LA STANZA DI MATILDE

Matilde trova che la sua stanza sia troppo disordinata. Ci vorrebbe, dice, una bacchetta magica, o una scopa stregata. Stregata? Ma certo, deve pur avere da qualche parte un manuale per aspiranti streghe. Detto fatto, mette insieme rametti, li lega con un filo di rame apparso da chissà dove e pulisce la stanza, per la gioia della mamma. Marco, invece, è felice per il nuovo acquisto di papà: un computer “con lo schermo piatto, le casse e la stampante”. Peccato che le istruzioni siano in inglese e papà non le capisca: per fortuna c’è l’amico Gianni che effettua i dovuti collegamenti, in modo che padre e figlio possano godersi la giornata con un bel videogioco.
E come passa la domenica la lieta famigliola? Detto, fatto:
“La domenica per me è un giorno speciale, perché ho tanto tempo per stare con la mia famiglia. Oggi c’è la nebbia, è tutto grigio, non si vede niente. Chissà che freddo fa, là fuori. Io, invece, sono a casa al calduccio, insieme a mamma, papà e Margherita. Che bello! Sto guardando i miei cartoni preferiti insieme a papà. Margherita è sulla poltrona, legge un giornalino per ragazze e ogni tanto dà una sbirciatina alla tele. La mamma, invece, sta preparando una cioccolata calda. E’ bello stare tutti insieme…mi fa sentire felice!”
Certo, ogni tanto ci sono contrattempi in arrivo. Anna, per esempio, è triste perchè non trova il suo pastello nuovo. Per fortuna Marco lo ritrova.  Anna è decisamente svanita: la commessa le ha detto tante di quelle cose che non sa più in quale reparto siano i libri. Marco, fortunatamente, è “stato molto attento” e lo sa. Anche la mamma è svanita: ha dimenticato di comprare le mele per la torta e ha dovuto usare le pere. Ma marito e figlio le hanno fatto tanti complimenti ed è stata contenta lo stesso.
Ah, e i personaggi delle fiabe? Ecco la formula che tutto riassume:
“C’è sempre un principe/su un bianco destriero/che corre a salvare/il suo amico prigioniero./C’è sempre una strega/brutta e malvagia/con i capelli simili a serpi/e occhi rossi come di bragia”.
Tutto questo avviene in “Nel giardino- leggo“, di Tiziana Caprini, Laura Cordini, Carla Marenzi, editore Giunti, libro che “utilizza e potenzia il bagaglio di saperi portati dai bambini a scuola: capire e sperimentare tramite i sensi, l’immaginazione, la capacità di abbandonarsi al piacere del racconto e del gioco. Il corso è caratterizzato da un aspetto grafico accattivante, testi svelti ed efficaci per sviluppare gli apprendimenti dell’area linguistico-espressiva, logico-matematica e antropologica.”
Queste le parole dell’editore. Per usare le parole di Chiara, madre di una bambina che frequenta la seconda elementare:  In tutte le storie in cui si parla della famiglia c’è una mamma che fa biscotti e cioccolato caldo e torte, le bambine sono confuse e spaventate e puliscono con la magia le loro stanze! Le bambine sono sempre in minoranza, sono quelle che scoprono i fiori mentre gli uomini scoprono cimeli di famiglia fantastici, che parlano dei fratellini e se raccontano una fiaba parlano di principi e principesse, mentre  i maschi parlano di draghi e robot”.
Qualsiasi discorso sul 25 novembre, qualsiasi manifestazione, rivendicazione, riflessione sui ruoli, non può che partire da qui. Finché non si agisce sui testi scolastici, su chi li scrive, propone, adotta, un lavoro già lungo diventerà impossibile. Buona giornata, commentarium.

10 pensieri su “LA STANZA DI MATILDE

  1. Io credo che sia semplice pigrizia, più o meno fraudolenta: prendere storie vecchie, svecchiarle appena appena con cose luccicose e aggeggi moderni (un trova e sostituisci), e rivenderle per storie nuove e moderne e piene di brio.
    Non è neanche che hanno idee cattive, è che non hanno idee, devono produrre, e tanto, e allora, come i meravigliosi autori della serie Boris, premono continuamente F4, “basito”.
    Quello che intendo è: sarebbe sufficiente che cambiassero i tasti veloci, che F4 non fosse più basito ma qualche altro aggettivo? Basterebbe fare trova e sostituisci di bambole, specchi, spazzole, trucchi, pentole, per sostituirle pedissequamente con cose meno stereotipate? Magari mi sbaglio, ma secondo me non sarebbe necessariamente un miglioramento.
    Produrre narrazioni nuove non può che essere faticoso, e richiede fantasia vera.

