LA HAINE

Guardale ste pecore rimbecillite dal sistema, guarda quello con la sua aria da stronzo, tutto bellino col giubbotto di culo di capra, è la razza peggiore! li riconosci? Sono quelli che non muovono un passo sulle scale mobili che si lasciano trasportare dal sistema, sono quelli che votano Le Pen ma che non sono razzisti, sono quelli che vanno in sciopero quando gli si ferma l’ascensore, il peggio del peggio…
(La Haine, Mathieu Kassovitz)

Così, passo qualche tempo sulla bacheca di LM. LM è una signora graziosa, capelli rossi, occhiali, una bella famiglia, una casa col camino, amiche e amici con va a cene e feste. Esibisce alcune contraddizioni, come tutti: si indigna per i femminicidi ma posta una foto dove la signora Macron è rappresentata come una scimmia. Simpatizza per i cinquestelle, probabilmente, perché posta plausi a Di Maio e scherno verso “i Vip che tornano nel Pd”. Nel complesso, quel che mostra su Facebook è il ritratto di una persona tranquilla, molto fiera dei figli che chiama “guerrieri”, innamorata del marito e dei genitori.
E allora ti chiedi cosa mai è saltato nella testa di LM per andare a postare un commento atroce sulla morte dei due alpinisti sul Nanga Parbat, una cosa tipo non puoi permetterti di fare sport estremi se hai figli. Non è mica la sola, LM: se vi fate un giro scoprirete che moltissime persone vomitano odio su due morti, ripetendo che se si hanno figli non si deve rischiare la propria vita.
Ora, posto che ognuno di noi fa la sue scelte, e che quelle scelte dovrebbero rimanere personali, specie se si pagano con la propria vita, quello che mi impressiona è la facilità con cui anche persone miti si sentono in diritto (è mio DIRITTOOO!, strillano spesso) di annientare verbalmente le esistenze altrui. E’ una vecchia storia, un vecchio cruccio, e anche una vecchia responsabilità: perché se questa è una postura quasi automatica cui i social inducono (dico la mia perché ho una tastiera sotto le dita), è pur vero che determinate forze politiche, non solo in Italia, su questo che non è un diritto (non ho il diritto di giudicare quel che non conosco: infatti non ho il diritto di giudicare LM e non la giudico, espongo) hanno fatto e fanno leva.
Sono quasi certa che se qualcuno prendesse da parte LM, dal vivo però, e la invitasse a rileggere i suoi commenti, provocherebbe la sua costernazione. Perché il punto è che non ci si rende conto, in moltissimi casi si scrive come in trance, senza capire il significato esatto delle parole che si vanno a comporre. Perché nella vita off line nessuno al mondo, credo, andrebbe a dire davanti alla famiglia di un morto “guarda che se l’è cercata”, e LM, e altri come lei, non si rendono conto che quelle parole scritte su Facebook sono pubbliche: io le ho lette nello screenshot diffuso da un mio contatto, e come me possono leggerle persone che hanno amato quello che “se l’è cercata”.
Ma io non me la prendo con l’incoscienza di chi scrive: me la prendo con chi la sfrutta continuamente per i propri fini. E continuo a pensare che prima o poi dovranno renderne conto, di tutto questo odio così amorevolmente alimentato.

3 pensieri su “LA HAINE

  1. Provo tristezza, profonda. Un pugno allo stomaco ogni volta. Un senso di disagio per chi ha espresso i propri pensieri, quasi mi vergognassi per loro, quasi non volessi credere che persone con famiglie, vite, lavori, piccoli pensieri gentili verso un animale o un parente stretto, riescano a giudicare con tale violenza le vite altrui. Cerco di evitare queste letture ma la rete e l’informazione tutta se ne pasce, fingendo di volta in volta di scandalizzarsi, di non condividere, di condannare. Intanto la diffusione continua di questi pensieri vomitati con violenza non fa che accrescerne il numero. Ripeto, provo tristezza, profonda.

  2. L’odio è una merce facile da vendere, purtroppo, la protezione che il web ti da, ti permette di esporti senza prenderti la responsabilità di ciò che stai dicendo, è un gioco al massacro, nel quale si inserisce di tutto, anche chi lo fa scientemente perchè patologicamente vuole attenzione, sono più rari costoro, ma anche questo c’è. Certo è che se la cosa può considerarsi connaturata al mezzo usato, il fatto che ci siano persone pubbliche che hanno responsabilità anche di governo che usano un linguaggio forte e spingono su questo sentimento anche lì scientemente, per becere motivazioni di consenso, può legittimare anche comportamenti estremissimi e durissimi, non solo sul web, purtroppo.

  3. Come è stato detto tante volte, Facebook ci toglie il pudore di dosso e poi ci regala l’oblio o la manleva da qualsiasi responsabilità. E credo che quella signora, che peraltro è in un buona compagnia nell’aver inveito contro Daniele Nardi e Tom Ballard, non si sarebbe mai sognata di dire “alive” qualcosa del genere. A chi poi?
    Di tutta la terribile faccenda, peraltro non così infrequente nel mondo dell’alpinismo, mi ha sconvolto il “circo” social che si è mosso. Dai giornali che ovviamente hanno rimarcato ad ogni pie’ sospinto che avesse lasciato figlio e moglie l’uno, e l’altro fosse rimasto orfano da bambino perché la madre se n’era andata più o meno allo stesso modo. E poi tutti si sono sentiti in dovere di dire qualcosa nella piazza pubblica: Simone Moro, la compagna di Ballard, il gruppo di Nardi (ma quello ci poteva anche stare, perché erano loro a dare le notizie), Messner che intervistano tutte le volte che ci si trova in queste situazioni… Come diceva Loredana non voglio giudicare, ma mi chiedo: perché ci sentiamo ormai in dovere se non addirittura in bisogno di dover commentare e narrare verbis apertis su e di questioni così dannatamente tragiche e personali?
    Proprio in questi giorni, sto leggendo un meraviglioso libro sull’alpinismo. Lo scrisse il grandissimo Jerzy Kukuczka poco prima di morire a 8000 metri per un “banale” incidente. Nella prefazione, Messner dice che venne raggiunto in Sud America dalla notizia della morte del polacco “alcuni giorni dopo” e non come stavolta ora dopo ora prima addirittura che ne avessimo la certezza. E nessuno nell’89 ebbe la necessità di sentire Messner per farci raccontare cosa significasse questo lutto. Lo ha raccontato, sua sponte, solo molto più tardi.
    E allora mi viene sempre in mente lo spettro di Vermicino da cui non riusciamo a liberarci, e anzi in questi tempi strani, siamo noi stessi a ricercarlo.

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