L’uscita della nuova edizione italiana di Carrie continua a slittare, e non si capisce bene perché, ma è un peccato, visto che altrove la Carrie del cinquantenario è già stata pubblicata e festeggiata. Per conto mio, non posso che postare l’articolo che ho scritto, oltre un mese fa, per La Stampa, e speriamo bene.
Era una ragazzina con le mestruazioni. Anzi, era una ragazzina sotto la doccia che di mestruazioni non sapeva nulla, e vedendo il sangue scorrere per la prima volta lungo le cosce pensò di morire, e urlò e chiese aiuto, e per tutta risposta le sue compagne le gettarono in faccia gli assorbenti interni prendendoli dall’apposito contenitore, e gridarono “Tappati”.
Cinquant’anni fa, il 5 aprile 1974, Stephen King pubblicava il suo primo romanzo: anomalo, anche stilisticamente, rispetto ai molti altri che sarebbero seguiti. Con Carrie infranse parecchi tabù, incluso quello, ancora non del tutto superato, di iniziare una storia di bullismo e di paranormale (o quasi) con il sangue mestruale. Chi ha letto Carrie sa che è per intero un libro scarlatto, in effetti: perché più avanti nella storia un secchio di sangue di maiale verrà piazzato sulla sommità di un palco per inzaccherare la ragazza che è appena stata nominata reginetta della festa. Moriranno, per questo, tutti i partecipanti al ballo della scuola, o quasi.
Carrie nasce in un periodo di poche speranze per King: come racconterà in On writing, all’epoca insegnava lettere ad Hampden, per 6400 dollari l’anno. Sua moglie Tabitha lavorava in un Dunkin’ Donuts, vivevano in un maxi caravan ed erano senza telefono, perché il canone fisso mensile era troppo alto. King scriveva racconti e aveva già nel cassetto alcuni romanzi, quando, di colpo, affiorarono alcuni ricordi di giovinezza. Il lavoro come custode estivo al liceo di Brunswick, e la scoperta dei contenitori per assorbenti nel bagno delle ragazze. E prima. Un articolo su Life, secondo il quale alcune manifestazioni attribuite ai poltergeist erano in realtà fenomeni di telecinesi, ovvero la dote di spostare gli oggetti con la semplice forza del pensiero. Poteri che si evidenziavano nelle ragazze, in coincidenza con il menarca. E prima. Due compagne di scuola. Sondra, con “i capelli incollati alle guance brufolose in spessi riccioli”, che viveva in un caravan dove incombeva un Cristo crocifisso quasi a grandezza naturale, con il sangue che gli colava da sotto la corona di spine intorno al capo. E Dodo, che negli anni del liceo vestiva solo con una gonna nera lunga, gambaletti grigi e camicetta bianca smanicata. Quando la sostituì, indossandone una di color rosso, venne massacrata di insulti dalle compagne.
Carrie White, la ragazzina vessata in casa da una madre folle che la considera il frutto del demonio perché concepita durante un atto sessuale, e perseguitata a scuola, nasce così. Poteva rimanere un’idea, e la vita di King sarebbe stata diversa, se sua moglie non avesse ripescato il manoscritto dal cestino della spazzatura, facendo sì che il romanzo venisse terminato, e pubblicato, e infine letto da una platea di lettori sempre più ampia, che crescerà dopo il film che Brian De Palma ne trasse nel 1976.
Ma Carrie non è solo la storia di una vendetta. Lo scrive Margaret Atwood nella prefazione all’edizione del cinquantenario, per Vintage, ricordando come le figure femminili dotate di poteri quasi soprannaturali appaiono in letteratura nei momenti in cui la lotta per i diritti delle donne viene alla ribalta. She di H. Rider Haggard, Carrie, e, negli anni del #MeToo, Ragazze elettriche di Naomi Alderman.
Ma ne era consapevole lo stesso King: “Carrie parla di come le donne scoprono il loro potere, e di cosa temono gli uomini delle donne e della loro sessualità… questo per dire che, avendo scritto il libro nel 1973, solo tre anni dopo essermi laureato, ero ben consapevole di cosa implicava per me e per il mio sesso l’avvento del Women’s Liberation. Nelle sue implicazioni più adulte, il libro è un difficile ritrarsi dell’uomo di fronte a un futuro di parità sessuale. Per me, Carrie White è una triste teenager abusata, un esempio di quel tipo di persona il cui spirito è spesso infranto per sempre nell’arena di un qualsiasi liceo. Ma è anche una Donna con la maiuscola, e alla fine del libro si accorge per la prima volta dei suoi poteri per far crollare, come Sansone, il tempio su tutti i filistei”.
E questa è Carrie ancora oggi. Una ragazza fuori norma, goffa e timida e infelice, che scopre in sé un potere, e non intenderebbe neanche usarlo per colpire, quanto per rivendicare una vita più felice. Salvo tirarlo fuori con tutta la rabbia possibile nel momento in cui quella felicità le viene sottratta quasi per gioco, per lo scherzo crudele di una compagna di scuola che non ne accetta l’inserimento nei ranghi, perché non ne accetta la presenza. E’ un romanzo di rivolta, ed è anche un romanzo che restituisce chi siamo. Per dirla con King, è ancora una volta “la crepa nello specchio”, quella che continua ad aprire nei suoi romanzi, guardando e narrando come si vive in America: “fantasmi o vampiri o nazisti: stiamo parlando della stessa cosa, un’intrusione dello straordinario nell’ordinario. Come tutto questo influisce sui nostri caratteri e le nostre interazioni con gli altri e la società mi interessa molto più di vampiri e fantasmi”.