L'EBOOK E LA SERIE A

Qualche giorno fa, dando conto del cambio di gestione e di linea editoriale di Gargoyle, avevo sottolineato un passaggio che mi aveva dato da pensare: l’affermazione che prevedeva per gli autori italiani (alcuni? molti?) l’uscita esclusivamente in eBook.
Passo indietro: Francoforte. In occasione della Buchmesse Riccardo Cavallero, direttore generale Libri Trade di Mondadori, attacca gli agenti in quanto “conservatori” nei confronti dell’eBook medesimo: “non si può avere paura dei prezzi o della cannibalizzazione, altrimenti non ci lanceremo mai nell’editoria digitale”, dichiara al Corriere della Sera. Gli risponde un editore, Stefano Mauri (Gems)”Gli agenti giustamente cercano di tutelare i propri autori se sono dei professionisti (mi preme sottolineare che stiamo parlando della serie A, quella che vive di questo mestiere e non degli ultimi arrivati, con tutto il rispetto)”.
Ora, in tutela della serie B, C, D e Z era sceso qualche giorno fa Scott Turow, che pure appartiene alla fascia AA, sottolineando la slealtà di una situazione dove gli editori considerano gli eBook semplicemente come un luogo dove il rischio è minimo e dunque è possibile fare, o quasi, quel che si desidera. Poche royalties, considerazione dell’autore ai minimi.
In Italia, non stiamo molto meglio. Dopo l’annuncio della piccola Gargoyle, la decisione della ben più grande Mondadori: se volete, una piccolezza nelle problematiche che agitano il mercato editoriale, ma potrebbe assumere rilevanza ben maggiore e costituire un precedente. Di GL D’Andrea, che il commentarium già conosce, Mondadori ragazzi aveva mandato in stampa due volumi di una trilogia, Wunderkind (inizialmente concepita come storia unica ma suddivisa in tre parti, non per volontà dell’autore). Fra pochi giorni esce il capitolo conclusivo della saga, peraltro tradotta  in una decina di paesi: esclusivamente in eBook. La protesta dei lettori, in rete, è stata immediata: non è corretto, dicono, cambiare supporto per evitare il rischio, a spese di chi ha seguito su cartaceo gli episodi precedenti.
In effetti, non lo è. E rafforza il sospetto, già enunciato qualche giorno fa, che il digitale venga considerato, in Italia, non come luogo dove investire ma come luogo da cui guadagnare col minimo sforzo, almeno nell’immediato.  Ora, questo è un punto su cui gli autori tutti, conservatori o meno, dovrebbero riflettere molto: perchè quella che è indubbiamente una grande opportunità potrebbe essere usata non certo a loro vantaggio.
Ps.  Per inciso, di ritorno da una magnifica due-giorni a Umbria Libri:  ho avuto il piacere di essere in compagnia di scrittrici a cui voglio bene e a cui mi sento affine, come, per citarne due, Michela Murgia e Chiara Palazzolo. La prima si batte non da oggi perchè gli autori trovino intenti comuni, la seconda ha sottolineato come il punto debole italiano stia proprio nella narrativa popolare, soprattutto quella che si rivolge ai giovani lettori. Settore in cui, tanto per ampliare l’argomento, mi sembra che sia soprattutto l’ufficio marketing a prendere decisioni, secondo il principio che tutti possono scrivere tutto, e che gli stessi autori possano passare dai Tokio Hotel agli angeli innamorati, dal giallo al paranormal romance, a seconda di cosa “tira” di più. Eppure, le pagine lette nella preadolescenza e adolescenza, sono quelle che aprono al mondo della lettura. Magari, occorrebbe tenerlo presente, qualche volta.

86 pensieri su “L'EBOOK E LA SERIE A

  1. @Bernardo
    Vuol dire che è esageratamente alto. Su un libro elettronico l’editore non ha costi di carta, inchiostro, rilegatura, trasporto, librai, giacenze di magazzino, resi. In più se vende il suo prodotto digitale direttamente dal suo sito ha la possibilità di abbattere ulteriormente i costi di un altro 30-35%. In sostanza potrebbe essere tutto guadagno (a parte le tasse) da spartire con l’autore. I costi sostenuti sono solo quelli di avvio, one shot. Per usare una categoria propria del versante cartaceo, un ebook non andrà mai fuori stampa e, teoricamente, potrebbe continuare a produrre entrate fino alla fine dei tempi :-). Naturalmente, la distribuzione è istantaneamente “globale” nella stessa misura in cui è diffusa internet. Tutti vantaggi. L’immagine che invece si cerca di far passare è quella di una sorta di parente povero del libro “vero”, che l’editore, nella sua magnanimità, elargisce “addirittura” alla metà del prezzo di copertina. Mantenendo però la stessa percentuale di royalties spettanti all’ autore (intorno al 9-10%) del libro di carta. Ecco cosa è grottesco.

