In metropolitana, oggi, ho contato tre mascherine, e mi sono detta: dai, c’è un po’ più di serenità. Anche se quella apparente serenità può voler dire anche un’altra cosa, ovvero che non siamo abituati (più) a reggere qualsiasi emozione per più di tre giorni. La generazione dei miei genitori aveva sopportato anni di guerra, quella dei miei nonni ben due guerre (e un’epidemia di spagnola). In qualsiasi testo che racconti un’emergenza, ci si sofferma su come si elabora quell’emergenza e si mettono in atto strategie per affrontarla. La sensazione è che siamo talmente abituati a passare da un’emergenza, vera o falsa che sia, dettata dai social che non riusciamo più a concepire un tempo lungo.
In metropolitana ho visto una ragazza che leggeva L’Agnese va a morire di Renata Viganò, e mi sono detta dai, si può resistere anche al marketing della situazione straordinaria (per chi me lo chiede: il mio romanzo verrà consegnato a un editore a situazione risolta, non prima), ed evitare di tuffarsi negli instant book come quello di Burioni, annunciato per il 10 marzo da Rizzoli.
In metropolitana una donna mi ha tossito in faccia, e la mia reazione (salto indietro, occhiataccia cattiva alla signora) mi ha dato da pensare. Poi, però, mi sono ricordata di Telmo Pievani e di quello che ha raccontato a Reggio Emilia giovedì scorso, e che era già contenuto in un suo articolo per Le Scienze del 2012.
Stralcio.
“Sembra la scena di un film, ma si realizza in millisecondi e si svolge tutta nel teatro anatomico della nostra testa. A uno statunitense di pelle chiara viene mostrata la fisionomia di un uomo di colore. Mentre la zona preposta al riconoscimento dei volti entra subito in azione, un’area cerebrale sottocorticale, l’amigdala, coinvolta nelle elaborazioni connesse a emozioni negative, si attiva come se stesse percependo una fonte di disgusto o di paura. Il sistema si sintonizza intuitivamente sulla difensiva. Quell’ “altro” sconosciuto, lì di fronte, non appartiene al “noi” di cui facciamo parte.
A questo punto succede qualcosa di interessante. In un baleno si attiva, in alcuni soggetti, un’area della corteccia cerebrale che registra un conflitto. Qualcosa cerca di neutralizzare la reazione emotiva iniziale, negativa. Lo scontro è gestito dalla corteccia prefrontale dorsolaterale, che se ben educata può avere il sopravvento, riportando il cervello alla ragione, cioè inducendo il soggetto ad avere giudizi e atteggiamenti egualitari e non razzisti, nonostante il senso iniziale di minaccia. È questo il dramma sinaptico registrato da Jennifer T. Kubota, Mahzarin R. Banaji ed Elizabeth A. Phelps, ricercatori di Harvard e della New York University, in uno studio pubblicato su Nature, Neuroscience: The Neuroscience of Race.
È una di quelle scoperte capaci di far ribollire le acque filosofiche. Il bene (la corteccia) e il male (l’amigdala) si scontrano nella testa, anche se un circuito neurale non sa che cosa siano queste categorie morali, che però indubbiamente sono prodotte dal cervello. Dinanzi al volto estraneo interagiscono strutture biologiche più antiche, che ci appaiono “primordiali”, anche se forse sono proprio quelle che hanno garantito la nostra sopravvivenza, e strutture che ci piace definire “superiori” o più avanzate (termini scivolosi). In realtà le seconde sono tratti recenti che regolano le emozioni e risentono di più dell’educazione e della consuetudine al ragionamento.
(…)
Siamo insomma agenti capaci di valutazioni razionali, ma le reazioni istintuali che ci hanno abituato a distinguere “noi” dagli “altri” sono sempre in agguato e condizionano le nostre preferenze implicite (…). (Tuttavia,) anche se le scorciatoie xenofobe esercitano ancora un certo fascino sulle regioni cerebrali più profonde (come sanno bene i populisti), gli altri attori della mente hanno efficaci antidoti per controllarle e, sia pure con qualche fatica, per sconfiggerle”.
Vale per molte altre situazioni, questa inclusa. E, come detto nei post precedenti, è solo il noi a garantirci una possibilità. Peraltro, se posso, il noi è legato alla cultura più che alla natura (ancora Pievani, se non ricordo male, parlava del paradosso dell’evoluzione, per cui noi umani dovremmo essere egoisti per sopravvivere ma siamo comunque altruisti, quasi sempre almeno). E non so quanto l’interdizione dei luoghi di aggregazione culturale, ma non dei centri commerciali (è quanto dice l’ordinanza di Ceriscioli, che potete leggere qui) sia una gran trovata. Ma ci siamo abituati, eh, per quanto riguarda le Marche che, come dice il mio amico Mario Di Vito, ti sorprendono sempre.