MERCATI

Resto in ambito editoriale, mentre nei commenti al post di ieri continua la discussione. Mi piacerebbe, peraltro, conoscere in proposito il parere di altri scrittori, TQ inclusi: perché quel che sembra, dall’evoluzione dei commenti, è che davvero l’editoriale stia facendo un passo indietro. Sia, per meglio dire, costretto a farlo. Ora, non sono così cretina  da immaginare un mondo editoriale che faccia a meno delle regole del mercato. Però bisogna intendersi su quali sono le regole, chi le fissa e quanto senso hanno in un quadro generale che ha visto e vede ripetuti fallimenti di un certo modo di concepire l’economia medesima.
Due esempi. Affaritaliani parla della nuova collana di narrativa a basso prezzo di Mondadori, che segue di pochi mesi la politica “low cost” lanciata da Newton Compton (e dimostratasi, almeno nel breve periodo, pagante, dal momento che diversi volumi della medesima sono andati e sono rimasti in classifica). Basta abbassare il prezzo dei libri per conquistare nuovi lettori? Non lo so, così come non sono sicura che basti la politica della decrescita felice e della diminuzione dei titoli: non a questo punto, almeno.
Non se si continua a equivocare su quanto accennavo nel post di ieri: il punto debole italiano è nella narrativa popolare. Quella che non solo potrebbe vendere cifre accettabili (mai quanto un libro di cucina, intendiamoci) ma che ha una funzione culturale a cui non si può abdicare  se si fa questo mestiere: perchè si rivolge ai lettori più giovani.  Attenzione: non deve essere pedagogica, non deve edificarne gli animi. Deve essere buona narrativa, però: altrimenti quelli che cresceranno saranno lettori disillusi o addirittura risentiti.  Nella mia ignoranza, penso che questa potrebbe essere addirittura una strada pagante. Ma penso anche che non verrà seguita, o almeno non subito.
Faccio un esempio, che risale a qualche tempo fa. Mi sono ripromessa da tempo di postare l’intervista di Antonio Gnoli ad Andrea Cane, uscita il 15 ottobre. Questa, credo, è l’occasione giusta. Eccola:
I SEGRETI DI SEGRATE
Andrea Cane – editor della saggistica della più grande casa editrice italiana – è stato licenziato. Il fatto si è consumato poco più di un mese fa. I giornali, compreso Le Monde, hanno dato ampio risalto alla vicenda. C’è stata, a favore di Cane, la solidarietà di alcuni scrittori (tra questi Citati, Fruttero, Augias, Mancuso) e la replica di Riccardo Cavallero, direttore generale della sezione libri della Mondadori (entrambe le lettere sono state pubblicate da Repubblica in data 8 e 9 settembre).
Raggiungo telefonicamente Andrea Cane, dopo un lungo e comprensibile silenzio ha deciso di darci la sua versione dei fatti.
Immagino che ci sia una lettera del suo licenziamento. A quando risale?
“La data formale della mia uscita dalla Mondadori è il 2 settembre. Con uno stile molto americano, mi è stata consegnata a mano una lettera nella quale in buona sostanza si dice che a fronte della riorganizzazione è stata soppressa la posizione da me ricoperta fino a quel momento “.
Era una decisione che si aspettava?

