LE RAGAZZE, I RAGAZZI E GLI ARCHITETTI DELL'INFORMAZIONE

So bene che l’argomento del giorno è la rappresentanza, ma su questo faccio al momento un passo indietro e mi concentro sulla rappresentazione. Non o non solo delle donne, in questo caso (anche se, guardando le fotografie delle deputate vestite di bianco, o con sciarpa bianca, per chiedere la parità di genere nella legge elettorale,  mi sono ritrovata catapultata nei miei vent’anni, in un’aula della Sapienza piena di sole e di polvere, con Ida Magli che spiegava, pazientemente, che i simboli non si possono ignorare neppure nella più determinante delle battaglie politiche e sociali, perché i simboli ti inchiodano, e quel bianco-purezza mi ha richiamato anche la vecchia immagine della campagna contro la violenza sulle donne, con la rosa candida che si tinge di nero se immersa nel bicchiere sbagliato, e per associazione ancora il Rosa Mistica della Madonna, e così via).
Penso alla rappresentazione delle ragazze e dei ragazzi, semmai: come è forse noto, da quattro giorni si fa un gran parlare degli articoli di Beatrice Borromeo per Il fatto quotidiano, fin qui due puntate dove una ragazza e un ragazzo raccontano le proprie coetanee, ossessionate dal sesso e ansiose di perdere lo status di rosa mistica. Le reazioni sono state numerose e praticamente univoche: basta con il racconto dell’adolescenza privo di rispetto e approfondimento, basta con la narrazione delle ragazze come ciniche, indifferenti all’emotività, votate alla mala educación. Ne hanno parlato, fra le altre e gli altri, l’ottima Margherita Ferrari su Softrevolutionzine, Lorella Zanardo, Zauberei, Eretica, Nadia Somma, Un altro genere di comunicazione, La filosofia maschia.
Tutta questa cagnara per un’inchiesta, diranno i miei piccoli lettori. In effetti il punto non è tanto l’inchiesta nè l’autrice della medesima nè i toni utilizzati. E’ una generale tendenza, che sembra rafforzarsi, nella rappresentazione delle giovanissime donne (e dei giovani uomini) come generazione perduta, zoccole le ragazzine, bulli e alcolisti i ragazzini. La fascinazione giornalistica e televisiva e della società dello spettacolo tutta verso il mondo degenerante (a loro modo di vedere) ha avuto il suo picco nello scandalo delle “baby squillo“. E non sembra volersi fermare. Mi chiedo perché.
Sette anni fa, scrivendo “Ancora dalla parte delle bambine”, riflettevo sulla crescente propensione alla semplificazione nella rappresentazione: invece di cercare i contrasti, gli approfondimenti, i chiaroscuri, le cause, i contesti, tutto quello che comporterebbero le parole “analisi” e “inchiesta”, insomma, si ripropone, ogni volta ancora più smussata, la stessa immagine. Se tre mesi fa facevano notizia le “baby squillo”, ora si passa al “sono tutte puttane”. Se l’alcolismo giovanile ha destato curiosità, si rafforza il concetto: bulli, ubriachi, drogati.
Semplificare, banalizzare, appianare, rendere digeribile.
Per paradosso, mi è balzato incontro un altro ricordo di anni lontani. Kyoko Date, il primo Aidoru, o idol virtuale. Venne creata nel 1996, aveva sedici anni ed era, naturalmente, bellissima: aveva persino una storia familiare, degli hobby (pattinare sul ghiaccio, leggere manga) e dei ricordi. Come i replicanti di Blade Runner. Incise un disco, condusse un programma, recitò in alcuni spot pubblicitari, venne molto amata: ma non esisteva.
Poco prima che Kyoko Date vedesse la luce, lo scrittore William Gibson aveva raccontato la storia d’amore fra un essere umano e un’Aidoru nel romanzo omonimo. Ma la sua Aidoru era diversa: era, scrisse Gibson, pura “architettura dei desideri”, summa di conoscenza perfetta più che sex simbol. All’epoca – il 1997 – ebbi uno scambio di mail con lui. Che mi raccontò di essere stato profondamente deluso da Kyoko: “Mia moglie mi ha fatto notare che le proporzioni fra le sue gambe e il suo busto sono idealizzate al limite dell’ impossibile. Ha ragione: è come se Kyoko fosse non soltanto una creazione esclusiva degli uomini, ma di uomini che conoscono molto male le donne. E’ stata costruita pensando a quel tipo femminile che in America chiamano bubblegum. E’ feticismo del banale”. Eppure, già allora, Gibson aveva capito che le potenzialità che avevano portato alla nascita di Kyoko schiudevano prospettive impensabili fino a quel momento: “Sa qual è l’ aspetto più interessante di tutto questo? E’ che le tecnologie relative al personal computer, al Web e alla Realtà Virtuale riescono ad esternare i sogni dell’ individuale. E dunque sono portatrici di una nuova, radicale potenzialità per la democratizzazione del ruolo dell’ artista. Voglio dire che offrono a tutti noi non soltanto i mezzi di produzione (in senso marxista), ma anche i mezzi di realizzazione artistica. Ogni immagine, letteralmente, ha bisogno soltanto di un certo numero di clic del mouse per esistere”.
Gli architetti dei desideri maschili, dunque, utilizzarono allora  quel che avevano a disposizione nel modo più spiccio possibile: hanno dato corpo (virtuale) a sogni piccoli. Come bere sciroppo alla fragola in una coppa di cristallo tempestata di diamanti, avrebbe detto l’Alex di A Clockwork Orange.
Gli architetti dell’informazione, inconsapevoli e smemorati, oggi stanno facendo la stessa cosa. E non è solo una questione di etica, bensì di trasmissione di conoscenza e sapere. Per questo è un bene che le ragazze e i ragazzi abbiano parlato e protestato. Ed è bene che lo facciano il più possibile.
But girls they want to have fun era una canzone piena di speranza, non dimentichiamolo.

