORE

  1. Tra tutte le stantie osservazioni del Vassalli (che si assommano a quelle di un certo establishment editoriale italiano, che – prese tutte insieme – restituiscono un ritratto assai fedele del provincialismo e del rancore generalizzato che serpeggiano tra gli intellettuali, che assai felicemente sembrano aver abdicato al loro ruolo di guida morale) ce n’è una che sinceramente fatico a interpretare, cioè la definizione di «parzialmente anonimo» rifilata all’editore. Come se l’anonimato dell’autrice, che peraltro anonima non è, avendo sempre rivendicato che Elena Ferrante è il suo nome, fosse una condizione patologica contagiosa. Per il poco che può contare vorrei rassicurare il Vassalli: l’editore, o per meglio dire gli editori, non sono affatto anonimi e possiedono tanto di volti, che non mi risulta abbiano mai nascosto a giornali e riviste.

  2. Credano lorsignori a quel che voglino. Lo si ritenga anche un artefatto della cinematografia pel diletto di bimbi e donnine. Per quel che concerne noi, fortissimamente affermiamo un pio, mero, meravigliuoso eppure incontestabile fatto storico.
    Un semplice “Me ne frego” sostituisce respiratori e vezzosi orpelli con cui le donnette arricchiscono il paese della sterlina.
    Da “Fascisti su marte”(scherzo..)

  3. Che stupida! Pensavo che si dovessero premiare i libri, i bei libri, non gli autori!
    Una volta scritto, il libro si emancipa dall’autore/autrice e vive di vita propria. Ho letto i libri di cui si parla, li ho apprezzati e non ho alcun bisogno di sapere chi e perchè li ha scritti.
    Un libro davvero valido è un organismo vivente. Basta a se stesso.

  4. L’articolo è inutilmente malevolo, nè si capisce perché Vassalli reputi semianonimo l’editore di e/o.
    Va pur detto che, in un articolo pubblicato subito dopo la proposta di Saviano a candidarla, la Ferrante fa un ragionamento direi supponente e quanto meno bizzarro: il suo libro dovrebbe essere una sorta di cartina di tornasole del premio. Che discutilibissimo è, a mio avviso, ma per molte altre ragioni.
    Copio uno stralcio, il resto è qui:http://www.repubblica.it/cultura/2015/02/24/news/elena_ferrante_accetto_la_candidatura_
    ” se invece l’Amica, secondo la prassi consueta, non entrerà nemmeno in cinquina, benissimo, si potrà dire definitivamente, senza ombra di dubbio, che lo Strega così com’è è irriformabile e che quindi va buttato per aria. In entrambi i casi l’uso del mio libro consisterà nel tenere in piedi per un altro anno un tavolo tarlato, in attesa di vedere se restaurarlo o buttarlo”

  5. Quel di cui certamente Elena Ferrante si fa cartina di tornasole (premio Strega) a parte, è dell’astio e malevolenza di certi colleghi, che mi pare qui raggiunga un acme di imbecillità difficilmente superabile.

  6. Io non credo affatto che Ferrante scriva da vent’anni dietro eteronimo per ragioni di marketing, ma anche se fosse, a maggior ragione non capisco quelli che alzano tanto polverone mediatico sull’argomento: con le loro polemiche e illazioni sono i primi che contribuiscono a rinfocolare la curiosità, a pompare l’hype e a fare pubblicità gratuita. Secondo la loro logica dovremmo pensare che sono d’accordo con lei per spartirsi la torta 🙂

  7. Succede in modo ricorrente anche nella pittura. Anche l’opera più inutile se eseguita da un uomo ha maggiore valore di quella di un’artista donna. La donna secondo alcuni deve fare l’uncinetto, una quadro a piccolo punto, i decori sulle tazze del cioccolato dei bimbi oppure sulle ovette pasquali. Una mentalità assai retrograda in primis smentita dalla storia della letteratura e in certi casi anche della pittura e della fotografia. Penso a Marina Abramovic e a Dorothea Lange…
    David Gilmour, come già saprai, ha dichiarato pubblicamente che all’Università di Toronto preferisce tenere lezioni sugli scrittori che ama…e guarda caso “tra questi non ci sono né donne né cinesi”. Io faccio un altro tipo di distinguo tra la scrittura maschile e quella femminile: è nella “sostanza”. Gli scrittori maschi hanno un’ottica del femminile ben diversa: non sono noi. Così penso a Henry Miller che delegava Anaïs Nin , maestra sensuale ed elegante…facendo la fortuna di entrambi. Quando invece, sull’argomento amoroso le donne scrivono secondo gli stereotipi maschili, escono fuori le cinquanta sfumature con incidente finale: un finale moralistico che ad un uomo non sarebbe venuto in mente. Per concludere, la lotta è feroce in ogni angolo dell’arte e putroppo, spesso, anche nella vita.