  2. Dei 550 milioni di lavoratori poveri del mondo il 60% sono donne. Secondo me non si può anche, insieme al fattore educativo e culturale ovviamente, partire da questo. La violenza c’è perché ci sono condizioni storiche che la determinano, condizioni che sono realissime sulla pelle, anche quando non si arriva alle botte.
    Porre la questione in termini morali (la violenza è una brutta cosa, noi diciamo no) significa astrarla, allontanarla dagli esseri umani e dalla loro pelle. Anche circoscriverla, isolarla in una giornata ha questo effetto. Si prende quello che accade concretamente alle persone, lo si trasforma in un concetto astratto, si delineano dei confini all’interno dei quali quel concetto viene indicato al pubblico sdegno. E tutto finisce lì. Per questo è importante narrare la violenza, alla faccia di tutti quelli che dicono che in questo modo se ne fa feticismo. Se l’unica reazione che si suscita è quella allora vuol dire che non c’è speranza.
    Quando una cosa riguarda tutti – NESSUN@ esclus@ – si preferisce non sapere. Invece bisogna sapere, bisogna prendere degli schiaffi (metaforici), bisogna che qualcun* lo butti giù quel muro ipocrita, con maleducazione, con violenza, una violenza che non sarà mai tanta quanta quella ricevuta. E bisogna dire che con le campagne di sensibilizzazione ci si può anche pulire il sederino se nessun datore di lavoro ti assume dopo i 26 anni, se vieni licenziata quando per disgrazia rimani incinta, se comunque in ogni caso guadagni meno del tuo compagno/marito e quindi visto che gli asili nido non ci sono tanto vale che te ne stai a casa ad accudire la prole, la casa, i parenti prossimi e lontani, se poi con quella miseria che guadagni bisogna pure pagare una baby sitter. Se quando non lavori – perché sei disoccupata o in pensione – ti vengono accollati tutti gli oneri di cura della famiglia, in modo che tu non possa rimetterti a studiare, cercare contatti, trasferirti o anche solo pensare.
    Per esempio, la prima volta che ho rischiato di prendere le botte da un uomo è stato al primo anno di università. Abitavo con altri studenti, eravamo tutti al primo anno, tutti appena usciti dal nido domestico. Un coinquilino alzò la mano per darmi uno schiaffo perché non avevo lavato i piatti. Non riusciva a comprendere che un essere di sesso femminile potesse non prendersi cura di lui e della casa come evidentemente avevano fatto tutte le donne con cui aveva avuto a che fare fino ad allora. Io scappai e da allora non rimasi mai sola in casa con lui fino a quando, per fortuna poco dopo, si trovò un altro posto dove stare. Non si trattava certo di un vecchio ubriacone incallito, ma di un giovane universitario, lettore “forte” di quelli che piacciono a tante case editrici (divorava i libri nella maniera più idiota che avessi mai visto), di buona famiglia, dalla carriera scolastica brillante.

  3. Avete mai notato le reazioni delle persone quando di fronte a una donna incinta chiedono il sesso del nascituro?
    “Maschio” reazione: ah che bello! Un diavoletto per casa! Quante te ne combinerà…
    “Femmina” reazione: ti divertirai a comprarle tanti vestitini! E poi le femmine si sa, sono più affettuose…
    —-
    Non son reazioni di mille anni fa, ma di oggi. Sempre. In qualunque contesto sociale. Da parte di donne (aimè) di qualsiasi età.

  4. Forse bisognerebbe istituire una giornata contro la violenza degli stereotipi. Bisognerebbe pubblicare una sorta di enciclopedia degli stereotipi dove vengano elencati tutti, mettendo in evidenza tutti i danni che producono, e poi distribuirla nelle scuole.
    Ci passano davanti agli occhi ogni momento, sembrano innocui, ma in realtà lasciano la loro traccia venefica in molti di noi, creano pregiudizi e barriere, mala educazione e distorcono la realtà, rinchiudendola in false immagini.
    Sì, è proprio dall’abbattimento degli stereotipi, che bisogna iniziare.

  5. Forse, se qualche insegnante cominciasse a far notare queste cose dicendo che, ahimé, le dispiace non poter adottare il libro… voglio dire, i libri li scelgono gli insegnanti e gli insegnanti sono quasi sempre femmina, giusto? A u certo punto agli editori toccherebbe adattarsi. Perché le insegnantesse non ci pensano?
    (no, io mi tiro fuori: quest’anno l’antologia l’ho proprio saltata, con la scusa che si sforava il tetto previsto dal ministero, Cose da leggere non ce ne mancano comunque)

  6. Mi rivolgo a Chiara, che ha segnalato gli stereotipi di questo testo scolastico: intanto ti capisco (mio figlio è in seconda come la tua e anche nel suoi libro di lettura -Il Tempo dei Draghi, ed. Minerva- abbondano perle anlaoghe, che ho segnalato a inizio anno a Loredana). Vorrei chiederti, hai provato per caso a fare notare la cosa all’insegnante di italiano, o ai genitori dei compagni di tua figlia, proprio indicando loro questi brani? Come hanno reagito?
    Perché già che il libro è stato adottaro, sarebbe bello che gli insegnanti usassero questi stereotipi per farne una lettura critica in classe, per far notare quanto siano “sbagliate” queste storie.
    Se ti va teniamoci in contatto per confrontare le nstre esperienze!

  7. @ giorgian, “Io credo che sia semplice pigrizia, più o meno fraudolenta: prendere storie vecchie, svecchiarle appena appena con cose luccicose e aggeggi moderni (un trova e sostituisci), e rivenderle per storie nuove e moderne e piene di brio.”
    Anche io ho proprio la stessa identica impressione. Alla mancanza di creatività aggiungerei però anche la mancanza di consapevolezza, che trovo particolarmente grave in chi si occupa di testi per le scuole.

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