  2. Scrive Vale:
    mi state dicendo che un colosso come Mondadori, un’entità talmente grande e ricca da avere più del 27% del mercato editoriale italiano, non ha i mezzi per stampare quelle due o tremila copie per soddisfare i lettori che come me hanno già i primi due volumi di Wunderkind?
    E’ esattamente quel che mi chiedo anch’io. Se la tiratura iniziale si mostra troppo alta rispetto al venduto , perché mai un grandissimo editore come Mondadori non deve tener fede all’impegno preso (soprattutto con i lettori che hanno comprato i primi due libri!) e completare la pubblicazione della trilogia?
    Ricordiamoci che non stiamo parlando, come giustamente ricorda Vale, di un piccolo editore che deve centellinare le spese ma di Mondadori. Che peraltro possiede una delle più grandi catene librarie italiane (sono anche loro librai, no?), e quindi può anche permettersi di stampare e distribuire qualche migliaio di copie di un libro.
    Non nascondiamoci quindi dietro un dito: qua non sono i soldi che mancano, ma l’anima.

  3. Chiaramente anche io non ho nulla contro gli e-reader…ne ho uno nuovo di zecca sul quale ho recentemente scaricato La casa del tempo sospeso (altrimenti chi lo tiene in mano un libro di 800 pagine?).
    Il punto in effetti non è che Mondadori è il male o che l’e-reader è il male.
    Il punto è che i lettori si sentono un tantino presi per i fondelli.
    Le spiegazioni di Dazieri o di chiunque avranno senz’altro senso da un punto di vista economico per Mondadori, ma per noi che abbiamo investito non solo il nostro tempo ma anche il nostro denaro in 2 volumi di Wunderkind e ora ci ritroviamo con un bel buco in libreria non ci sono spiegazioni sensate nè dal punto di vista economico nè dal punto di vista etico. Ci scuseranno i signori Mondadori se siamo così egoisti. E ora mi chiedo: accadrà ancora? Probabilmente sì. E alla fine sono semrpe più convinta di comprare saghe solo ed esclusivamente in volumi unici o a pubblicazione completata.

  4. Logica conclusione la tua, giulia.
    Su cui gli editori dovrebbero riflettere – ma davvero fa bene (anche economicamente) rompere il patto (d’onore e fiducia) con i lettori , soprattutto giovanissimi, vale a dire i probabili lettori forti di domani?

  5. “Nel caso di G.L., purtroppo, questo avrebbe garantito solo una tiratura poco più che simbolica, e questo non aveva senso.”
    Perché non avrebbe avuto senso? Tiratura simbolica, spesa simbolica. Niente distribuzione, solo vendita online per chi vuole completare la serie. Non mi sembra “impraticabile”, come è stato risposto alle mail di protesta; mi sembra piuttosto una scelta. Logico che i clienti se ne risentano. E non solo quelli che hanno acquistato W1 e W2, ma tutti i lettori Mondadori, perché il giochino si potrebbe ripetere, a sorpresa, su qualunque altro titolo.
    L’editoria segue le regole del capitale, e va bene così, ma non sforna un prodotto esattamente uguale ad altri. Un libro non è una pentola.
    E anche se fosse uguale alla pentola, c’è altro da tenere in considerazione. Quando affitti un’auto e vai a ritirarla, se non ce n’è disponibile una del segmento scelto te ne viene assegnata una superiore, non inferiore. Se, per una mancanza dell’imprenditore, il cliente non può avere quello per cui ha pagato, gli si regala qualcosa in più, non gli si toglie qualcosa. Quel cliente tornerà, e parlerà bene dell’autonoleggio. Se nell’immediato c’è una perdita, il recupero è garantito. Il capitalismo furbo non è solo i conti della serva.
    E rispetto all’estero, dove il W3 uscirà su carta, che figura ci facciamo?
    Cliente contento e reputazione da difendere sono patrimonio aziendale tanto quanto, e forse più, di pentole o libri.
    Credo che anche questo faccia parte delle regole del gioco quando si accetta di scendere in campo.