«Non nei termini in cui è avvenuta. Anche se nel passaggio delle consegne da Gian Arturo Ferrari, uscito per limiti di età nel 2009, a Riccardo Cavallero, subentrato nel 2010, gli uomini che lavoravano nella vecchia gestione sono stati messi in difficoltà”.
Vuole dire che il cambio di direzione ha portato a una sua emarginazione?
«Progressiva, anche se tale sensazione si scontrava con il fatto che comunque continuavo a pubblicare una quantità di autori non indifferente per numero e peso».
Ma questa percezione di essere messo da parte aveva un fondamento?
«Il messaggio più eloquente l’ ho ricevuto nel marzo di quest’ anno, dopo l’ arrivo di Laura Donnini (ex amministratore delegato di Piemme, dove ha ottenuto ottimi risultati, n. d. r.) che ha preso il posto di Massimo Turchetta. Lei non ha ritenuto di dover parlare direttamente con me. Non c’ è nessuna lesa maestà, questo è ovvio, ma con 25 anni di carriera avrei probabilmente potuto darle alcune valutazioni storiche sulla Mondadori».
A quel punto lei cosa ha fatto?
«Sono andato avanti nel mio lavoro, seguendo i libri in programmazione: da Michela Marzano, cheè un’ autrice che ho preso alcuni anni fa a Walter Isaacson, autore della biografia di Steve Jobs».
Lei accennava all’ uscita di Ferrari. Ritiene che con l’ arrivo di Cavallero la casa editrice ne abbia sofferto?
«È sempre difficile fare valutazioni a caldo. Ma ero in questi giorni alla Buchmesse di Francoforte dove agenti e autori mi chiedevano che cosa stava accadendo in Mondadori. Con sorpresa rilevavano che per alcune settimane la prima casa editrice italiana è stata assente nella classifica dei libri più venduti. Possono esserci due letture del fenomeno. Quella più benevola parla di una crisi di crescita dovuta al necessario cambiamento».
E l’ altra interpretazione?
«Che siamo di fronte a un management che sta rischiando di rompere un meccanismo molto delicato, senza rendersi troppo conto che l’ editoria non è un’ industria come tutte le altre. Se fosse vera questa lettura ci troveremmo davanti non a una nuova dimensione editoriale ma a un banalissimo caso in cui un elefante passeggia in una cristalleria. O, per dirla con le parole di un mio vecchio amico napoletano, come mettere “a fess’ ‘ n man ‘ e criature”».
Ammetterà che sono valutazioni che andranno tutte verificate.
«Non c’ è dubbio. Però ho visto in questi mesi molti sopraccigli alzarsi. Le racconto un episodio che non vuole essere un pettegolezzo. Con la cadenza mensile si svolgono in casa editrice delle riunioni in cui il gruppo operativo racconta ciò che ha visto e fatto. In una delle ultime, una consulente editoriale per la letteratura tedesca, parla di un romanzo e, a un certo punto, dice che le fa pensare a I Buddenbrook. A quel punto, Laura Donnini, con l’ aria di una che non si fa impressionare esclama: e chi sarebbero questi Buddenbrook? Non li conosco. Lo ha detto davanti a trenta persone, tra cui Renata Colorni che ha da poco tradotto La montagna magica di Thomas Mann».
Sembra impossibile. Poteva essere una boutade, Laura Donnini ha una grande esperienza nell’ editoria.
«Poteva. Io non mi scandalizzo che abbia preso il posto di Turchetta. Fa parte dei normali avvicendamenti. Mi chiedo, però, che genere di leadership questa persona, che svolge il ruolo di direttore generale, può esercitare sulla casa editrice».
Cavallero commenterebbe: solo il tempo potrà dirlo. Nella lettera a Repubblica ha parlato di sfide nuove.
«Può darsi che abbia ragione e che effettivamente l’ editoria sia in mezzo al guado della trasformazione. Ma nei diciotto mesi della sua direzione non ho visto grandi risultati. Certo, non è un tempo lunghissimo, ma sufficiente per capire che genere di impulso la nuova gestione è in grado di dare».
E dell’ arrivo dei libri di politici come Alfano e Lupi, o di consulenti come Bondi, lei sapeva?
«Ne sono stato tenuto fuori. Ma non mi metto a fare l’ anima bella. Ogni editore si può trovare in condizione di dover restituire dei favori. Può accadere che la cosa prenda dimensione e risvolti infinitamente più grandie preoccupanti. Da grande direttore, quale è stato, Ferrari sapeva bilanciare certa zavorra ideologica, salvaguardando la professionalità editoriale e la credibilità della casa editrice».
Lei quando ha cominciato a interessarsi di editoria?
«Ho iniziato nel 1974-75 facendo i primi lavoretti editoriali per l’ Einaudi. Ero da poco laureato in letteratura inglese. Ho fatto variee importanti traduzioni. Sono approdato prima in Rizzoli e poi in Mondadori. Dopo una decina di anni sono ritornato alla Rizzoli e poi nuovamente alla Mondadori».
Si rimprovera qualcosa?
«Tutto può essere fatto meglio. Mi consola pensare alle belle parole spese per me dal Nobel Amartya Sen con Le Monde. Ho anche dei buoni amici come Barrow, Rifkin, Schama che sono rimasti stupiti dalla mia uscita».
Che cosa le dà più fastidio di questa vicenda?
«Non parlerei di fastidio ma di un senso di tristezza. A Francoforte mi è capitato di incontrare John Brockman, uno dei più grandi agenti di saggistica scientifica, che mi ha fatto vedere i tre libri più importanti della stagione e mi ha detto: Andrea, sono i tuoi libri, sono gli autori che hai preso».
Quali?
«Il nuovo libro di Richard Dawkins, quello di Steven Pinker e poi Daniel Kahneman, Nobel dell’ economia. Ecco, non poterli seguire mi provoca tristezza».
Ritiene comunque conclusa la sua vicenda?
«Per quanto concerne gli aspetti tecnici è nelle mani degli avvocati. Per il resto sto valutando delle offerte».
Cosa l’ ha stupita più di tutto?
«La mia uscita dalla Mondadori non ha precedenti nella storia della casa editrice. Il che potrebbe far pensare, a chi guardasse questa scena dall’ esterno, che ci possano essere state diverse ragioni».
Pensa a una motivazione politica?
«Su questo credo che abbia ragione Pietro Citati: è una questione di potere interno. La vicenda politica è concomitante e parallela. Non entra direttamente, ma accompagna tutta la vicenda».