  8. Non so gianna, ritengo che un romanziere maschio possa creare personaggi femminili credibili anche se decisamente non è una donna, e altrettanto vale per le scrittrici coi personaggi maschili.
    Quanto all’argomento amoroso, potrei fare molti esempi di scrittori uomini che scrivono storie d’amore altrettanto belle e intense di quelle scritte da donne

  9. Certo che si… ma non volevo generalizzare. Spiegandomi male, non volevo dire che gli autori non sanno creare personaggi credibili dell’altro sesso. E’ “sentirlo” che a volte è difficile, soprattutto se si firma come donna essendo uomo oppure viceversa…siamo così diversi e le donne sono così complesse! Anche io, se dovessi scrivere come “Gianni”, dovrei fare una forzatura. Con la mia identità sarei più brava a raccontare il mio mondo intimo. Ma quello che è certo che la grande letteratura e una bella scrittura restano tali, anche se prodotte in anonimato. Anzi viste le diatribe sulla letteratura femminile, proporrei l’anonimato per tutti, almeno fino all’assegnazione dei premi letterari. Ciao, grazie.

  10. Imbarazzante, per uno Scrittore Vero, non certo una donnarella, riuscire a partorire un pezzo tanto mediocremente composto e vacuo come l’articolo di Vassalli.

  11. Giannina, hai perfettamente ragione e non fare caso a Paolo. Tanto, da anni, su qualsivoglia argomento, interverrà dicendo “sì però l’arte sì però eccetera”. E siccome mi sarei stufata (io e decine di altre donne che si trovano a ripetergli le stesse identiche cose tutte le volte), ti dico: ignoralo come d’ora in poi farò io 🙂 Hai detto benissimo, e concordo con te, e ti ringrazio di cuore per aver commentato.

  12. *Ma quello che è certo che la grande letteratura e una bella scrittura restano tali, anche se prodotte in anonimato
    plaudo a questo intervento. la letteratura, filtrata dal sentire umano, che può essere differente nel genere, ma sempre umano rimane, dovrebbe aspirare all’anonimato. Un buon verso di Boileau è un buon verso di Hugo, diceva Flaubert. Quando un verso è buono non è più di una scuola; meno che mai dovrebbe rimanere legato al genere di un autore: è una follia. Io non solo aspiro all’anonimato, cara Gianna, ma anche all’assenza di scuole e teorie e movimenti.

  13. certi termini non m’infastidiscono. semmai non mi piacciono certi atteggiamenti. ma il problema del fastidio resta in capo all’utilizzatore.
    quanto alle donne dicono a volte bugie dolci come il cioccolato 🙂
    buon giorno

  14. secondo il mio modesto parere le donne sono disposte a riconoscere meriti ad altre donne soltanto quando il loro successo diventa l’emblema di tutta la categoria – e scrivere e pubblicare un libro è ancora un traguardo ambito per una donna, mentre è “normale” e quasi fisiologico per un uomo – ma, credimi, i termini usati da Vassalli li ho sentiti proferire da una donna, da molte donne nei confronti di altre donne magari non famose ma con il “difetto” di essere per così dire “concorrenti”; quindi ricorrere a quegli epiteti quando non si hanno molte argomentazioni da esprimere è prerogativa di ambo i sessi; per quanto mi riguarda, susciterò ilarità ma per me fu molto più rivoluzionaria e innovativa, e moderna, la Alcott che pennellò la figura di Jo March che impara ad esprimere emozioni e sentimenti genuini con la scrittura piuttosto che l’autrice – mi si perdoni, non ne ricordo ora il nome – delle sfumature grigie.
    Auguri di Buona Pasqua

  15. non ho apprezzato molto i libri della Ferrante, a maggior ragione il commento di Vassalli m’è sembrato meschino, scomposto e molto labile (la parte sugli editori fantasma). Non c’è in quell’articolo nessun contenuto, solo fango interiore non controllato. Ho pensato che nessuno glielo ha fatto notare prima di pubblicarlo, non è circondato da buoni consiglieri. Mi ha fatto pena. Mi sembra che a volte pretendiamo dagli scrittori un rigore morale, auto controllo, limpidezza che non hanno (non tutti), spesso condividono le miserie dell’umanità anche se scrivono bene o sono bravi. Mi ha intristito.

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