  6. Infatti, il paragone che fai con il concessionario fa pensare che i giovani adulti italiani non siano considerati da molti editori dei clienti normali, di cui conquistare fiducia e rispetto, per crearsi dei lettori forti: sono secondo me considerati come una foresta vergine, ricca e fertile da sfruttare senza remore, mordi e fuggi, anche bruciandosene una fetta con proposte di bassa qualità o comportamenti poco rispettosi.

  7. Concordo con tutti quanti sostengono non si possa cambiare formato in corso d’opera. Però non è vero che a una tiratura simbolica corrisponda una spesa simbolica: è il contrario – più copie si stampano più scendono i costi. Questo non giustifica in alcun modo lo scorrettissimo comportamento dell’editore e le altre considerazione espresse da altri commentatori e commentatrici.

  8. Io ho lanciato una provocazione alla Mondadori, che ovviamente rimarrà tale. Visto che “Ci spiace ovviamente per il disagio dei lettori della serie ma in realtà già la pubblicazione in e-book per noi è un tentativo di andare incontro alle loro esigenze”, perché non mi mostrano le stesso rispetto e lo stesso andare incontro alle mie esigenze permettendomi di rimandargli indietro i 2 volumi (dei quali me ne faccio nulla senza il 3°), rimborsandomi la spesa? L’editoria è l’unico settore dove non vi è, per il cliente, la clausola “soddisfatti o rimborsati”: gli editori possono trattare noi clienti come vogliono, interrompendo qua e là le serie a loro piacimento, e noi non possiamo fare altro che stare zitti e subire le conseguenze delle loro decisioni aziendali…

  9. @ Barbara: Vero, più copie si stampano e meno si pagano. Ho lavorato in una casa editrice, lillipuziana in confronto a Mondadori, ma pur sempre una casa editrice. Un po’ so come funziona. Quel che costa è la messa in moto delle rotative, bisogna sfornare un certo numero di copie per giustificare l’operazione. Tant’è che spesso, per tirature molto basse, conviene stampare in digitale. Però il quantitativo utile è affrontabile. Non so esattamente quanto, dipende dalla macchina, ma sparo un numero: 300.
    Mettiamo che Mondadori abbia rotative ciclopiche, che con queste cifre non ci stanno. Ci si può rivolgere a una tipografia più piccola. Oppure non lo distribuisce, lo si vende solo on-line. Mondadori ha una distribuzione propria, che incide meno rispetto a case editrici con distribuzione esterna, ma gli spazi di manovra ci sarebbero comunque.
    Magari non ci si guadagna, si va a pareggio, ma si accontentano i lettori dei primi due volumi.

  10. Mi domando anche un’altra cosa: hanno pensato in Mondadori quanto questa decisione peserà sulle prossime saghe che pubblicheranno?
    Immagina il lettore medio YA in libreria.
    “Uh, fighissima questa nuova saga. Un elfo 14enne che si fa le canne a scuola. Lo scoprono, e Pa’ elfo gli toglie il motorino. Lui si allena di nascosto e arriverà a correre in Moto GP di Boscolandia. Lo prendo! ‘spetta, chi è l’editore? Mondadori? Chi, quella che lascia le serie a 2/3? No, va’, lo prendo poi quando sono usciti tutti.”
    Da quando i signori di Mondadori non entrano in una libreria, non ascoltano i discorsi della gente? Queste cose già si sentono, se si continua a trattare così i clienti si sentiranno sempre di più in futuro.
    E questo mancato guadagno non andrebbe messo nel conto quando si decide d’interrompere la pubblicazione di una serie?
    È già stato fatto, e non solo da Mondadori, e non solo in Italia, dice Dazieri. Vero, ma che ci siano precedenti dà licenza di rifarlo? Dovessero beccarmi a rubare una mela, mi difenderò dicendo che è già stato fatto, fin dal paradiso terrestre. Chissà, magari trovo un giudice comprensivo.

  11. […] per noi che abbiamo investito non solo il nostro tempo ma anche il nostro denaro in 2 volumi di Wunderkind e ora ci ritroviamo con un bel buco in libreria non ci sono spiegazioni sensate nè dal punto di vista economico nè dal punto di vista etico. Ci scuseranno i signori Mondadori se siamo così egoisti. […]
    Da subito questa è l’obiezione che mi ha colpito di più. Capisco criticare la sola pubblicazione in ebook perchè buona parte dei lettori (ancora) non hanno un reader e sono implicitamente tagliati fuori o obbligati a comprarlo. Ma se la critica riguarda il formato ammetto che mi lascia fredda. Conta tanto? E’ questione di estetica, di collezionismo?
    Sulla mia libreria ho alcune saghe in edizioni diverse, quando non in lingue diverse, e mi domando se non sia più comune di quanto non si pensi.

