L'ISTRUZIONE E' UN DONO

“C’è un malvezzo tra i detrattori di don Milani: quello di decontestualizzarlo, destoricizzarlo e disincarnarlo. Di farne un predicatore etereo, che come le figure di Chagal sorvola la realtà senza sfiorarla. Secondo questi detrattori (all’interno di un elenco non completo che va da Paola Mastrocola a Cesare Segre, da Sebastiano Vassalli sino a Giorgio Israel, Sergio Romano e Marcello Veneziani), don Milani sarebbe assieme a Gianni Rodari artefice o promotore, o nel minore dei casi complice, di una presunta distruzione della scuola pubblica, e dell’avvio di una catastrofe educativa che ha prodotto quell’emergenza educativa che si pretende esistere semplicemente perché tutti ne parlano – così come il flogisto non poteva non esistere, dal momento che tutti ne affermavano l’esistenza”.
Girolamo De Michele su Che cosa significa educare. Segue su Carmilla.

18 pensieri su “L'ISTRUZIONE E' UN DONO

  1. Nonostante le buone intenzioni, visto a una certa distanza, il pensiero di Don Milani non appare più tanto progressista. Alla fine ha giocato al ribasso: la scuola in cui ha operato era classista, tremendamente classista. Ora il classismo ce lo troviamo in un altra salsa: chi può – chi ha strumenti e denaro (non sempre i due fattori convivono) supplisce alle carenze formative della scuola in proprio. Si studiano le lingue privatamente, ci si prepara al liceo fuori delle scuole medie. Chi non può si arrangia. Chiedo, senza polemica, se non sarebbe stato meglio puntare a una formazione di base ottima per tutti – mantenendo il latino, introducendo le lingue straniere (almeno una e non con un’ora a settimana) in tutte le scuole del regno. Puntare a ridisegnare l’orario scolastico della scuola dell’obbligo con un numero maggiore di ore. Costringere gli insegnanti a essere presenti negli eventuali corsi di recupero/sostegno per gli alunni che non hanno famiglie colte alle spalle. Certo non è colpa di Milani – ma Lettera a una professoressa e altri suoi scritti, oggi, mi sembrano terribilmente reazionari. E la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.

  2. Sono di parere diametralmente opposto a quello di Barbara.
    Ho letto la Lettera a una professoressa solo poche settimane fa e l’ho trovata illuminante e molto attuale. Ricordo soprattutto l’idea di fondo: dare possibilità a tutti gli alunni, perché altrimenti la scuola diventa un ospedale che cura i sani e ricaccia i malati.

  3. d’accordo con elenaEffe, ma non per partito preso, per aver toccato con mano: la scuola italiana è ancora tanto classista.
    e i figli del degrado (quartieri periferici, sottoproletariato) oggi son più difficili di quelli di don Milani: quelli crescevano a scapaccioni e detti popolari, questi bombardati dal consumismo, dagli slogan della lega e delle tv.

  4. Penso che l’esempio di Don Milani sia affascinante. E penso anche che il pensiero di Barbara e quello di ElenaElle non siano in contraddizione, tutt’altro. Il ’68 ha vinto. Non il suo spirito, ma le sue istanze. Cosa chiedeva? lavoro flessibile. Accontentato. Istruzione fluida, accontentato. Sessualità liberata, accontentato. Il problema, appunto, è che il ’68 è stato fagocitato e piegato alle regole del capitalismo trasformandolo in neoliberismo. Spero di non essere frainteso, ma ho come il sospetto che siamo di fronte ad un cambiamento che ci lascerà con l’amaro in bocca. Visto che le istanze libertarie del ’68 sono state così facilmente digerite e vomitate in altra forma, temo che il neoliberismo stia preparandosi a cambiare leva facendo leva sulle apparenti contraddizioni stigmatizzate da Barbara e ElenaElle, ovvero: dimostrare che capitalismo e assenza (anche formale) di democrazia siano conciliabilissimi.
    La Cina è vicina, giusto?

  5. Temo di non aver espresso con chiarezza il mio pensiero. Non ho alcuna accusa da muovere al 68 a cui, per altro, Don Milani era del tutto estraneo. Sto sostenendo che, forse, la scelta al ribasso è stata perdente proprio per quei ceti più disagiati che si voleva emancipare. La scuola è ancora classista. Esiste uno studio di Tullio De Mauro in cui dimostra il gap esistente in epoca prescolare tra i bambini provenienti da famiglie di lettori e bambini provenienti da famiglie in cui non gira neanche la settimana enigmistica. Questo gap la scuola non lo colma – non lo faceva allora e non lo fa ora. Tuttavia credo che per colmare questa insostenibile divisione la strada non sia la semplificazione eccessiva del sapere -))

