Rivoluzione, titola senza mezzi termini il Washington Post. Catastrofe, dicono altri, specie commentando la notizia dei brevetti presentati da Amazon e Apple per vendere ebook di seconda mano. Scott Turow, per esempio, dice: “Questa innovazione rischia di mandare tutto in frantumi: perché uno dovrebbe comprare qualcosa a prezzo pieno quando lo può avere per un centesimo? Capisco che per i lettori sarebbe una bella sorpresa. Sino a quando però gli autori si stuferanno di lavorare quasi gratis e non ci saranno più libri da leggere” (qui l’articolo di Massimo Vincenzi).
I libri ci saranno, naturalmente. Bisogna vedere come saranno, però, e come si trasformerà la figura stessa dell’autore. Su Repubblica di oggi, Marco Ferrario di Bookrepublic parla di inevitabile “evoluzione della specie”. “Con l’usato ci sarà una maggiore circolazione di opere a prezzi sempre più bassi. Questo è un rischio e non farà bene né agli autori né agli editori. Da qui a parlare di fine della narrazione però, come qualcuno ha fatto oltreoceano, ne passa. Si troveranno altre entrate. E magari si conquisteranno quelle persone che prima non avrebbero comprato un libro (…). Noi ad esempio a IfBookThen abbiamo iniziato a sperimentare una forma di messa in scena degli autori. Una sfida dal vivo fra il loro modo di narrare. E’ letteratura? Non lo è? E’ un modo diverso di raccontare storie. Punto”.
Tutto è possibile, certo: anche se, come detto e ripetuto centinaia di volte, il tecnoentusiasmo mi spaventa (come dice il collettivo Ippolita, peraltro, ” tutti i gesti del consumismo, e ancora più quelli dettati dal tecnoentusiasmo, sono omaggi alla tecnocrazia. Riconoscono come inevitabile il sistema vigente, perché adottano l’ultimo strumento proposto dalla propaganda pubblicitaria come bacchetta magica della felicità”).
Ma mi spaventa anche un’altra cosa, non semplicissima da dire. Nella commedia “Amadeus” di Peter Shaffer, poi film di Milos Forman, si racconta di due musicisti, entrambi nati in piccole città (quindi partiti da zero, come si direbbe oggi) e arrivati a Vienna. Uno dei due ebbe ricchezza e onori in vita, l’altro ebbe l’immortalità. Eppure, entrambi avevano sacrificato la propria esistenza allo studio e al lavoro. Ma il secondo aveva talento: anzi, il talento forse più prodigioso dell’intera storia della musica. “Sposta una sola nota e la musica si immiserisce, cambia una sola frase e la struttura crolla”, dirà, al colmo della disperazione, il primo dei due, che è Antonio Salieri (mentre il secondo è, ovviamente, Mozart).
L’idea che uno valga uno, che è il fondamento non solo della nuova politica, significa che tutti sono competenti su tutto. La rete ha alimentato quest’illusione e la alimenta ancora. E’ come dire: sbaglio l’ortografia di brutto ma, caspita, sono uno scrittore, e se tu, maledetto, non mi riconosci questo status, sei colluso con i poteri forti dell’editoria.
Non funziona così. Non funzionerebbe così nemmeno dopo anni di studio forsennato. Sempre in “Amadeus”c’è un momento illuminante: è quando Salieri, prendendo fra le mani gli spartiti che Constanze Mozart gli ha portato in visione sperando in una benevolenza per il marito, capisce fino in fondo l’incommensurabile talento del rivale. Ecco, quel talento o lo si ha o non lo si ha. Puoi perfezionarti, diventare un bravo narratore, un piacevolissimo artigiano della musica o di qualsiasi altra arte.. Ma non un Grande. Ingiusto? Sì. Infatti “Amadeus” è splendido per questo motivo: perché racconta l’ingiustizia del talento.