  12. @ Chiara: Un conto è se è una scelta, tutt’altro paio di maniche è essere costretti. Liberissimi, tutti, di optare per il primo volume cartonato, il secondo in brossura, il terzo in lingua originale, il quarto in tascabile. E gli altri? S’attaccano. Però esistono anche loro: esteti, collezionisti, pignoli, precisini, maniaci dell’ordine. Proprio perché, come si diceva poco sopra, un libro non è una pentola.
    Nei fumetti è risaputo, si arriva a punte di feticismo difficilmente comprensibili. Prova a dire a uno cui manca il n° 11 di Dylan Dog: còmprati una ristampa.
    Non è l’obiezione più forte tra quelle presentate, ma c’è anche questa da mettere nel mucchio. Perché no?
    Altra obiezione di scarso peso, solo per il gusto di aggiungerne un’altra: quando ti stufi di avere un libro sulle tue mensole, puoi decidere di rivenderlo. Un e-book no, almeno in teoria.

  13. Chiara: sì, conta tanto. Certo, c’è la questione di estetica come la chiami tu o di collezionismo.
    Ma fondamentalmente è una questione di rispetto. Per il lettore, per il suo tempo, per la sua fiducia e per i suoi soldi.
    Capisco che la cosa possa lasciare fredda te, ma non si può certo pensare che possa lasciare freddi tutti quanti.

  14. Pardon se torno sulla discussione. Quello che è successo a D’Andrea è sicuramente una bruttissima cosa, ma se le parole di Dazieri sono veritiere, emerge il ritratto di un GL poco disposto ai compromessi (ritratto confermato dal suo blog, ormai chiuso). Adesso, capisco il voler fare “l’anti-marketing”, il duro e puro, ma qui ha rifiutato persino lo “strillo” di un’autrice sulla copertina del secondo libro. Perché, mi chiedo?

  15. Il Genio: mi pare di capire che uno dei problemi del Wunderkind fu proprio l’errata collocazione ( scaffali per ragazzi e bambini), immagino che mettere in copertina lo strillo di un’autrice per ragazzi sarebbe stato ancor più fuorviante.
    Almeno questa è la mia interpretazione.

  16. Il Genio: e poi la chiudiamo con i pareri dati a pera sulla base del buon carattere dello scrittore, che è vagamente disgustosa come affermazione. Non si capisce perchè occorra giudicare dalla personalità di chi scrive un testo e non dalle regole contrattuali e professionali e dalle scelte che un editore fa. Anzi, lo capisco: perchè è, evidentemente, più comodo. Ribadisco che la vicenda Wunderkind non si esaurisce in sè ma potenzialmente riguarda tutti, anche gli attuali e allegrissimi gaudenti sulle altrui disavventure.

  17. Esatto Loredana. L’affair Wunderkind è solo un sintomo di quanto sta avvenendo nell’editoria italiana, nell’ambito del fantastico ma non solo.
    Ovviamente il temperamento di uno scrittore non ha nulla a che vedere con tali vicende editoriali, e risulta quasi “comico” tirarlo in ballo in questa sede.
    Al di là del caso specifico, comunque, mi preme sottolineare quanto ho già detto in Umbria, vale a dire che i romanzi di genere fantastico costituiscono spesso la porta d’ingresso alla lettura per i giovanissimi, e quindi uno dei settori nevralgici nella costruzione dei lettori forti di domani.
    Non è quindi responsabilità da poco pubblicarli, e “come” pubblicarli, soprattutto tenendo fede – e qui mi ripeto – a quel patto d’onore che lega o dovrebbe legare l’imprenditore/editore ai suoi clienti/lettori.

  18. C’è un vantaggio?
    Forse da questa triste vicenda, perchè per me altro termine non c’è, si può desumere che al momento del rapporto con la stesura contrattuale certe cose siano esplicitate e vincolate in maniera più incisiva? La scorrettezza dopo tutto non è un interruttore, prevede delle gradualità e diversi gradi sono di quelli che approfittano di una zona d’ombra – una cosa peraltro molto italiana ecco. Poi mi direte che invece no, ti trombano lo stesso….

