LEGGERE ATTENTAMENTE LE ATTRIBUZIONI

Comincio a stufarmi. Chiedo all’illustre professor Franco Cardini, così come ho chiesto giorni fa a Riccardo Chiaberge, di rileggersi molto bene la mia intervista a Wu Ming 4 su Tolkien, prima di scriverne. Mai sognata – nè lo ha fatto Wu Ming 4 – di chiedere la restituzione di Tolkien alla sinistra: alla letteratura, semmai.
Ecco cosa scrive Cardini.
“Se in questi tempi così tristi (il massacro dei pacifisti al largo di Gaza, i tagli governativi alla cultura…) avessi voglia di ridere, la polemica scatenata da un articolo di Loredana Lipperini su “Repubblica” a proposito dell’opera letteraria di Tolkien avrebbe sul mio umore un benefico effetto. A Modena si tiene un convegno su “Tolkien e la filosofia”: e la giornalista coglie l’occasione per lamentare il fatto che per troppo tempo la “sinistra” abbia lasciato alla “destra” un equivoco monopolio sul grande autore di heroic fantasy, per ribadire il giudizio sull’inconsistenza della “cultura di destra” e per chiedere che finalmente si faccia giustizia e si restituisca il filologo e romanziere cattolico inglese all’àmbito culturale cui egli naturalmente e di diritto appartiene. Ch’è, ovviamente, quello della “sinistra”.
Verrebbe voglia di farci sopra due risate, dicevo. Ma in realtà par di sognare. E’ davvero mai possibile che, dopo tutto quel ch’è successo nel circa quarantennio trascorso tra l’approdo in Italia del capolavoro di Tolkien, Il signore degli anelli, si torni adesso a parlare di certi temi alla luce d’uno schema non solo manicheo, ma francamente frusto e irriproponibile come quello della contrapposizione “destra”-“sinistra”? Già allora, negli Anni Settanta, l’opposizione a quel groviglio di luoghi comuni era forte e diffusa: oggi, si rischia perfino – leggendo certi articoli – di non riuscir più a capire di che cosa si stia parlando. L’articolista di “Repubblica” sembra uscita da un lungo periodo d’ibernazione: e ci ripropone così, papale e papale, la vecchia massima vittoriniana e togliattiana, “La destra non ha cultura”, dalla quale discende l’assioma “ergo, se qualcosa ha a che fare con la cultura, non può essere di destra”.
Non siamo più nemmeno al ridicolo. Siamo all’inqualificabile. A parte il fatto che, dalla metà almeno dell’Ottocento ad oggi, ci sono stati molti tipi di “destra” e di “sinistra” e molti modi di aderire all’uno o all’altro dei tutt’altro che monolitici schieramenti, sappiamo bene ad esempio che dalla fine del XIX secolo il sorgere impetuoso della questione sociale e le fratture che tutto ciò ha prodotto in quella ch’era stata la “grande cultura” borghese e liberale dell’Ottocento ha avuto come effetto un mischiarsi e un modificarsi di valori che, fino ad allora, potevano essere ascritti con una certa chiarezza a questa o a quella parte politica. Dopo gli studi del Nolte, del Mosse, del de Felice e dello Sternhell, ad esempio, non possiamo più qualificare semplicisticamente il fascismo come una realtà politica “di destra”; così come riesce impossibile definire all’interno della polarizzazione destra-sinistra il fenomeno del totalitarismo e disperante collocare dall’una o dall’altra parte personaggi di vertice della nostra cultura come Nietzsche, Pound, Céline o Pasolini. E che cosa replicare a un esponente tra i più qualificati e raffinati della cultura e della politica “di sinistra”, Massimo Cacciari, il quale con candida fermezza afferma che “la grande cultura europea è sempre stata di destra”?
Per John Ronald Reuel Tolkien le cose sono chiarissime. Cattolico, membro del gruppo degli Oxford Christians esponente del quale era anche Clive Staples Lewis, filologo e medievista di fama internazionale, Tolkien non nascose mai la sua profonda adesione ai valori tradizionali della sua fede e della sua terra e la sua diffidenza, per non dir avversione, nei confronti degli aspetti più ambigui e più allarmanti della Modernità: lo sfrenato individualismo, il culto indiscriminato del progresso, lo scientismo materialistico, il culto del danaro e del profitto, la volontà di eliminare qualunque forma di sacralità dalla vita civile. Il signore degli anelliè appunto, tradotto nei termini geniali di un romanzo che riprende toni e moduli dalle saghe celtiche e scandinave e dal romanzo cavalleresco, il racconto di una civiltà in pericolo in quanto minacciata dalla Volontà di Potenza di un “Oscuro Signore” che con la violenza e la corruzione vuole soggiogare una composita realtà di esseri viventi e intelligenti (uomini, ma anche i “mezzi-uomini” hobbit, e ancora elfi, nani, mostruosi ibridi umano-ferini) promettendo loro la condivisione del suo potere e rendendoli schiavi. Qualcuno ha voluto scorgere nell’allegoria tolkieniana una condanna del totalitarismo, in particolare del nazionalsocialismo e del comunismo, ma tale lettura è forse riduttiva e poco precisa. L’obiettivo polemico dello scrittore è la debolezza umana, il fascino del potere inteso nemmeno più come mezzo bensì come autentico e unico fine in se stesso: e per questo il piccolo hobbit che decide di caricar su di sé il peso dell’Anello che imprigiona la volontà umana e distruggerlo è una figura cristica; e tutto il romanzo risulta essere quasi un rovesciamento della “cerca del Graal”, dove l’obiettivo non è conquistare un oggetto di arcana sacralità bensì disfarsi di un pericolo e di una tentazione.
Al suo apparire in Inghilterra e negli Stati Uniti, a metà Anni Cinquanta, Il signore degli anelli straripò sui giovani di allora conquistandoli, una generazione che stava cominciando a ribellarsi ai miti del progresso e del profitto, che non si accontentava più delle prospettive di carriera personale e della rispettabilità conformistica, che cominciava a gettare uno sguardo inquieto sulle ingiustizie del mondo, trovò in quel romanzo fantaeroico la sua Bibbia. Tolkien divenne il guru dei ragazzi del Flower Power e dell’Easy Rider, di quelli che si opponevano alla guerra in Vietnam e che sognavano sul magic bus di Kabul.
Con apparente paradosso, in Italia quelle voci di protesta e quelle istanze di rinnovamento degli orizzonti dei giovani non furono accolte dalla “sinistra” ufficiale, che tra Anni Sessanta e Settanta monopolizzava e regolava la vita culturale, bensì da “opposte” frange di sinistra e di destra. Ma, se la sinistra radicale aveva i suoi idoli nel Vietnam, in Cuba e nel “Che” Guevara, Tolkien divenne invece la bandiera di una esigua ma interessante pattuglia di destra, che ispirandosi soprattutto al pensiero antitotalitario e comunitarista della Nouvelle Droite di Alain de Benoist andava smarcandosi dallo sterile neofascismo del MSI ufficiale.
Di quei ragazzi, che avevano trovato un leader in Marco Tarchi – oggi autorevole docente di politologia nell’università di Firenze –, la sinistra di allora non capì un bel niente: li ritenne soltanto un gruppetto di estremisti da liquidare semplicemente come “neonazisti”; mentre la destra ufficiale, al contrario, scoprendosi incapace di rinnovarsi dall’interno li scaricava come pericolose e inquietanti presenze “deviazioniste”. Tolkien fu edito nella nostra lingua grazie a un editore di destra, Rusconi, a un fine talent scout editoriale, il Cattabiani, e a una intelligente traduttrice, la Alliata: tutti immediatamente isolati dal “cordone sanitario” cinto loro attorno dalla cultura ufficiale che impedì recensioni e interviste televisive. Tale il clima di quegli anni: non vengano a raccontarmi il contrario, fui io stesso testimone di quell’ottusità e di quell’ostracismo.
Ecco perché oggi sono ridicoli i rigurgiti e le pretese d’una paleosinistra che per lunghi anni ha avuto a disposizione messi ed energie inimmaginabili e che non ha saputo costruire alcun serio linguaggio culturale. Essa non ha il diritto di rivendicare né di recuperare un bel niente: Tolkien non le é stato scippato, per la semplice ragione che non le é mai appartenuto. La sinistra, a suo tempo, accomunò in una miope e incolta condanna il “reazionario” Tolkien e i suoi fans che con quattro soldi organizzavano i Campi Hobbit dove si cantava, si leggeva, si discuteva e si rideva in modo alternativo rispetto ai suoi superfinanziati festivals: e riuscì a mobilitare per tale nobile scopo perfino l’ambiente attorno a Norberto Bobbio. Oggi che si è fatta battere perfino dai bauscia berluskones e dalle trote leghiste può solo piangere sul suo velleitarismo, sulla sua inconsistenza e sul fallimento della sua passata arroganza”.