4 pensieri su “MERCATI

  1. Lo stile della lettera consegnata a Cane e la motivazione utilizzata (soppressione della posizione) non sono poi tanto americani. Non è che il sig Cane aveva un contratto da dirigente nella sua azienda? beh, se si, non facciamo le anime belle: si tratta di un modo per quantificare al ribasso (12 mesi di retribuzione e contributi, anzichè un numero di mesilità più elevato) la cifra da corrispondere ad un dirigente in uscita dall’ azienda. Di americano, per fortuna del sig Cane, non c’è proprio nulla (se no la cifra sarebbe stata più bassa. Circa lo stile … non saprei che dire). Il sig Cane e la Mondadori si saranno poi messi d’accordo su una cifra transattiva diversa? questo non lo sappiamo (anche qui, lo stile …)
    Questo il “lato tecnico” della faccenda. Ordinaria amministrazione, nel “paludato” mondo dei dirigenti aziendali italiani, sotto questo aspetto.
    Circa la scelta, di rado chi viene licenziato condivide la motivazione del suo licenziamento.
    Circa le scelte editoriali della Mondadori, invece, vale tutto quello che ciascuno di noi può pensare (e anche io penso, eccome).
    Ma, almeno, quando si tratta di cifre di “buona-uscita” mi pare inutile appellarsi allo stile.

  2. ho solo dato un’occhiata all’articolo di affari italiani sui prezzi dei libri. ma a un certo punto si dice MA SCRITTORI E AGENTI GUADAGNERANNO MENO? Vorrei fare presente che l’editoria italiana pullula di precari, stagisti e personale sottopagato. Che in queste discussioni viene puntualmente dimenticato. Ho come l’impressione che, alla fine, non solo scrittori e agenti guadagneranno meno, ma editor, revisori, redattori… guadagneranno ancora meno di scrittori e agenti.
    tanto per fare un esempio peregrino: i giornali su Internet sono pieni di refusi. Non vorrei che la stessa sorte toccasse anche gli e-book, se condiderati libri di serie B.

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