  19. @Il Genio: occorrerebbe sapere in primis quante copie sono state pubblicate, quante vendute e vedere di conseguenza il numero dei resi. Perchè se a esempio un libro vende centomila copie e ne sono state stampate un milione, non è lo scrittore che non è valido, ma un errore di valutazione dell’editore.
    Sulla questione dei compromessi, forse è giunto il tempo di dire basta, se ne sono fatti troppi e i risultati si vede dove sono hanno portato. G.L. è rimasto fedele a quello in cui credeva e questo gli rende merito: non credo proprio che la mancanza della frase di una scrittrice affermata sulla copertina possa aver influito sulle vendite, anzi mi sembra un arrampicarsi sugli specchi.
    Non c’è piuttosto da riflettere su come viene inteso in Italia il fantastico, dato che viene visto come qualcosa di superficiale, per adolescenti, per qualcosa di poco impegnato, per non pensare, e non come all’estero come qualcosa di maturo, come fanno autori come Murakami, solo per citarne uno?

  20. “non credo proprio che la mancanza della frase di una scrittrice affermata sulla copertina possa aver influito sulle vendite, anzi mi sembra un arrampicarsi sugli specchi.”
    Non si potrebbe semplicemente propendere per la spiegazione più semplice, ossia che il libro NON è piaciuto? Non è piaciuto, Mondadori no ci ha guadagnato, non continua a stampare.
    Io ho provato a leggere W1 e l’ho abbandonato perché, tra le altre cose, mi sembrava che lo scrittore mi considerasse una ritardata a cui bisogna spiegare le stesse cose cinque volte e capirete che non è stato piacevole.
    Tra l’altro, mi verrebbe da dire a Dazieri: non ve l’hanno pubblicizzato? Hanno fatto bene. Forse si sono accorti che gli stavate contando un sacco di balle. “il nostro Barker e il nostro Gaiman”… da lettrice di Gaiman mi sento offesa a vedere GL (che tra l’altro definì Gaiman “sopravvalutato” -…-) messo sullo stesso piano dell’autore di Sandman e Nessun Dove. GL non mi ha suscitato neppure un brivido, solo irritazione. E dovrebbe essere l’erede italiano di quello che mi ha inquietata con una storia per bambini come Coraline? Grasse risate.
    E un’altra cosa mi lascia perplessa. Se il fosse come dice qualcuno, che il fallimento del W sia stato causato solo dalla scarsa pubblicità, vuol dire ammettere implicitamente che l’opera, senza un lancio in stragrande stile (si veda quello de “I regni di Nashira”, con un centinaio di copie in una sola libraria) non va, da sola non cammina. E se non va vuol dire che, magari eh, non era poi la meraviglia tanto millantata. Ricordo che Harry Potter, quali che siano pregi/difetti e tutto, è stato pubblicato da una casa allora minuscola e che tutta la sua fortuna è venuta dall’apprezzamento spontaneo e non pilotato dei lettori. Qualche cosa vorrà pur dire.

  21. Il discorso non verte sui gusti, ma sui numeri: se Mondadori ha sbagliato a valutare i numeri, non ne ha colpa l’autore. Se il primo volume di W ha venduto diverse migliaia di copie, ma l’editore se ne aspettava diverse decine di migliaia, cosa si deve dedurre, che il libro non è valido? C’è a chi piace e a chi non piace, ma non è certo l’autore che si è paragonato a Gaiman o a Barker, quanto un modo di fare pubblicità che si basa su presupposti sbagliati qual è fare paragoni.
    Se Mondadori metterà in chiaro i numeri, dopo si potrà parlare se ha fatto la scelta giusta o meno o se si tratta di mettere da parte chi critica il sistema (e visto chi è il proprietario e la carica che ha ricoperto finora non ci sarebbe da meravigliarsene); fino a quando questo non verrà è come fare politica attualmente: tante parole per dire niente.