42 pensieri su “LEGGERE ATTENTAMENTE LE ATTRIBUZIONI

  1. E’ del tutto evidente che Cardini non ha letto l’articolo di Loredana Lipperini, ma soltanto il titolo. Infatti non ne cita nemmeno una frase e le attribuisce cose che non ha mai scritto. Qualcuno deve avergli segnalato l’articolo – con alcuni giorni di ritardo, come dimostra la data della reazione – e il professore non ha avuto voglia di andare a rintracciare l’articolo in rete o all’emeroteca. L’altra cosa che dimostra la sua totale non cognizione di causa è che non cita mai il sottoscritto parlando di un articolo che è praticamente un’intervista a me medesimo.
    Lo so che rischio di risultare offensivo, e me ne dolgo in anticipo, ma mi viene da dire che quando uno pretende di continuare a sentenziare oltre lo scadere del proprio tempo, si espone al rischio di diventare patetico proprio mentre rivolge la stessa accusa agli altri.
    Di una cosa però anch’io mi sono rotto le palle. Quelli che hanno voluto rispondere all’articolo di Loredana Lipperini su Repubblica (Nonmiricordochi su “Libero”, Cardini e Chiaberge) si sono soprattutto preoccupati di dire – in tono serio, faceto o irritato – che è ora di finirla di tirare Tolkien per la giacchetta per attribuirgli un’appartenenza politica. Dopodiché hanno ribadito che Tolkien non era di sinistra, ma un cristiano cattolico, un retrò, etc. etc., riferendosi a lui come autore, come individuo, come intellettuale. Cosa che nessuno (se non appunto un provocatorio titolista di Repubblica) ha mai messo in discussione. Ora, tralasciando il fatto che si continua assiduamente a confondere l’opera con l’autore, come segnalavo nel mio articolo di qualche tempo fa (ripreso anche su questo blog), la cosa paradossale è che, gira e rigira, chi resta inchiodato alla polemica ideologica su Tolkien sono i medesimi che pretendono di stigmatizzarla. Gli unici che fanno un passo avanti rispetto a quell’annosa e vetusta polemica sono gli stessi che lorsignori accusano di rimanerci invischiati. Cioè Loredana Lipperini, che come dimostra questo blog da tempo ricollega la questione Tolkien alla più vasta questione del genere fantastico in letteratura, alle sue sorti e vicissitudini; il sottoscritto, che rilasciava quella intervista in quanto invitato a partecipare al più importante convegno su Tolkien che si sia tenuto in Italia (dove erano presenti studiosi di varia provenienza geografica e politica), e che da tempo scrive in rete sull’opera di Tolkien entrando nel merito della stessa; e non ultimo (suo malgrado convitato di pietra in questa “fuffosa” polemica) il gruppo di studi su Tolkien che ha messo in piedi il convegno di Modena del 22 maggio scorso. Ma qualcuno dei suddetti critici si è preoccupato di venire a mettere il naso al convegno, o di reperirne in rete i resoconti?
    Per quanto mi riguarda, a loro disposizione, questo è il link al mio intervento in versione integrale: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=629
    Tanto per chiarire chi va avanti e chi resta al palo.

