Oggi pomeriggio alle 18.30 torno a Spazio Sette a Roma per un appuntamento gioioso: presentare Morgana-Il corpo della madre di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri. Sarò insieme ad Alessandro Giammei e Valeria Solarino. Ci sarà molto, molto amore.
Approfitto per una nota. In questo ciclo di Morgana c’è anche un capitolo, ed episodio, dedicato a Elena Ferrante, come è giusto che sia. E per una di quelle straordinarie coincidenze (che poi tali non sono), esattamente un 3 settembre di otto anni fa esplodeva il “caso” Elena Ferrante. Ricordate? Fu il momento in cui si apprendeva quale sarebbe la vera identità (e già sulle parole “vera” e “identità” molto ci sarebbe da discutere) di Elena Ferrante. Avvenne con quello che si suol definire “scoop” da parte di Claudio Gatti per il Sole24Ore e altre testate.
L’inchiesta venne condotta con gelido professionismo, come se portare alla luce l’identità di una scrittrice che ha più volte chiesto di non essere svelata, ma di voler continuare a celarsi dietro l’anonimato fosse equiparabile a sbugiardare l’evasione fiscale di Trump.
L’anonimato è una scelta di libertà, il desiderio di non essere giudicata se non per quello che si scrive e non per la visibilità, l’età, il corpo, la postura, le parentele.
I lettori di Elena Ferrante lo sanno. E in otto anni hanno continuato a saperlo: leggete Morgana-Il corpo della madre per capirlo. E, certo, non solo per questo.
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Per una serie di circostanze, in questi giorni malaticci ho pensato parecchio al sistema editoriale e a cosa si chiede a chi scrive. Intanto, come è ovvio, si chiede di vendere, e di vendere possibilmente subito, nel giro di due settimane. Qualora non ci si riesca, come ben sanno coloro che scrivono, non solo il libro torna in resa, ma il numero di copie vendute peserà sui libri successivi come il cuore dell’ingiusto nella psicostasia egizia, e le prenotazioni verranno ridotte ai minimi, innescando una spirale di condanna silenziosa da parte di (alcune) librerie e di (alcuni) editori. Come se fossero gli autori a dover vendere e non gli editori e i librai a contribuire alla vendita, visto che in fondo gli autori dovrebbero solo scrivere, ma facciamo finta che sia così.
La logica è comprensibile, trattandosi di un mercato: che sia anche una logica pagante è tutto da vedere, però. Anche perché per bilanciare quell’esiguità di vendite si chiederà dunque all’autore o all’autrice di spendersi in presentazioni, di essere presente il più possibile con il suo corpo e la sua eventualità abilità di performer. Che però dovrebbe essere un altro lavoro: l’intrattenitore o intrattenitrice, appunto, e non lo scrittore o la scrittrice.
Cosa voglio dire, infine? Niente che chi scrive non sappia già. Ovviamente resta la libertà di sottrarsi, di dire no, di fare spallucce e di continuare a scrivere quello che si ritiene giusto. Mi chiedo soltanto per quanto tempo questo sistema potrà sopravvivere e quanto, alla fine, dei corpi degli autori e delle autrici si farà a meno: perché lo spettacolo va bene, ma troppo spettacolo finisce con l’allontanare. Poi, al solito, io resto convinta che siano le reti a funzionare, che siano le connessioni fra piccole realtà, dove i numeri di copie vendute e la performance contano molto meno dei progetti comuni. Ma magari ho torto, anzi di sicuro.
Nel 1985 Pietro Citati lesse la classifica dei libri più venduti e scrisse che vi dominava “una purea di viscidi sentimenti, falso sublime, pensieri confusi”. Di qui, l’esortazione di Citati medesimo: italiani, non leggete più, fate fallire gli editori. Fra i suoi bersagli, Il nome della rosa di Umberto Eco, all’epoca ancora in classifica, nonostante la “assoluta assenza di ogni talento letterario”.
Non è la prima volta che si disprezzano i libri più venduti. Accade però da ultimo che si disprezzino le scrittrici, anche perché sono molto vendute, ma non solo.
Mi si rimprovera spesso perché segnalo quel che viene scritto in materia: lo trovo non solo legittimo, ma importante (esattamente come la rassegna stampa che Michela Murgia non ha mai smesso di fare e che è ancora visibile sul suo profilo Instagram). Buon ultimo, come ho scritto ieri su Facebook, l’articolo di Antonio Gurrado sul Foglio, che ancora una volta prende spunto dall’incoronazione de L’amica geniale di Elena Ferrante da parte del New York Times, faccenda che ha evidentemente provocato gastriti nella gran parte del mondo letterario italiano.
Lungo post dove appaiono Pietro Citati, Bernard Grasset, Paolo Mauri, Mariano Tomatis, oltre al signor Percy Selbit, che desiderava segare in due la leader delle suffragette.
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Forse la cosa più saggia è dare la parola agli altri, a quelli che hanno seguito la stessa strada. Dunque, decisamente un po’ stufa di sentir ripetere le parole “marketing”, “furbizia”, “conventicola letteraria” ancora a proposito di Elena Ferrante, vi…
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Donnetta, donnina, donnicciola, donnarella. Declinato al maschile: ometto, omino, omuncolo (non è la stessa cosa, però), omarello (neanche questo va bene: meglio ominicchio). Lo confesso: l’articolo di Sebastiano Vassalli su, o per meglio dire contro, Elena Ferrante non mi è…
Va così. Puoi vincere il premio Strega senza esserci fisicamente solo se sei morto (ai due casi citati da Raffaella De Santis nell’articolo qui sotto va aggiunto il Gattopardo, vincitore del premio dopo la scomparsa di Tomasi di Lampedusa). Se…