  22. Scusate, un ultimo commento. Si parla di rapporto corretto con i lettori senza considerare che queste cose, cioé serie di libri interrotte in corsa, si sono sempre fatte. Soprattutto con i libri per ragazzi, dalla Mondadori (Susan Cooper) ma non solo (Salani con Philippa Pierce). La differenza é che adesso vanno in ebook, 2 anni fa sarebbero semplicemente state interrotte

  23. Ma a questo punto, cosa passa per la testa dell’editore che si aspetta così tanto da un esordiente? Mi pare una mozza quanto meno azzardata. Meglio stamparne un po’ meno e poi ristampare per il gran successo che avere i resi, credo.
    E’ vero, l’autore non si è paragonato (“sopravvalutato” pff) ma quando io leggo le marchette, gli strombazzamenti e la quarta non sto a vedere quanto l’autore sostiene e quanto no -quantomeno non lo vedo subito-, prendo quello che ho in mano. E se poi si rivela un paragone offensivo, m’incazzo il doppio che se fosse stato solo un brutto libro. Poi il fastidio non è tanto venuto dal paragone ma dal fatto che questo sia falso, quasi assurdo.

  24. Ci sono delle affermazioni di Cecilia che condivido, mentre non condivido in generale il tono da “i cattivissimi editori e i perfidi autori complottano contro noi lettori a suon di marchette” (le quarte di copertina non sono marchette, a mio modo di vedere: e mai vengono scritte dagli autori, bensì dalla redazione. Spesso l’autore non può neanche approvarle: almeno informatevi, no?), che è quello che appartiene a una parte della rete. Senza, appunto, considerare quanto si è detto e stradetto poco sopra: il caso Wunderkind sta a indicare un modus operandi che potrebbe diventare sempre più frequente.
    Concordo sul fatto, comunque, che sia una follia editoriale usare l’esordiente per ottenere subito, ora, fra un secondo, risultati da capogiro. E’ un trend perseguito da qualche tempo e che in alcuni casi (Avallone, Giordano) ha dato i risultati sperati: ma che rischia di avere poco a che fare con la qualità effettiva dei libri. L’altro punto su cui concordo con Cecilia, ma stavolta a metà, è il discorso sul lancio: è evidente che se un editore punta su un libro, mette in campo tutte le sue forze per ottenere il risultato sperato. E le sue forze non stanno nel sollecitare recensioni, che difficilmente muovono copie (e lo si sappia), ma nell’ottenere passaggi televisivi (quelli le muovono, eccome). E i grandi editori sono in grado di farlo. Con alcuni esordienti lo hanno fatto. In questo caso, non è stato fatto.
    Ma il punto non è questo: il punto, lo ripeto ancora, sta nella contraddizione tra “credo negli eBook” e “uso gli eBook come rimessa”. Il punto sta nella poca considerazione in cui autore e lettore vengono tenuti.
    Se questo non interessa, temo che con le grasse risate, prima o poi e al di là di gusti e gradimenti personali, ci si strozzi. E di brutto.
    Ps. Prima di definire Salani “minuscola”, vogliamo informarci un pochino, magari?

  25. Cecilia sono d’accordo con te sul fatto che è meglio stampare un certo numero di copie di un libro e poi se funziona effettuare delle ristampe.
    Come mi trovi d’accordo sulle frasi sulle copertine: a mio avviso non ci dovrebbe essere nessun tipo di pubblicità sul libro (non ho sopportato quando trovai su un libro di Brooks la frase di Paolini “Chi non ha letto Brooks non ha letto fantasy” e sono un sostenitore di Terry, almeno per quanto riguarda la maggior parte delle sue pubblicazioni, non certo le ultime).
    Resta però sempre il discorso di Loredana: la considerazione in cui autore e lettore vengono tenuti e il messaggio che le CE fanno passare.