  2. Hai ragione, Cardini vuol togliersi qualche sassolino dalle scarpe e ti mette in mezzo. L’intervista a Wu Ming4 riguardava la dignità letteraria del fantasy e non la sua collocazione politica. Però.
    Cardini è scorretto ma non è scemo. Le cose che ricorda le ricordo anch’io. Ricordo la supponenza e la stupidità con cui il sinistrese egemone liquidava negli anni Settanta tutto ciò che sapeva di mistico e comunitario, a meno che non prendesse le distanze da ogni interesse per la tradizione dando origine alla spiritualità equicova della New Age.

  3. @Binaghi
    Sono d’accordo. Cardini non è scemo, ma “risulta” tale nel momento in cui taccia Loredana Lipperini (e indirettamente me) di essere uguali ai sinistrorsi degli anni Settanta, quando proprio noi siamo tra i sinistrorsi di oggi che da quella palude cercano di portare fuori Tolkien e la tematica sul fantastico.

  4. Sgombrato il campo da equivoci pseudopolitici, si potrebbe andare un po’ avanti sui contenuti. Per esempio.
    Quando Cardini scrive: “una composita realtà di esseri viventi e intelligenti (uomini, ma anche i “mezzi-uomini” hobbit, e ancora elfi, nani, mostruosi ibridi umano-ferini)” mostra di non aver capito quello che secondo me è un punto centrale. Il fantastico di Tolkien è sempre comunque antropologico. Nel senso che le creature cui dà forma non sono bizzarrie della natura, ma sempre figure dell’umano. In particolare elfi, hobbit e nani illustrano un’antropologia tripartita che ha le sue radici certamente nella patristica cristiana (Spirito anima corpo) ma che la teologia cattolica raramente ha saputo pensare fino in fondo, consegnandosi piuttosto a un dualismo platonico più dannoso che utile.
    Per non parlare di Gollum, che rappresenta il fenomeno della degradazione morale e della dissociazione psichica che ne consegue molto meglio di quanto abbiano fatto molti scrittori dichiaratamente spiritualisti (eccezion fatta per Dostevskij e Manzoni, direi)
    La straordinaria proliferazione di forme cui la penna di Tolkien ha dato luogo, merita certamente una lettura filosofica, soprattutto nel senso antropologico, e a pensarci bene questa è la reale distanza che separa il nostro da altri onesti artigiani della fantasia, come Marion Zimmer Bradley o Terry Brooks, ma anche da un C.S. Lewis, in cui troppo spesso la spontanea profondità del simbolo lascia il posto ad una allegoria “a chiave”
    Vi pare una lettura de-genere?

  5. Articoli ripudiati, articoli sostituiti. Ma aspettando il link cambiate la rotta: diamo un nome alle cose e agli sbagli si risponde con un poco di dietrologia?
    Sempre meglio di assiomi soggettivi (Tolkien è noiosissimo? E allora? Che c’entra?).

  6. Cardini qui è probabile vittima del titolo fuorviante e di paraocchi ideologici. Divertente: proprio lui che coi suoi studenti insiste (o almeno insisteva) sul fare le pulci alle notizie e di non accontentarsi della vulgata di questo o quella campana. Purtroppo, se lo toccano dov’è l suo debole anche lui scatta come una vipera, e morde a casaccio. Guardate cosa combina parlando dell’intervista di Le Goff, sembra davvero menare fendenti alla cieca…

  7. E’ un problema borbonico, di tifo borbonico per essere precisi..
    Cardini, totalmente fuori tema, totalmente fuorviato dal titolista che a sto punto ha fatto più danno della grandine, bontà sua, e totalmente arrogante da pensare si saperne di più e di meglio di chi il convegno l’ha fatto, (e come studioso questo non gli giova), parla borbonico, parla alla fantomatica entità della sinistra e protegge e spiega la destra, para un colpo contro la barricata amica.
    Come al solito, perchè parlare di letteratura tanto più fantastica se si può difendere la squadra del cuore e far perdere un punto all’avversario.
    Quello che muove questi signori è come al solito la politica, il politicosmo, dove da studioso ci si trasforma in asso di briscola e si fa punto, così come si fanno le comparsate tivù, eccetera, tutto rimane sempre stumentale e strumentabile.
    Probabilmente Cardini non si è mai occupato di Tolkien ne lo rifarà in futuro a meno che non serva ‘alla causa’.
    Che palle…

  8. (Occhio che se qui si etichetta Cardini come genericamente “di destra”, si fa la stessa operazione da lui compiuta e per cui giustamente ci lamentiamo…)

