MALAVITA

Immagina. Immagina che ci sia il ponte di san Pietro e Paolo, a Roma, e tanti ne approfittino per un po’ di respiro. Sei andata anche tu a Ostia, con tuo figlio, quel 29 giugno, e la spiaggia era piena di romani acquisiti: le donne indiane che facevano il bagno con i camicioni, bambini cinesi allegrissimi, le ucraine che chiacchieravano fitto fitto accanto a te. Tuo figlio ha diciotto anni, ormai. Tua figlia, venti. Vent’anni fa, di questi tempi, te l’avevano appena restituita, dopo un mese nel reparto prematuri. Un mese di incubatrice, di  flebo, di monitor, di allarmi sonori che trillavano minacciosi. Immagina che al ritorno da questo ponte 2012 ci sia un medico che si stupisce perchè uno dei suoi prematuri, piccolo ma vitale, è morto improvvisamente. Immagina che vada a controllare la cartella, che comprenda che è stato commesso un errore fatale. Immagina che qualcuno gli dica di lasciar perdere, che si sa che i prematuri sono imprevedibili, e poi la madre è single e “non è italiana”, e allora. Immagina. Immagina che, come dice Adriano Sofri nell’articolo qui sotto, non sia l’errore a indignare, ma il silenzio. Immagina che quel medico lo abbia spezzato. Il resto, immagini ancora, è cronaca.
C’è una giovane donna, si chiama Jacqueline, è filippina, fa i lavori in una casa di Roma, mette al mondo un bambino che chiama Marcus. Marcus è prematuro, di sette mesi: non si corre pericolo a nascere di sette mesi, si diventerà presto più forti e vivaci.
Dall’ospedale di Ostia dov’è nato viene trasferito al romano San Giovanni, nella terapia intensiva neonatale. Il 27 giugno scorso avviene un errore micidiale: nelle vene del neonato viene iniettato il latte che servirebbe a nutrirlo per via enterale. Meno di due giorni dopo il piccolo muore. È il 29 giugno, la prima denuncia all’autorità giudiziaria viene inoltrata, pare, il 3 luglio dal direttore sanitario dell’ospedale. Il ritardo nella denuncia (negato dalla direzione sanitaria) si aggiunge al sospetto che ci sia stato un tentativo di coprire la realtà e le responsabilità dell’accaduto. Il magistrato che indaga blocca la cremazione del corpo di Marcus e procede per omicidio colposo nei confronti di sette medici e infermieri. Fin qui, per ora, questa terribile storia.
Terribile per il piccolo che ha perso una vita che niente avrebbe dovuto minacciare, e per sua madre. (Sul conto di lei si sono lette voci e illazioni arbitrarie, smentite e comunque insopportabili: che non desiderasse quel figlio, che volesse darlo in adozione e così via. Porcherie, danni collaterali di un modo di far la cronaca). In questa storia terribile l’errore trapassa nella disgrazia e la disgrazia nel crimine. L’errore è colossale e, come si dice, “inspiegabile”. Tuttavia gli errori, anche i più madornali, una volta che avvengano, diventano inesorabilmente spiegabili. Gesti ripetuti mille e mille volte fino a diventare automatici, stanchezze di turni e straordinari accumulate fino a rendere ottusi, distrazioni anche e abitudini che rendono coriacea la pelle e l’anima di chi ha che fare ogni giorno e ogni notte con la vita e la morte. Il diesel messo in un’auto a benzina la ferma e tutt’al più guasta un motore: è la differenza da un errore medico. Per caso, leggendo di questa tragedia romana, ho trovato il vecchio resoconto della morte di un neonato marocchino, fatto nascere col cesareo, anche lui prematuro di sette mesi, da una madre ventenne morta a Madrid, prima vittima in Spagna