  26. “i cattivissimi editori e i perfidi autori complottano contro noi lettori a suon di marchette”
    No, non penso che gli autori complottino. Di certi editori invece, specie negli ultimi tempi, penso tutto o quasi il male possibile, questo sì.
    Per la questione del lancio, mi pare che le due cose non siano in contraddizione. Ovvero, caso W: la CE ci crede e stampa molte copie. Ok, ma in questo caso non si poteva fare, come suggerito da lei, il passaggio in tv? Mediaset, per semplificarci le cose. Se anche i giornali non avessero aiutato, come hanno fatto, un paio di spot dopo il tg o appena prima della prima serata (non in mezzo ai cartoni animati o ci si tira la zappa sui piedi) potevano spingere bene.
    “il punto, lo ripeto ancora, sta nella contraddizione tra “credo negli eBook” e “uso gli eBook come rimessa”. Il punto sta nella poca considerazione in cui autore e lettore vengono tenuti.”
    Questo però è un problema degli editori e io, a parte boicottarli o premiarli con gli acquisti nei vari casi, non posso fare molto. A me per prima da fastidio quando gli ebook vengono schifati anche perché nella maggior parte dei casi chi lo fa -tra i lettori- non ne ha mai letti un po’, non si informa, non fa girare il criceto sulla ruota. Perché a chi commenta “ma vuoi mettere la magia della carta…” ecco, mi vien voglia di chiedergli se abita in una villa stratosferica ed è miliardario, che io faccio fatica a trovare spazio e soldi, eccheccavolo. E’ vero, un hardcover ben fatto è esteticamente più bello di un file. Però l’importante sarebbe, sarebbe, il contenuto. E il mio guadagno “più libri=meno soldi spesi” (questo, certo, quando le CE capiranno che NON si può vendere un ebook a 11 o 12 euro). Mentre le CE… il discorso è lungo, noiso e potrebbe scatenare flame che non ho voglia di seguire. Dico solo che, stando a un articolo su Baionette Librarie, a quanto pare c’era stata una sollevazione “popolare” quando un tizio di Amazon (nota anti-flame: no, non penso che Amazon sia il gigante buono che salverà i buoni e bravi lettori e autori dalle cattivissime CE. A degli atteggiamenti che mi piacciono e altri che mi preoccupano non poco) ha detto che gli unici personaggi indispensabili per un libro sono l’autore e il lettore, tutti gli altri dovevano starsene in campana. E giù insurrezioni, quando la cosa che è stata detta è un’ovvietà. Per cui qualcuno qui ha la coda di paglia.
    Ps: dato che la lingua madre del W è l’italiano e -di norma- un libro si pubblica prima in patria, di grazia, che senso avrebbe il commento su HP se io con “CE minuscola” mi fossi riferita alla Salani che si è limitata a tradurlo? Mi riferivo alla Blomsbury, che, quella sì, era piccola e sconosciuta. Il mio criceto gode di buona salute ^^
    @MT
    Sono d’accordo. L’ho vista anch’io la frase di Paolini… il mio pensiero è stato “meglio che se ne stia zitto lui, visto che evidentemente ha letto solo quello”. Un fastidio tremendo.

  27. Ma guarda, Cecilia, magari complottassero, gli editori: mi sembra che quel che manchi, specie in materia di eBook, sia una linea chiara. Per questo insisto nella contraddizione di Mondadori in questa storia.
    Sulla faccenda dei criceti e del profumo della carta, mi sembra che sia, più che altro, un quasi off topic: non mi sembra che la questione sia “preferivo la romantica carta” ma, come diceva Scott Turow, “non fate i furbi sulla pelle degli scrittori”, che è lievemente diverso. E’ vero, per pubblicare un libro ci vuole chi scrive e chi lo legge: ma esistono anche i distributori, sia pure on line, e bisogna farci i conti. Non so a queli code di paglia ti riferisci, ma mi sembra che da queste parti, semmai, si siano fatti distinguo su Amazon, non sugli eBook. Altri distinguo riguardano il prezzo che si vuole imporre agli eBook in Italia e la percentuale ridicola che, a fronte delle minor spese, spetterebbe all’autore. Non sul mezzo.
    Su Harry Potter: nel contesto non si capiva affatto. E, ad ogni modo, per far felice il tuo criceto ti dirò che per la mancata acquisizione di Harry Potter in Italia sono cadute non poche teste, visto che è stato rifiutato proprio da Mondadori.

  28. La colpa è dell’editore, la colpa è della copertina, la colpa è delle mancate interviste, la colpa è che il pubblico non l’ha capito, etc… etc… Io credo che pubblicare per Mondadori sia, a prescindere, un gigantesco trampolino di lancio e di visibilità. Tutte le librerie della mia città in vetrina erano piene di “W” rosse fiammeggianti. Quale autore esordiente può avere una simile esposizione con altre case editrici piccole? Cosa si vuole pretendere, che il “W” vada su Porta a Porta e che ci facciano una puntata speciale?
    Che un giornalista poi non voglia occuparsi di G.L. dicendo che è il nuovo Gaiman o il nuovo Barker mi sembra sia normale: perchè un giornalista dovrebbe scrivere fesserie? G.L. non è nè il nuovo Gaiman, nè il nuovo Barker (così come Mia sorella è una foca monaca di Christian Frascella non è il Giovane Holden italiano, come ho letto ai tempi quando uscì su famosi quotidiani nazionali).
    Così facendo non solo si inganna il lettore, ma si fa un danno anche all’autore. Parlando in ambito sportivo, quanti giovani esordienti calciatori sono stati bruciati dicendogli cose non vere “tu sei il nuovo Maradona, tu sei il nuovo Platinì”, etc… etc…
    Nello sport si perde e così anche qui (come nella vita), la questione è quanto e come sei disposto a rialzarti. Se ti rialzi con in testa cose del tipo “tu sei il nuovo Salinger” allora non c’è speranza. Se ti rialzi con umiltà, allora vai alla grande.