  9. Scusate, facciamo un distinguo per favore. Non è che le categorie di “destra” e “sinistra” debbano essere bandite dal vocabolario tout court quando ci si riferisce agli intellettuali. Esistono radici filosofiche di pensiero diverse, non possiamo mica negarlo. Dopodiché questo non può giustificare una visione a compartimenti stagni della cultura, è ovvio, ed è sicuramente riduttivo lasciarsi sovradeterminare dalle categorizzazioni nei giudizi letterari.
    Tempo fa mi capitò di dichiarare, tra il serio e il faceto, di essere affetto da una forma di sovradeterminazione politica nei confronti di Borges. Qualcuno misinterpretò il mio discorso e mi accusò di essere appunto un fautore del pregiudizio e dell’etichettatura ideologica. Io invece lo dicevo con rammarico, cioè cercavo di ammettere un limite, nella speranza ovvia che l’ammissione fosse l’inizio del suo superamento. Borges è uno dei più grandi intellettuali e scrittori del XX secolo. Se io non riesco a leggerlo senza pensare al suo plauso verso le più sanguinarie dittature sudamericane è un limite mio, appunto, che dovrei sforzarmi di superare, almeno quanto è un limite personale di Borges avere prestato la propria fama a una banda di assassini. Un discorso analogo si potrebbe fare per Mario Vargas Llosa, a detta di molti una delle migliori penne di tutto il Sudamerica, e nondimeno un fautore dichiarato del liberismo più ortodosso negli anni in cui il FMI devastava il subcontinente riducendo l’economia di interi paesi sul lastrico.
    I biografi di solito si interessano molto a scovare le corrispondenze tra il pensiero o le prese di posizione politiche degli autori e la loro poetica. Ecco, per fortuna io non faccio il biografo, ma se dovessi cimentarmi su Tolkien, che pure conosco meglio di Borges e Vargas Llosa, ammetto che avrei delle difficoltà a fare quel tipo di esercizio. E’ ovvio infatti che Tolkien era un cattolico osservante, sfiduciato nel progresso, anti-materialista, pochissimo interessato alla politica, convinto che l’umanità non avrebbe mai potuto trovare una realizzazione nella storia, ma solo in una dimensione ultramondana, nel ricongiungimento col Padre. In definitiva credo che uno che la vede così possa essere definito in senso lato “di destra” o “conservatore”, e tuttavia Tolkien era anche un narratore ed elaborò una poetica che a mio avviso di destrorso e di conservatore ha davvero poco o nulla. Del resto le persone non sono lineari e monolitiche, ma complesse e contraddittorie, e spesso è proprio dalle contraddizioni che scaturiscono i lampi di creatività più efficaci.
    Ecco, i “conservatori” nella più celebre saga tolkieniana sono personaggi negativi, rappresentati quasi come degli psicotici imbalsamatori. Per tutti parlano Denethor, il nostalgico, e gli Elfi immobili nel tempo, destinati a scomparire insieme alla loro algida bellezza. Il messaggio veicolato dalla narrativa di Tolkien è che il mutamento – così come il conflitto – è inevitabile e deve essere accettato come parte ineludibile della vita e della storia umana. Nonostante il mondo si allontani sempre più dalla propria perfetta origine, pensare di fermare il divenire storico o addirittura farlo tornare indietro è una follia, è sbagliato, insano.
    A me questa sembra una visione tutt’altro che conservatrice o reazionaria.
    E’ la dimostrazione che nell’opera di un autore c’è sempre molto più dell’autore (e che, come dicevo, nell’autore stesso c’è molto di più di quanto non traspaia).
    Del resto c’è qualcuno che lo va dicendo da un pezzo che è meglio anteporre l’opera all’autore, che la biografia e finanche la faccia dell’autore non sono importanti rispetto a quello che scrive e che viene poi letto da un comunità allargata, etc. Magari per poi sentirsi dire che scrive in incognito e che picchia i fotografi… o che pretende di arruolare Tolkien a sinistra 🙂

  10. cardini è di destra credo che la posizione culturale di cardini non sia in discussione.
    mica è un’offesa, viene proposto e si propone come intellettuale opinionista di centro destra.
    l’operazione che Paolo s teme sarebbe discutere di Cardini politicamente parlando di Cardini autore narrativa.
    ma qui si è commentato l’intervento di cardini, la sua approssimatezza, la conoscenza generica di Tolkien e la sua evidente verve politica nel dire, non certo letteraria, non Cardini uomo o tanto meno Cardini autore di romanzi.
    attenzione
    D.

  11. Grazie messire.
    Io ho parlato solo dell’intervento di Cardini tu della letteratura.
    Avevo gioco facile.
    Sintetico si, ma due virgole in più stavano bene.
    Tolkien secondo me, compie un atto narrativo ‘poetico’, e non narrativo storico-politico.
    L’urgenza politica in Tolkien è urgenza morale, la storia parla del bene contro il male, in senso assoluto, l’azione è l’azione del Bene fatta di sacrificio e rinuncia e proprio per questo assolutamente a-storica e anti-politica in senso concreto.
    A chi lo tacciava di aver scritto un’analogia dei totalitarismi, e della seconda guerra mondiale lui rispondeva che se così fosse, “i buoni” si sarebbero tenuti l’anello come arma contro Sauron, diventando mostri essi stessi.
    Per questo, sostengo l’affermazione di Wm 4, stiamo attenti al biografismo, perchè il tolkien borghese, conservatore, suddito di sua maestà, elettore, c’entra solo parzialmente con la poetica di Tolkien scrittore.
    E’ proprio l’epica “morale” che trionfa, l’epica del giusto contro l’epica del bello, contro l’epica eroica del guerriero ammazzasette che in Tolkien è solo contorno, ottimamente rappresentata da Boromir.
    Ecco!, l’idea di politicizzare Tolkien si sarebbe dovuta capire lì, con la caduta di Boromir. Frodo capisce e si toglie di mezzo, va da solo, col fidato Sam, senza eroi e stregoni leggendari, Frodo è armato solo della sua rinuncia, è diventa un ‘guerrigliero’ poetico, sabotando, di fatto, tutto l’apparato epico.
    Come per il Gondor, anche in Italia è ancora impossibile che i vecchi guerrieri della politica, vedano l’utilità di gettare l’anello del potere, di abbandonare la tenzone, e comincino a trattare di Tolkien solo per amore di letteratura.
    D.

  12. Paolo s, sull’intervista a Le Goff Cardini scrive il vero. Le Goff nei suoi studi sul medioevo ha argomentato e sostenuto che l’occidente è sostanzialmente figlio del cristianesimo. In nessuno dei suoi interessanti testi c’è traccia di considerazioni e valutazioni che contraddicono il binomio di cui sopra. Quindi Cardini, giustamente, è sorpreso delle dichiarazioni rilasciate da Le Goff che, senza forti e nuove motivazioni, ignora le sue stesse argomentazioni storiche.