  6. Approfitto del post per una considerazione a margine su un detrattore di don Milani. Loredana Lipperini ha spiegato cosa significa pubblicare sul “New York Times”: a partire dall’editor che ti affiancano, un impegno e una serietà che in Italia te lo sogni: il che spiega perché “New York Times”, “Economist”, “Guardian” siano autorevoli. Adesso andate a leggere questo articolo di un noto editorialista italiano, con rubrica fissa sul “Corriere della sera” e tutto l’ambaradan che si porta dietro (metri di puzza sotto il naso compresi). Argomenta in favore del “risorgimentale” De Amicis, rimpiange il libro Cuore, depreca gli Arbasino e gli Eco che ne hanno malparlato. Poi cita il libro di don Milani che avrebbe preso il posto di Cuore: «Lettere a una professoressa di Barbiana di Lorenzo Milani». Avete letto bene: «Lettere a una professoressa di Barbiana di Lorenzo Milani». Serve altro?
    (Sì, serve altro: guardatelo, il video del mio ministro che spiega perché ha fatto il concorso a Reggio Calabria e non a Brescia)

  7. Riflessioni in ordine sparso, leggendo il bel pezzo di De Michele su carmilla e alcuni dei commenti sopra:
    (1) Cosa c’entra Don Milani con il sessantotto? Tutto e niente. Tutto in quanto il sessantotto segna una specie di uscita dalla minorità in una società che continuava a vivere in collegio, o in caserma. Niente, se pensiamo che le riforme scolastiche del ’68 furono introdotte a partire dalla “coda”, tendenza poi rimasta invariata in tutte le riforme susseguitesi. Niente, ancora, se pensiamo a quanto quelle riforme siano state strumentali alla presa del potere per una piccola minoranza interna al sessantotto (e interna alla borghesia). Uno degli ultimi saggi di Genna in “Assalto a un tempo devastato e vile 3.0” riporta ordine con una chiarezza esemplare.
    (2) La prima precisazione che De Michele compie nell’articolo è forse la più importante. Don Milani non è un fungo, il suo lavoro va letto assieme a quello dei molti che democratizzarono la scuola (quella di base, non il liceo classico) negli anni 60 e 70, il lavoro del GISCEL citato da De Michele, ma anche Mario Lodi, Danilo Dolci, Albino Bernardini… Fu un movimento ampio, non di massa ma nemmeno legato solo a casi isolati, che non era connesso alla parte più retriva della società se non nella misura in cui la combatteva. Non ‘aggiornamento’, ma trasformazione. La rivoluzione che pone l’allievo al centro dell’apprendimento è qualcosa di una modernità inaudita, qualcosa rispetto a cui la scuola (anche quella post-68ina, anche quella di tanti laureati col manifesto in tasca e nessuna capacità didattica) sembra tornata indietro di decenni. Di quel movimento educativo oggi rimane ben poco, appena qualche isola felice nella campagna, che però non è più una scuola di borgata ma una scuola di élite per i figli dei prof universitari de sinistra. Oggi il vero lusso non è il latino o la lettura del Pindemonte, ma il pensiero olistico.
    (3) Il problema che De Michele tocca nella seconda parte del suo intervento, quello dell’educazione linguistica, è forse il vero cuore della questione.
    E’ da manuale, a questo proposito, quanto espresso da Pasolini nella Lettera che lui rivolse ai ragazzi di Barbiana, quando dice, Attenti, ragazzi, a non rifiutare insieme alla lingua di classe la sua complessità. Ciò non toglie che le due analisi (quella pasolinana e quella di Barbiana) coincidano proprio in quanto cercano di difendere.
    In questo, tanto PPP quanto Don Milani sono stati sconfitti, perché quella lingua — portatrice di un’alterità e, potenzialmente di antagonismo — è stata sostituita dall’antilingua, non l’antilingua della tecnocrazia ma quella della televisione. Forse oggi occorre fare un lavoro diverso, un lavoro di cesello, trasformando gli spezzoni (per quanto orrendi e plastificati) di linguaggio posseduti dai nostri ragazzi afasici in ‘capacità funzionale’, anziché umiliarli con una lingua letteraria imposta dall’alto. Provare a rivitalizzare una lingua che è morta (e non è il latino).
    (4) Mezzi e modi: penso che il problema non sia tanto quello di “fare scuola” come faceva Don Milani, ma di richiamarsi ai suoi principi. MI dispiace, non si può accettare un discorso come “Don Milani era conservatore e reazionario quanto la società che attaccava.” Semplicemente Don Milani usava strumenti educativi nuovi, nati e generati in quel contesto. Noi dobbiamo trovare i nostri. Che non siano l’estensione del liceo classico a tutta la popolazione italiana, possibilmente.
    Mi scuso per la lunghezza.