  29. Sai, Zen Masta, che ci sono reazioni antropologicamente interessanti? Perchè tutta una serie di lettori fortemente critici nei confronti dell’autore, ai tempi, avevano dato la stura a violentissimi attacchi verso l’editore, “reo” di averlo pubblicato. Quegli stessi personaggi ora difendono l’editore pur di continuare ad attaccare l’autore, specie in alcune zone della rete.
    E’ vero quello che tu dici: se ti rialzi con umiltà, vai alla grande. Specie se non è il rancore a inchiodarti a terra. Non vale solo per gli scrittori.
    Detto questo, mi sembra che, ancora una volta, non si voglia capire l’oggetto del post. Non si voglia, perchè credo di averlo spiegato diverse volte. Ora, non so cosa altro aggiungere se non che, a certi livelli, la rabbia diventa patologia. Direi che provvedere sarebbe cosa buona, per te e voi.
    Ps. per inciso, è l’ultimo commento che devia dall’oggetto reale del post che pubblico.

  30. Prima cosa, HP. Io l’ho dato per scontato, mi spiace non si sia capito. Tra l’altro, non dubito che delle teste siano cadute sia a Mondadori che in Inghilterra, ma visto il modo stilisticamente pessimo in cui sono scritte le prime pagine de “La pietra filosofale”, posso capire i selezionatori che l’hanno scartato. Anzi, tecnicamente parlando, hanno pure fatto bene ^^.
    Poi. E’ vero che “carta romantica” è un po’ OT ma se queste idee balzane non andassero per la maggiore e i lettori si informassero si renderebbero conto, tra le altre cose, che 11 euri per un file sono un furto (ovvio, mancando i costi di stampa, distribuzione eccetera) e che invece un 5 euro è più ragionevole (e anche la CE potrebbe guadagnarci: si è molto più invogliati a spendere 5 euro che 11, così si porta nel digitale il concetto “prendi due paghi un o” o similari. Minor prezzo di base ma più acquisti dovrebbero portare un guadagno) e così mi ricollego alla questione del prezzo da imporre. E se tanti facessero questo ragionamento e, diciamo, rifiutassero di comprare a prezzi matti, forse i responsabili proverebbero strade diverse. Abbassando i prezzi più gente comprerebbe, il mercato si allargherebbe e questo dovrebbe riuscire a convincere chi di dovere che no, l’ebook non è un ripiego ma un mezzo valido come la carta, se non di più (non avere più il problema dell'”esaurito”, dei resi, delle ristampe da fare, penso non sia poco).
    Per quanto riguarda la percentuale data agli autori, non posso che essere d’accordo, è ridicola. Oserei dire anche offensiva, insomma, il lavoro fondamentale lo fanno loro. Penso sia anche per questo che alcuni autori americani abbiano deciso di autoprodursi: 1 dollaro a ebook ma il 100% di questo dollaro va a loro e se in tanti comprano… finisce che si diventa ricchi. Certo, sono casi limite però si può meditarci sopra e trovare una via di mezzo. Nella mia inesperienza, penso che un 50% a testa sarebbe un buon compromesso visto che alla fine l’editore deve “solo” fornire editing (decente, possibilmente), copertina, impaginazione e diffusione sul web e che senza il testo dell’autore non c’è trippa per gatti.
    My 2 cents

  31. Probabilmene è un deviare, ma… Dopo questa discussione sono andato a curiosare su internet, ed il primo volume di W lo ho trovato, circola come ebook sui siti pirata. Non so se di questo l’autore può essere contento, anche perché io mi sono sempre questo quanto a lungo l’industria culturale possa sopportare la totale dematerializzazione del prodotto con la deregulation che ne consegue: i prodotti digitalizzati avranno sempre la possibilità di essere copiati e scambiati grazie ad hackers che trovano metodi sempre nuovi per scardinare le protezioni.
    Posso congiliare di questo convegno gli interessantissimi interventi di Riccardo Tozzi (soprattutto il primo) che sono chiarissimi:
    http://www.radioradicale.it/scheda/336913/italia-audiovisiva-diritto-dautore-e-creativita

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