  13. l’articolo di cardini è un filo più ampio.
    Comunque l’occidente è figlio del paganesimo, basta leggere un manuale qualunque di storia della chiesa e del culto: paganesimo placcato di cristianesimo. Aggiungere ebraismo, islam, pensiero liberale e illuminismo.
    Affogare nel sangue agitare bene, aggiungere un bel pugno di polvere da sparo, incendiare et voilà.

  14. @Wu Ming4
    In Tolkien c’è un senso della “norma” che corregge la storia e la dissipazione dei tempi. Va interpretato come Idea platonica o persistenza del Mundus Imaginalis e non realizzazione politica da incarnarsi a sua volta.
    Tra queste due posizioni c’è tutta la differenza che passa tra spiritualismo e fascismo, e che tu non mi sembri cogliere.

  15. marotta, le acrobazie verbali non cambiano la sostanza della storia. E’ necessario un maggiore approfondimento, altrimenti si gioca in superficie. E’ chiaro che Cardini argomenta in modo più ampio, in un blog, però, è inevitabile ridurre i concetti a poche parole. Davvero i testi storici vanno letti e studiati, non basta conoscerne l’esistenza.

  16. @ Binaghi: la questione è più complessa, temo, perché proprio Tolkien non era per niente “platonico”. Cosa intendi per “norma” che corregge la storia e la dissipazione dei tempi? Non sono convinto che Tolkien credesse possibile correggere la lenta dissipazione della luce originaria in nome di una qualsiasi idealità o spiritualità. Sbaglierò, ma nelle sue riflessioni private, anzi, personalmente sento riecheggiare le riflessioni paoline sull’ineluttabile dispiegarsi nel mondo del mysterium iniquitatis. Senz’altro però Tolkien credeva che ogni frammento di quella luce via via più spezzettata potesse essere fatto riverberare in ogni istante. In questo andamento paradossale io personalmente ci leggo il pessimismo storico cristiano di Tolkien, ma per l’appunto “deplatonizzato”.
    Questo ha una qualche corrispondenza sul piano della poetica tolkieniana? Io credo di sì [sto facendo il lavoro del biografo che avevo detto non avrei fatto, ma tant’è]. Nella narrativa di Tolkien prevale un sentimento di nostalgia per il dissiparsi della bellezza originaria del mondo, ma allo stesso tempo è come se quella stessa nostalgia rappresentasse la minaccia più grave per i popoli della TdM e per i loro eroi, che invece di lottare hic et nunc contro l’avanzare dell’Ombra, potrebbero perdersi a vagheggiare il tempo perduto e l’Aldilà edenico. Tolkien era probabilmente affetto da questo duplice sentimento: nostalgia e senso concreto della vita, del dovere.
    Il suo pessimismo storico cristiano in sostanza non lo portava a trasferire ogni investimento su un piano ultramondano, né a concentrarsi esclusivamente su una battaglia interiore. Di conseguenza farei fatica a definirlo anche “spiritualista”.
    C’è una lettera molto bella, del 1943, che Tolkien scrive al figlio Christopher arruolato nella RAF. Per tutta la lettera scherza sul proprio pessimismo, sulle proprie implausibili posizioni politiche, usa frasi provocatorie ed eccentriche. Poi, nell’ultimo paragrafo, cambia bruscamente tono e diventa serio:
    “Ebbene, auguri, mio carissimo figlio. Siamo nati in un periodo buio. Ma c’è una consolazione: se fosse altrimenti non conosceremmo, e non ameremmo tanto, quello che amiamo. Immagino che il pesce tirato fuori dall’acqua sia l’unico pesce ad avere un vago sentore di che cosa sia l’acqua”.
    Il naturale sbocco di una riflessione del genere sembrerebbe essere il rifugio nell’affetto privato, lo stare (leopardianamente) più uniti, apprezzare di più ciò che si ama, appunto. Avendo conosciuto l’amore ricordiamo il suo sapore, non lo dimenticheremo, non ci lasceremo disumanizzare nemmeno nel buio della guerra mondiale e questa è la nostra forza e consolazione. Eppure… eppure attenzione a cosa Tolkien aggiunge subito dopo:
    “Inoltre abbiamo ancora qualche arma. ‘Non mi inchinerò di fronte alla corona di ferro, né getterò via il mio piccolo scettro d’oro’ [si tratta di un’autocitazione da Mitopoeia, n.d.wm4]. Lancia contro gli orchi, con parole alate, hildenaeddran (lance di guerra), frecce acuminate – ma assicurati di centrare il bersaglio, prima di sparare”.
    Alla fine Tolkien dice al figlio: mira bene e spara dritto. La storia va affrontata, anche se non è il terreno su cui si potrà mai realizzare qualcosa di completamente buono. I Nazisti vanno sconfitti, l’Ombra va respinta non solo sul terreno interiore, ma anche su quello storico. Questo implica che ogni arciere – o aviere della RAF – dovrà fare il proprio dovere. Sporcarsi le mani con la storia, perché “Winston e la sua banda”, per quanto cinici, laidi e bari possanno essere, saranno pur sempre meglio di quell’Imbianchino.