della influenza A: tredici giorni dopo il piccolo, che non era stato contagiato, morì per l’errore di un’infermiera inesperta, al suo primo giorno nel reparto neonatale, che gli iniettò nel sangue il latte invece della soluzione lipidica. Quello che è successo ora a Roma. L’infermiera sarebbe stata condannata alla pena, lievissima, di sei mesi di carcere e un anno e mezzo di interdizione dalla professione: del resto era stata punita ben altrimenti dalla sua coscienza. La giudice definì il suo operato «negligencia y inexcusable descuido». Non vi fu in quella circostanza alcun tentativo di coprire o manipolare l’accaduto. Dunque gli errori, anche gli enormi come questo, possono succedere e ripetersi. Ed è un fatto che l’attenzione e la vigilanza nei confronti degli errori medici ha preso un peso crescente e perfino esuberante nelle nostre società, imparentandosi singolarmente con quel sentimento, quel risentimento, che va sotto il nome di antipolitica, e che è una rivolta insieme preziosa e irragionevole alle competenze, alla loro esigenza di autorevolezzae alla loro pretesa baronale. Uno dei risultati è già la diserzione dai mestieri clinici più esposti e arrischiati da parte di aspiranti medici e infermieri che preferiscono il quieto vivere, e una complementare invadenza, anche in questo campo, della autorità penale.
Gli errori medici avvengono, e quando avvengano per colpa e non per dolo – e possono comunque procurare sventure atroci – dovrebbero essere guardati con compassione e rispetto per le persone e il loro lavoro, e con il proposito di correggere le circostanze che favoriscono la disgrazia. Colorare diversamente dei flaconi o dei tubicini, per esempio, o assegnare loro armadietti e cassetti diversi, per dir la cosa terra terra.
Quattro anni fa a Careggi furono trapiantati su tre pazienti (poi risarciti e soprattutto oggi vivi) organi di una giovane donna morta e risultata positiva al virus Hiv, perché un biologo aveva trascritto “negativo” invece che “positivo”: errore impensabile e insieme banalissimo. Il caso romano, se fossero confermate le preoccupazioni sull’intenzione di occultare l’accaduto – e la cautela non è mai troppa – sarebbe un’altra cosa. Perché l’errore umano e la disgrazia sono fratello e sorella: ma quando la disgrazia avviene e spaventa e mortifica e viene sentita irreparabile, e si accetta con se stessi di metterle riparo mascherando e falsificando, si compie un passo davvero irreparabile. Chi abbia la terribile responsabilità della morte
del piccolo Marcus e del dolore di sua madre ha ancora la possibilità di piangerli e di compiangere se stesso. Una volta che abbia cambiato le carte in tavola, non più.
Ieri ancora ho trovato il resoconto di un altro episodio, che non intendo paragonare a nessuno di quelli di cui ho finora parlato: al contrario. È un episodio avvenuto all’ospedale campano di Boscotrecase. Lì, nel 2010, una neonata morì per errori commessi durante il parto. Dopo la denuncia dei genitori, un medico fornì la registrazione delle conversioni avvenute fra medici e infermieri. «Vedete di apparare questa cartella nel migliore dei modi… Vediamo di metterla a posto ora che si può fare, domani potrebbero sequestrarla…». I
medici inclusero un falso tracciato, uno disse – e parlava della bambina: «… quella puttana non si è voluta riprendere e noi lo abbiamo preso in culo». «La cosa terribile – avrebbe commentato la madre della bambina – è che questi signori, anziché ammettere i loro errori hanno cercato di tirarsi fuori da questa storia strappando la cartella e facendone una nuova. Fino a che non è spuntata quella registrazione era la mia parola contro la loro». Ecco, anche questo può succedere. L’ho ricordato per annotare che anche le cronache di questo episodio andarono sui giornali sotto il titolo di “Malasanità”. La malasanità non c’entrava niente: era malavita.

2 pensieri su “MALAVITA

  1. Omicidio colposo, imperizia e negligenza, per il caso romano, e non so se le attenuanti possono essere cercate nelle carenze di organico etc. dell’ospedale, il fatto rimane tale. Per il caso campano, spero che i malavitosi siano stati condannati che la pena la stiano scontando.

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