LA SCIALUPPA DI ISMAELE: SUL SALONE, SU FAHRENHEIT

Che ci piaccia o no, i miti persistono, fuori e dentro di noi, perché è solo attraverso le narrazioni che l’umanità racconta se stessa e prende coscienza della propria esperienza storica.
Quello che allora ci serve è imparare a mettere in crisi i miti con altri miti, a intervenire nella trama, rompendone l’apparente coerenza, provocando cortocircuiti di senso. Bisogna ricomporre i miti affinché il nostro fare vada a buon fine: scoprire una via alternativa da Camelot a Damasco, e da Damasco a qualunque altro luogo.
Forse è la via di Ismaele. Non più che un sentiero, o una linea di orme che si perde nel deserto, dove il primogenito di Abramo venne abbandonato al proprio destino insieme a sua madre Agar. E’ la via attraverso la Terra Desolata, o l’oceano del tempo presente, se si preferisce. Possiamo percorrerla aggrappati a una bara galleggiante, proprio come l’altro Ismaele, il protagonista di Moby Dick, nella scena finale del romanzo. Quella cassa da morto si trasforma in scialuppa, con la quale diventa possibile tracciare nuove rotte e navigare attraverso l’arcipelago delle mille isole e oasi che ancora alludono a un’altra possibilità del mondo. E’ questo il viaggio, è questa l’impresa, che oggi abbiamo bisogno di raccontare.
(Wu Ming 4, L’eroe imperfetto)

Ripensavo a queste parole, ieri, sul treno che mi riportava a Roma dopo il Salone del Libro di Torino. Semplicemente, perché pensavo all’idea di eroe, o di leader, o di capo, che per molto tempo ci siamo portati addosso, e che ancora ci portiamo. E quanto quell’idea porti in sé il rischio dell’orgoglio, lo stesso che portò Byrhtnoth  a sacrificare i suoi soldati pur di salvare il proprio onore (avviene nella battaglia di Maldon, e Tolkien ne parlò in modo illuminante).
Ma come cambiano le cose quando il capo, il leader, l’eroe volutamente imperfetto, crea invece un gruppo, una rete, una comunità di affini, piccola o grande che sia? Moltissimo. Lo si è visto al Salone, che grazie a Nicola Lagioia e al gruppo che ha saputo creare ha battuto ogni record di ingressi nell’edizione più rischiosa della sua storia, dopo quasi due anni di pandemia: e, numeri a parte, ha restituito a chi legge e chi scrive la felicità di incontrarsi. Ecco, essere gruppo. E’ la cosa più difficile e più bella da porre in atto. Lo vedo anche nell’altro mio gruppo, quello di Fahrenheit, dove basta uno sguardo per capirci al volo, con Susanna Tartaro e Michele De Mieri, e anche gli imprevisti scivolano via perché insieme si pensa a un obiettivo, e si fa ognuno la sua parte per raggiungerlo.
E’ poco, è tanto? Tantissimo, secondo me. Ben ritrovati, che sia un autunno gentile e sorridente, per una volta.

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