  17. Dinosauro, ricordo molto bene l’intervista di Le Goff, io ci ho letto l’urgenza di togliere a una parte, che sta combattendo aggressivamente la propria kulturkampf, una legittimazione che essa pretende oltre ai margini già ampi che Le Goff stesso non nega di certo.
    Infatti penso che Cardini non abbia torto a invocare l’aggiunta di quel “soltanto” alle parole del francese, e che non si debba parlare di radici soltanto cristiane – ma ciò è banalmente vero (soprattutto per un medievista) e giornalisticamente meno interessante.
    È la penultima frase di Cardini, però, a dare una torsione politica che Le Goff (a differenza di quanto reputa Cardini stesso) non credo apprezzerebbe: “A questa realtà, diciamo pure a questo primato, i cristiani non possono e non debbono rinunziare”: suona un po’ troppo come una chiamata alle armi.
    Così come, leggendo male l’articolo di Loredana, Franco Cardini chiama ad adunanza i “suoi” contro “quegli altri”, non rendendosi conto vi si parla persino di un simposio organizzato proprio da chi sta vicino a ai “suoi”.
    Insomma… leggere attentamente le attribuzioni 😉

  18. @Wu Ming4
    Per “norma” intendo l’archetipo, se vogliamo dirlo il più laicamente possibile l”ideale” in senso kantiano. Qualcosa che non può e non deve essere trascinato a forza nell’ambito storico-fenomenico (come fa il fascismo coi suoi miti tecnicizzati), ma è una bussola orientativa.
    La Compagnia dell’Anello è fatta con i pezzi di un mondo in rovina: le tre parti dell’umano separate e apparentemente scoordinate (elfo hobbit nano), un re senza corona e di uno sciamano senza autorità (la scissione dell’autorevolezza originaria), ma è proprio la consapevolezza dell’ordine archetipico che ne in-forma l’andare, e il risultato è una catarsi storico-cosmica, la distruzione del feticcio del potere e la possibilità di un ri-cominciamento.
    Nella sua opera maggiore Tolkien ha messo non solo fantasia e conoscenza del genere epico, ma molta sapienza esoterica (nel senso di nascosta ai più, perchè riguarda strutture profonde). Il suo sodale Lewis ha fatto un’operazione simile con la sua trilogia dove specialmente nel terzo romanzo, “Quell’orribile forza”, si vede la stessa “correzione” della dissipazione storica grazie all’irruzione dell’archetipo, nella forma dei personaggi del ciclo arturiano.
    Anche Wu Ming finirà lì, a meno che le resistenze ideologiche prevalgano sull’attrazione della materia epica. E sarebbe un peccato, perchè l’anima della storia non è storica e chi vuol salvare il fenomeno sterilizzandolo dalla metafisica lo perderà, come il post-illuminista Kant ha capito per primo.

  19. @Binaghi: è una discussione che io e te abbiamo già avuto e un’obiezione che già altri cattolici hanno mosso a WM (Alessandro Zaccuri, ad esempio, su l’Avvenire, e anche un gesuita di cui adesso mi sfugge il nome su Bombacarta).
    Tu consideri una resistenza ideologica il non porsi il problema del piano metafisico. Rassegnati: per me gli archetipi sono prodotti storici. Non sono nemmeno convinto, come gli junghiani, che gli archetipi narrativi fissino i connotati eterni della psiche umana: c’è senz’altro una qualche corrispondenza, ma anche quella junghiana, se presa troppo alla lettera rischia di diventare una sorta di metafisica antropologica. E a me interessa fino a un certo punto, perché preferisco mantenere la barra a dritta sul ruolo delle narrazioni, che è il mio seminato, piuttosto che sulla filosofia o la metafisica.
    Del resto non capisco cosa scocci tanto – magari non a te, ma ad altri che ci muovono obiezioni analoghe – del nostro modo di porre la questione dell’epos e del mito. Per approcciare la materia è così fondamentale una professione di fede nell’essenza degli archetipi metafisici e delle idee sovrastoriche? Non si può discutere di archetipi nel mito per ciò che comportano in merito al…ehm, mito, cioè al racconto, e conseguentemente del rapporto tra racconto e mondo? Dobbiamo per forza preferire a questo l’indagine sul rapporto tra racconto e ultra-mondo? Caro Binaghi, noi altri siamo di formazione marxista, e questo non significa che siamo ideologici, ma semplicemente che ci interessa cambiare il mondo più che trascenderlo o coglierne l’essenza ideale (ovvero pensiamo che se mai una “essenza” può essere colta è soltanto, empiricamente, attraverso l’interazione a tutto campo col mondo). Come scrivevo nel testo integrale dell’intervento al convegno di Modena: “sono interessato a rintracciare nella sua [di Tolkien] poetica non tanto il legame tra narrazione ed espressione della verità, quanto tra narrazione e trasformazione della realtà. E come narratore […] posso farlo solo attraverso l’analisi del testo letterario”.
    Aggiungo, che, tra l’altro, leggere è l’unica cosa che so fare.
    Non so dove tutto questo porterà Wu Ming, ma è chiaro che tu sei padronissimo di aspettarci dove preferisci.
    🙂

  20. Però, Wu Ming 4, io tutto questo spotenziamento degli elfi a favore degli eroici hobbit borghesi non lo vedo, cioè, non è l’unico movimento – penso soprattutto a Valinor, dove giungono anche Bilbo e Frodo, e alla Strada Diritta.
    Gli elfi scompaiono *per gli umani*, mica si estinguono: vanno a fare i cocchi dei Valar nelle Terre Imperiture.
    Se per un certo verso, e qui sono d’accordissimo con te, Tolkien ci consegna l’unica epica possibile per un mondo che ha visto gli orrori della prima metà del XX secolo e riapre così una possibilità per l’epica ai giorni nostri, dall’altra non sono così convinto che nel Signore degli anelli i personaggi conservatori siano negativi. Per esempio, l’antica saggezza e il diritto divino hanno il loro bel peso nella vicenda, a tratti ambivalente, ma nella traiettoria finale positivo.
    Insomma, per come l’ho letto io, quel che Tolkien sancisce è una nuova interdipendenza di Grandi e Piccoli (e l’importanza della consapevolezza di questa) per il perseguimento del bene comune contro un male maggiore e radicale. Nella storia, certo, ma grazie alle figure dell’ideale attivamente custodite e tramandate, magari a pezzi, ma pronte a essere nuovamente forgiate nella guisa antica.