16 pensieri su “LE RAGAZZE, I RAGAZZI E GLI ARCHITETTI DELL'INFORMAZIONE

  1. “I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure, sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà…” E così via. 1975 I giovani infelici – Lettere luterane.
    La risposta è la grande mediocrità. Non c’è un disegno particolare dietro. Oltretutto è a risparmio energetico.

  2. Gatti che si mordono la coda. Come ci si riappropria di sogni e desideri, se ci sono registi (e produttori – ma cinema & TV sono solo due campi in cui sta avvenendo la colonizzazione) che decidono per noi quali sono i nostri sogni e desideri, dopo aver ascoltato focus group e statistiche?
    La cultura è sempre più battaglia di retrogardia, uffa.

  3. Paolo S…la cosa dei registi che “decidono per noi” sogni e desideri è un’affermazione semplicistica e non mi vede d’accordo ma rischiamo di andare ot

  4. Dopo aver lette le se-dicenti “inchieste” Sex and teens (bel titolo: con le parole giuste per comparire in una ricerca di video porno su google, il caporedattore del “Fatto” forse qualcosa da obiettare avrebbe dovuto avere…), mi sono riguardato un paio di inchieste di Walter Tobagi sul mondo giovanile, tanto per ripassarmi i fondamentali. Due storie tragiche, quelle indagate da Tobagi: la morte violenta di tre giovani militanti dell’autonomia cui era esplosa in mano una bomba che stavano confezionando, nell’opulento entroterra del Veneto bianco; e il suicidio di un militante del movimento a Bologna; entrambe le inchieste sono del 1979, 14:04 e 02.07. La prima differenza, basilare: la descrizione delle case. La villetta a due piani della ragazza di Thiene, il treno di cemento lungo 300 metri al Pilastro, dove viveva e dov’è morto il giovane di Bologna: Tobagi rende attraverso questi particolari la concretezza, la materialità delle vite e delle morti. E quando affiora un parere, è sempre ben chiaro che è l’opinione dell’arciprete veneto piuttosto che del 77ino bolognese. Il cronista annota, trascrive ed espone: il primo a non avere la risposta davanti ai “perché” delle due tragedie è proprio lui. Nei due articoli di Borromeo, i giovani sono astrazioni su carta: quale l’ambiente sociale, quale lo status? Quale la composizione familiare? Quali le storie di provenienza? Il massimo che è dato sapere è che “c’era una festa ai Navigli” – e anche qui: al redattore non viene in mente di spiegare alla “cronista” che forse a Milano è chiaro cosa vuol dire “Navigli” (e ancora…), ma a chi ti legge fuori Milano forse devi spiegarglielo cosa sono diventati i Navigli rispetto all’immaginario comune. E i pareri, sono sempre infilati nell’articolo come una scimmiottatura del narratore onnisciente, che suona moralistico persino se sei Manzoni, figuriamoci se di manzoniano hai solo la deriva di un cognome.
    Ecco: per fare di queste due inchieste carta buona per dissalare le alici basta l’analisi di Margherita Ferrari. Ma qui c’è qualcosa di ancor più grave: la completa ignoranza dei fondamentali del giornalismo d’inchiesta da parte di tutta la filiera, dalla “giornalista” che (nel migliore dei casi) prende per oro colato quello che le dicono questi improbabili ragazzini, fino a chi il pezzo lo riceve, lo legge, lo passa al livello gerarchico superiore, e infine lo manda in stampa. Per una testata mai tanto antifrastica come in questo caso, che si perita di far la morale e la lezione sul mestiere del giornalista, non c’è male davvero.