  8. @ girolamo,
    prima di tutto, il video della Gelmini a Lecco è incredibile, agghiacciante! e la sicumera con cui dice “no, no, non c’è problema, rispondo a queste domande…”, e poi si sistema i capelli in favor di camera.
    L’editorialista… Santo cielo, io mica ho capito come funzionano ‘ste rubriche delle lettere! Gli danno il numero di battute e ci devono star dentro? Non gli danno il numero di battute ma poi impaginano e tagliano a caso le righe?
    Non lo so. Ma che filo logico segue l’argomentazione? Cosa c’entra il 68? cosa c’entra don Milani (ah, una cosa l’ho capita di come funzionano le rubriche delle lettere: nessuno controlla il testo)? Anzi no, scusate Lorenzo Milani.
    Vogliamo dire qualcosa sul riferimento alle origini ebraiche? Il noto editorialista non si lascia mai sfuggire questi riferimenti genealogici, ho notato… E poi, orrore! educazione laica (cioè?), pittura a Brera!!!
    ecc. ecc. Cosa può risultare da un tale mix? solo un messaggio “risolutamente classista, protestatario e anti-risorgimentale”.
    Dicevamo, ministro Gelmini? Ah, sì, il merito va premiato…

  9. guardando come il potere considera la cultura grazie a un nesso quasi invisibile mi ritrovo a pensare all’aneddoto raccontato da edward de bono nel pensiero laterale(che Camus possa perdonarmi per aver pescato qualcosa che sta tra la manualistica aziendale e le teorie motivazionali):
    uno studente,dopo avere ipotizzato che i ragni odano con le zampe,procede con la dimostrazione sperimentale della sua teoria.Addestra un ragno a saltare tutte le volte che grida “Salta”.quindi procede strappando ad una ad una le zampe al ragno che stringendo i denti in qualche maniera perfino con un unico arto riesce a improvvisare qualcosa che assomiglia a un balzo e poi,finito di amputare ciò che c’era da amputare grida nuovamente “Salta” e il ragno non salta più.Ecco che lo studente ritiene di aver così dimostrato che i ragno odono con le zampe

  10. Danae, ti ricordi com’è la copertina di Lettera a una professoressa, vero? È bianca, non c’è niente, a parte il titolo in verde e il nome degli autori. Non è possibile sbagliare il titolo, se solo lo si ha davanti. Ecco il punto: per un articoletto di un paio di cartelle lautamente pagato questo importante ex-ambasciatore non si prende neanche la briga di verificare: va a orecchio, neanche a memoria. E tu cerchi il filo logico?
    (per inciso: famiglia ebraica, vero, ma non religiosa; e se proprio vogliamo dirla tutta, il nonno era nientemeno che Edoardo Weiss, il padre della psicoanalisi italiana. Sarà più importante, per cogliere il retaggio familiare, questa informazione di quella delle “origini ebraiche”? Ma già, su Wikipedia italiana il nome del nonno di don Milani non c’è, e mica Sergio Romano ha tempo di andare su Wiki english…)

  11. @ girolamo,
    sì, potremmo anche fermarci qui: la linearità di quella copertina e la marchingegnosità di quella risposta…
    (sulle origini ebraiche, quanto hai ricordato non fa che sottolineare la assoluta pretestuosità della citazione del Nostro…citazioni che nei suoi testi non sono mai a caso, penso…)

  12. “Riconosco i suoi meriti (sic), ma temo che la sua lettura oggi contribuisca ad acuire il sentimento di sfiducia verso le istituzioni nazionali e a rendere la nostra crisi ancora più complicata”.
    Dunque se la sfiducia nelle nostre istituzioni aumenta e se la nostra crisi diventa più complicata la responsabilità è da ascriversi alla lettura di ‘Lettere a una professoressa di Barbiana’ di Lorenzo Milani. (che poi: ma chi lo legge, oggi, don Milani?)
    Scusate, ma nessun padre ha mai scritto in una lettera al figlio che, oltre che in strada per i passanti, il rispetto andrebbe osservato anche sui giornali per i lettori ?
    Così, per esempio: “L’ educazione di un popolo si giudica innanzi tutto dal contegno ch’ egli tiene sui quotidiani. Dove troverai sciatterie sui giornali troverai sciatterie nelle case”.
    Capisco la mancanza di editor, ma insomma mica poi tanto.
    Chissà che voto avrebbe messo ‘la professoressa di Barbiana’ a questo articolo. No, non me lo dite, lo immagino.

  13. Cuore non è affatto scomparso dalle antologie scolastiche, al contrario, proprio lì viene trattato al pari di altri classici della letteratura italiana, ciò che dimostra la disinformazione di Romano, che non si premura di procurarsi una qualsiasi antologia prima di sentienziare. Il rapido sondaggio l’avrà fatto fra qualche nipote che intento con l’ipod probabilmente non lo ascoltava neppure, come fa la maggior parte dei preadolescenti.

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