  21. «Lancia contro gli orchi, con parole alate, hildenaeddran (lance di guerra), frecce acuminate – ma assicurati di centrare il bersaglio, prima di sparare»: è la trasposizione, nella lingua di Tolkien, del messaggio di Cromwell alle truppe puritane: «fidate in Dio, ma tenete le polveri asciutte».

  22. @Paolo S: l’antica saggezza ha un ruolo nella vicenda, sì; non certo il “diritto divino”, però, del quale non v’è traccia nella Terra di Mezzo. Antica saggezza però non significa conservazione. E dirò di più: antichità non significa necessariamente saggezza. Questo è uno dei punti importanti nella narrativa di Tolkien: essere antico non significa necessariamente essere nel giusto. C’è un personaggio che incarna perfettamente questa complessità: Barbalbero. Probabilmente dopo Tom Bombadil e il personaggio più vecchio che popoli la TdM. Eppure possiamo definirlo saggio? No. E’ – proprio come gli elfi – talmente vecchio da essere disinteressato agli eventi storici, che per lui non sono altro che inezie, momenti transeunti che lasceranno al massimo qualche tacca sulla sua corteccia. Sono Merry e Pipino a impartirgli una lezione coi fiocchi. Sono gli hobbit a trascinare gli Ent alla guerra per salvare la TdM. Lo stesso antichissimo Tom Bombadil addirittura non è nemmeno coinvolgibile nella guerra, né gli si può affidare l’Anello. Svolge la sua parte nella trama provvidenziale salvando gli hobbit in due occasioni, ma non può essere di alcuna utilità ai fini del conflitto generale. E che dire di Elrond? Elfo bimillenario, non solo non prende parte alla guerra per fare le valigie e andarsene a Valinor, ma non riesce nemmeno a gestire il Consiglio da lui stesso indetto? Ed Elrond è senz’altro un “conservatore”, perché dopo la battaglia in cui a Sauron è stato strappato l’Anello, non ha saputo fare altro che restare nella TdM a conservare la propria oasi felice, il proprio pezzettino di Valinor nella TdM, mentre Sauron progressivamente recuperava il proprio potere. E quando questa conservazione non è più possibile decide di tornarsene a casa (avete presente certi funzionari coloniali inglesi dopo il crollo dell’Impero?)
    Di Denethor non c’è neanche bisogno di dire, lui lo dichiara platealmente che il suo ideale è che tutto torni come ai tempi dei suoi padri; ha una vera e propria “beitempifilia” che lo porta a vedere tutto bello dietro di sé e tutto nero davanti a sé, fino a maturare e mettere in pratica l’idea del suicidio (a me Denethor fa venire in mente Debord, ma questo è OT…).
    Potrei andare avanti, ma adesso purtroppo devo provare a uscire dopo dieci giorni di clausura. Sto malaccio, ma se non mi sforzo un po’ divento una mummia.
    A più tardi.

  23. Riprenditi presto! Ti tormenterò anche dalle parti di Giap, è molto bello tutto il thread dedicato al tuo intervento nel convegno…

  24. Bisogna prendere in considerazione una serie di spunti.
    la terra di mezzo a mio avviso è stata necessaria proprio per ottenere uno spazio ‘di mezzo’ tra storia, spirito e mithos ed epos. Ovvero ad immagine e somiglianza di Tolkien stesso.
    Non dimentichiamo mai che la terra di mezzo era uno spazio narrativo personale ed intimo di cui lui voleva pubblicare solo hobbit, sda e silmarillion.
    Possiamo misurare, giustamente, gli ingredienti ognuno col proprio palato, trovando chi più spirito, chi più storia o poesia o epica, ma cercare di fare un ‘carotaggio’ preciso del suolo significa tentare di vivisezionare Tolkien persona proprio perchè era lui il pentolone in cui tutti gli elementi ribollono e riposano.
    Bisognerebbe forse distanziarsi dal nostro modo di vedere la realtà e calarsi nel sentimento di un inglese delle sue idee, estrazione e generazione per capire quanto è distante da noi, sia nel concepire il dibattito socio politico, sia l’idea di male e di vita stessa.
    Se per noi, giustamente, parlando di Tolkien tutti gli elementi si possono combinare e scombinare a piacimento, si vede facilmente come fosse evidente a lui la distinzione tra realtà, immaginazione epos e storia. La lettera postata da Wm4 è un esempio perfetto di questo e va sottolineato che i riferimenti epici e mitici della lettera erano motivati dalla condivisione affettuosa col figlio cristopher della dimensione storica e linguistica anglosassone, una sorta di codice di interessi comuni e famigliari del cuore e non un’alienazione estetico-politica ideologica.
    La poetica di Tolkien è certamente spirituale, altrimenti poteva benissimo collocare la sua vicenda in un epoca e luogo reale.
    Sprituale nel senso di universale, che riguarda lo spirito dell’umanità tutta: la subcreazione serve a celebrare la creazione e non un’aspetto di essa, il mondo di Tolkien è come lo spazio greco romano di Graves, uno spunto di riflessione intimo sull’uomo, in posizione intima ma certo sopraelevata rispetto alla storia e rispetto a qualsiasi corrente di pensiero contemporaneo.
    Tolkien è immerso nella propria vicenda personale e nelle lettere antiche, distante da qualunque sociopolitica dei suoi tempi proprio come un Bilbo qualsiasi, ma forte di idee universali (senza scomodare gli archetipi), sul bene e sul male, derivate dalla sua fede, dagli affetti e dalla storia personale e dalla propria indole, è la forza delle proprie risposte che portano Tolkien e la sua opera a potersi interfacciare in lungo e in largo con altre opere e idee. Forse all’epoca fu proprio questa l’urgenza, quella di ribadire la forza di principi universali, proprio in anni in cui tra le guerre e con le guerre, trionfavano necessità e retoriche particolari, locali, razziali e territoriali, senza però mai confondere lo spazio poetico con quello concreto.
    L’ombra, siede nel palazzo di Denthor, nei budelli di Dol Guldur, lambisce i desideri di Gandalf, e si impossessa anche dei pacifici ma umanissimi hobbit.
    questa è l’urgenza dell’opera, definire il male e descrivere sostenere gli strumenti del bene, in un senso assolutamente e unicamente Tolkeniano, se ci mettiamo l’indiscutibile talento letterario e l’essere un fuori classe della linguistica, la portata non poteva non essere universale.
    D.