  5. Quei due articoli dimostrano come una verità particolare (punto di vista, esperienza, voce, memoria individuale: “sono fenomeni che esistono”) può diventare un momento del falso. Sono forniti al lettore due punti di vista che mescolano delusione, impotenza, paura, desideri, ideologia, racconti di prima e (forse balle) di seconda mano, microstrategie di potere – non si può, per esempio, ignorare che la menzogna, nel racconto della sessualità adolescenziale (e non solo), può essere una strategia di potere e resistenza (spesso con esiti nefasti, credo) all’interno di un gruppo di coetanei.
    Si dovrebbe raccogliere la voce altrui con più amore per la verità: senza rinunciare a distinguere i livelli della realtà.
    Forse, se lo siamo con noi stessi, talvolta possiamo essere severi con gli adolescenti, ma non possiamo mai permetterci di inchiodarli alle nostre, o anche alle loro, menzogne.
    Più che parlare dei loro presunti errori e orrori (e doveri) dovremmo ragionare su errori e orrori (e potenzialità) delle nostre adolescenze. Nelle adolescenze dei miei coetanei, e nella mia, vedo buona parte del nostro presente. Vedo anche, però, delle strade che non sono state percorse, delle porticine che non sono state aperte. C’è ancora tempo.
    Ciao.
    L.

  6. Ho sempre apprezzato e apprezzo il lavoro di Loredana Lipperini, ma sul clamore degli articoli della Borromeo mi sono posta non poche domande.
    I due pezzi (che l’autrice più volte definisce pareri di Chiara e Mattia) raccontano un pezzo di adolescenza che esiste e che io ho vissuto pur essendo nata nel 1973. Diversa ma con episodi a tinte forti, simili al capodanno di Mattia.
    Si parla di architetti del desiderio qui, dove per una volta si sbircia e si mette in luce una femminilità agressiva, bulimica di sesso. Una delle tante forme possibili di adolescenza femminile oggi più che mai possibile grazie all’emancipazione e a tutta una serie di modelli che le bambine hanno maneggiato nell’infanzia (le fatine tettone e scosciate, i libretti che parlano di trucco a bambine di 5 anni e mi fermo che la lista è lunga).
    Non si è mai crocifisso nessuno per i ripetuti articoli sul bullismo (non tutti i bambini sono bulli) o sui fatti di cronaca citati come autorevole fonte per la questione “femminicidio”.
    Eppure i bulli esistono (e sono una piaga). Esistono anche i fidanzati che ammazzano le fidanzatine. E le ragazze come chiara i i ragazzi come Mattia.
    Certo qui non si tratta di reato, ci mancherebbe. Ma forse possiamo dedurre che le donne finalmente riescono a vivere il corpo senza amministrarlo come un valore aggiunto, da usare solo per convolare a giuste (e a volte convenienti) relazioni.
    Credo insomma che decenni di Barbie e di lego friends (la versione rosa del famoso mattoncino) hanno sfornato qualcosa. Qualcosa e non un tutto.
    Altro discorso meriterebbero i commenti ai pezzi della Borromeo sul sito de Il Fatto.
    Nessuno teme che questo dispiegarsi di truppe cammellate induca i giornali a pubblicare articoli più in riga con la sensibilità del momento?
    Gli articoli della Borromeo non sono peggiori di tanti altri e peccano del solito titolone sensazionalista. Non è la prima giornalista che affronta un tema “caldo” senza citare studi o statistiche (le madri assassine ad esempio).
    Insomma al di là della qualità dell’articolo (per me bassa come l’80% degli articoli dei giornalisti nostrani, che trovano sempre una testata che li pubblica… e chiediamoci perchè)

  7. scusate, mi è partito l’invio…
    volevo dire che dovremmo chiederci cosa pretendiamo dalla stampa.
    Vogliamo trattati di sociologia sull’adolescenza ma quando si tratta di cronaca nera (omicidio) o violenza (bullismo, stupro) ci accontentiamo del semplice report? Ben sapendo che il potere dei mass media è quello di creare realtà e verità che esistono ma – e per fortuna – spesso con numeri ben minori da quelli percepiti.

  8. A proposito dell’inchiesta della Borromeo mi è capitato di intercettare o partecipare ad alcune discussioni tra genitori. Sarebbe interessante fare una analisi su come alcuni padri (parecchi purtroppo) percepiscono e parlano del sesso delle figlie. Noterete come ci sia qualcosa di incestuoso nel senso di controllo/possesso pseudo-protettivo che esprimono. Questo è davvero distorto e allarmate.

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