LADRI E PROFETI DI FUTURO: SULLE GIOVANI PERSONE

Torno sulla questione anagrafe: non solo perché riguarda me e gli altri figli e figlie del boom, ma perché mi sembra che ci sia un aspetto tuttora trascurato nell’ancorarsi all’anagrafe medesima. L’idea comune è che chi supera una determinata età sia ancorato a un altro tempo, quello delle osterie di fuori porta di Guccini, magari, e che sia dunque arretrato, conservatore, irreversibilmente analogico, quindi non in grado di capire quello che accade nel mondo dei giovani.
In parte è vero, in parte no. Dipende da quanti di quei giovani frequenta, o ha vicino, e dipende soprattutto da quanta curiosità (uso ancora una volta la parola che spiace ad alcuni dottissimi) mantiene. Questo non significa che la persona che è nata analogica apprezzi tutto del mondo dei suoi figli o allievi: se occorre un esempio in prima persona, so di non riuscire a godere della trap, ma mi interessa il mondo della trap. E credo che sia necessario, se si vuole mantenere una presa sul mondo, provare a capirlo, fermo restando che nella propria cameretta si continua ad ascoltare La foresta incantata di Geminiani, o i Creedence (che peraltro, spesso, ascoltano anche i figli e gli allievi: i Creedence, intendo).
La cosa più grave, però, è un’altra.
Circola, da ultimo, questa idea cannibale su speranze, desideri, gusti, delle giovani persone: piace ai giovani dunque è vincente dunque ce ne appropriamo, scendiamo su TikTok e li conquistiamo. Quel che in genere avviene è che è talmente difficile questa auspicata appropriazione culturale che una volta divenuta mainstream una piattaforma, i presunti conquistandi scivolano via altrove. Capire è diverso da appropriarsi, ma questo è difficile da far passare.
C’è inoltre una strana e invincibile contraddizione in questo atteggiamento: da una parte si vuole il o la giovane da esibire, salvo poi sbarazzarsene quando i trenta diventano quasi quaranta, e pazienza per tutta l’esperienza fatta e le competenze affinate, largo al o alla prossima (ma quando si parlerà di questa storia? Perché è il frutto più avvelenato del giovanilismo di facciata, quello che espelle le persone che da giovani diventano adulte, e nessuno ne discute, mi pare). Dall’altra non si perde occasione per sostenere che alcune delle cose che amano sono tossiche.
I videogiochi, per dire. Ora, fa anche un po’ ridere l’associazione tra giovani e videogames, visto che sono trent’anni almeno che al primo episodio di bullismo si dà la colpa a Final Fantasy (giuro: è successo), e ancora un anno fa era possibile leggere  frasi come “bisogna strappare i bambini e ragazzi ai videogiochi e a Internet” (lettera di un genitore ad Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera) che mi fanno sentire magicamente rituffata negli anni Novanta, e mi aspetto che in televisione ci sia Twin Peaks, che si dibatta attorno a quella sorpresona che fu Pulp Fiction e che i rollerblade siano la moda del momento. Quel che mi stupisce, insomma, è che trent’anni dopo si pensi ancora che le narrazioni esistano solo nei libri, e che le giovani persone sono peggiori di noi perché leggono meno (che è faccenda tutta da dimostrare, peraltro). Quel che mi stupisce è che questa attenzione di facciata rischia di essere peggiore del disinteresse, e di esaltare il o la giovane purché instagrammabile, per dire, tralasciando i coetanei che magari hanno più cose da dire.
Certo che è complicato, e certo che è difficile: ma la sacrosanta, benedetta istanza di dare opportunità alle giovani persone, possibilmente supportandole davvero e non facendosi belli con la loro freschezza per continuare a esercitare un potere su di loro, fin qui rischia di rimanere una facciata. Ed è ingiusto.

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