  25. @Daniele
    “idee universali (senza scomodare gli archetipi)”
    Ma sono praticamente sinonimi!
    Il punto è che, una volta percepito l’essere (o meglio l’essenza) come percettibilmente distinta dal divenire, nasce il problema non tanto della sua collocazione ma della sua realtà. E’ un problema che lo scrittore o il lettore puro (se esistessero) potrebbero anche non porsi, ma il filosofo che c’è in ognuno di noi troverà prima o poi ineludibili.
    Ci sono solo tre soluzioni possibili: un monismo negazionista (Parmenide o Democrito), un dualismo irrisolto (Platone fino al Timeo), un realismo critico (Aristotele).
    Poichè la letteratura moderna non può respingere la consapevolezza filosofica che l’occidente ha ereditato, il problema giunge fino alle radici della produzione artistica, anche se in modo tutto sui generis. E’ ciò a cui si è arreso Schopenhauer, dichiarando che l’idea platonica è il vero oggetto dell’arte. E’ il punto da cui è partito Benjamin nella sua ricerca sul dramma barocco tedesco. Ne va del valore di conoscenza dell’opera d’arte, ma poi la gente mette cose grosse in un imbuto piccolo e teme che riconoscere la trascendenza del Mundus Imaginalis significhi fare concessioni a Ratzinger.

  26. Scusate, ma credo che valga la pena di riportare un frammento dell’intervista rilasciata da Silvana De Mari a Fantasy Magazine.
    “Saruman, a furia di guardare negli occhi il nemico, se ne è innamorato. Per decenni Saruman ci ha spiegato come il comunismo sovietico, dove in realtà erano dei mostri, fosse il paradiso in terra. Adesso Saruman sta di nuovo sbagliando, ci dimostra come la civiltà occidentale sia marcia e corrotta, mentre gli altri sono migliori. Che ‘gli altri’, una società dove una bambina di otto anni può essere sposata, infibulata e lapidata siano una società migliore raccontatelo a qualcun altro. Perché ci sono Nazioni dove per il solo fatto di girare a testa scoperta e aggiustarsi i calzini in pubblico si può essere condannati a morte. Quindi ce la faremo. Ce la faremo con la compassione e il coraggio. Noi stravinceremo, come abbiamo fermato anche tutti gli altri. Ma abbiamo bisogno di recuperare la fede in noi stessi e questo possiamo farlo attraverso il fantasy.”
    http://www.fantasymagazine.it/interviste/12174/intervista-a-silvana-de-mari/

  27. Il Professore si rivolta nella tomba, ne sono certo. Proporre questo manicheismo d’accatto utilizzando l’immaginario tolkieniano è più o meno quello che hanno fatto i fascisti in questo paese per quarant’anni. E mi sembra che la signora De Mari (della quale ho sempre sospettato… il Fantasy contro l’Illuminismo, aiuto!) dimostri una volta di più quanto c’è bisogno di un certo lavoro su Tolkien che è stato avviato (e che poi si riverbera su tutto il genere fantastico).
    Tra l’altro, la signora dimostra un’ignoranza crassa e plateale sulla stessa materia di cui parla. Se c’era una cosa che faceva incazzare a morte Tolkien erano le letture della sua opera come allegoria dello scontro di civiltà. E’ uno dei punti su cui ha insisto di più nel corso della sua vita. Ma dagli ignoranti non lo può salvare nessuno…
    E pure C.S. Lewis, poveraccio, che si vede arruolato paladino del fantastico contro i mali dell’illuminismo… lui che amava il fantastico ed era di formazione rigorosamente illuminista! Il suo precettore e mentore fu William Kirkpatrick (detto “The Great Knock”), logico positivista, uno degli ultimi esponenti della gloriosa tradizione dell’illuminismo scozzese. In seguito Lewis riscoprì la fede, è vero, diventando prima deista (come molti illuministi, del resto) e poi cristiano, ma le due componenti continuarono a darsi battaglia nella sua mente. La biografia spirituale di Lewis, “Surprised by Joy”, è attraversata dal rapporto dialettico tra quelli che Lewis definisce i suoi “due emisferi” e spesso si sofferma a speculare sul fatto che sulla carta sarebbe anche potuto diventare un intellettuale sinistrorso e ateo.
    @Lara Manni. Lo scrivevo sul tuo blog qualche tempo fa, mi pare, che gli autori di fantastico italiani hanno un deficit di conoscenza e che a molti mancano le basi, la conoscenza dei padri del genere. Eccone un’altra dimostrazione.

  28. Wu Ming 4, e ancora una volta hai perfettamente ragione. La conoscenza dei padri del genere, quando c’è, è oltretutto fondata su suggestioni personali anzichè sullo studio: Tolkien in particolare, mi sembra, viene piegato a tutte le esigenze. Nel caso di Silvana De Mari, al vero e proprio incitamento all’odio razziale: per inciso, avendo letto il suo blog, mi si drizzano i capelli pensando che questa signora va in giro per le scuole, e molto spesso per le medie inferiori, credo.
    In ogni caso, usare il fantastico come pretesto per spacciare qualsivoglia posizione ideologica è cosa terribile. Come terribile è la frase pronunciata dalla De Mari nell’intervista: il fantastico “è il genere che più facilmente può trasmettere certi messaggi”.

  29. Sì, dall’intervista, la signora sembra una fanatica cristiana inconsapevole delle enormità che dice. Dei cristiani come Tolkien e Lewis l’avrebbero tenuta bene alla larga…

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