E dunque: la rivoluzione porterà, giustamente, possibilità per tutti, e – prima che qualcuno salti su con le accuse di elitismo, passatismo, luddismo, classismo letterario e tutti gli “ismi” che volete – questo è bellissimo e sacrosanto. Ma il talento verrà riconosciuto o affossato? Saranno davvero i testi a conquistare i lettori o non il “brand” che l’autore crea di se stesso attraverso la rete? Perché in questi due giorni, per esempio, ho letto attentamente uno dei successi-del-web di cui si son dette meraviglie, e che si devono a uno scrittore molto seguito e molto presente sui social: in tutta onestà, non c’era un solo componente che si salvasse, dalla trama al linguaggio. E allora, chi sarà, l’autore del futuro? Qualcuno in cui i lettori possono facilmente rispecchiarsi sognando lo stesso destino o un abile narratore?
Non lo so, ma mi tengo stretti i dubbi.
Con l’esperienza che ho accumulato come editore, sono convinta che, a questo punto, l’editore non dovrà più provvedere a correggere il testo di chi vuole proporsi come scrittore. Darà spazio solo a coloro che conoscono bene la lingua ITALIANA e portano argomenti talmente efficaci da coinvolgere pienamente il lettore. È vero che a volte bisogna dare ascolto alle idee, a prescindere dal tipo di scrittura e dal tipo di cultura di chi presenta un lavoro da pubblicare, ma sarà bene porre dei limiti per non sacrificare gli autori che hanno tutte le qualità per emergere.
Ma se l’editore non lavora sul testo (non per correggerlo, ma per suggerire miglioramenti) quale sarà la sua funzione? 🙂
Il Salieri del film era in grado di fare una cosa: “ascoltare” la musica leggendo uno spartito. Riusciva a farlo perchè aveva studiato, aveva trascorso lunghi anni apprendendo. Ecco perchè, in quella splendida scena nelal quale lascia cadere i fogli ricoperti di note, è letteralmente folgorato dal genio.
Tuttavia ricordo anche una scena del film in cui un Salieri ormai vecchio capisce che l’ uomo comune conosce, ricorda, la musica di Mozart e ignora la sua.
Quello che mi chiedo è: anche la bellezza della parola scritta può essere “compresa”, così facilmente come quella della musica, quando la si “ascolta” leggendo?
Temo di no. Perchè leggere è più difficile dell’ ascoltare. Anche se non occorre aver studiato come Salieri per cogliere la “melodia e il ritmo” di un testo, è comunque necessaria una certa istruzione. Paradossalmente occorre molto meno istruzione per scrivere, per buttare sula carta una storia. Dunque in questi tempi caratterizzati dall’ ignoranza abbiamo molti pessimi scriventi e pochissimi bravi lettori. Naturalmente i pessimi scriventi sono anche pessimi lettori e ad essi si aggiungono altri lettori “incapaci”. Ora poniamo che io voglia generare del profitto, che è condizione indispensabile nel capitalismo per produrre, a chi mi rivolgo? Ai pochi buoni lettori o ai molti pessimi? La risposta è scontata. Ma ci sono anche altri due aspetti. Il primo è quello dell’autore che genera più profitto, ed è quello pessimo perchè scrive più velocemente e mi dà quello che piace ai pessimi lettori, una narrazione semplice e una scrittura ancor più semplice. Il secondo aspetto è condividere il meno possibile il profitto. In questo caso i libri digitali arrivano a a fagiolo. Infine, dopo aver fatto tutte queste considerazioni mi pongo l’ ultima domanda: come “ammazzo” la concorrenza? Una risposta classica è quella di sottrarre profitto agli avversari, quelli della carta, e così ecco anche l’ idea dell’ usato. Poi se vedo che ci sono piccoli editori che si ostinano a stampare le opere di Fortini o Zanzotto non me ne faccio un problema, dopotutto non fu necessario uccidere tutti i cavalli per sostituirli con l’automobile, e poi un po’ di “nicchia” va bene.
Ora l’ ultima domanda: è possibile opporsi al dilagare della “quantità” opponendole la “qualità”? No, in questo momento, in questo mondo dominato dal capitalismo non è possibile. Allora credo che occorra cercare di preservare la qualità, tentare di mantenere viva la la buona scrittura e lettura, aspettando tempi migliori.
Analisi impeccabile, quella di Valberici: aggiungo che chi vede “solo” libertà nel modo in cui la rete sta cambiando le cose tralascia un particolare, ovvero i giganti del capitalismo che gestiscono i più seguiti fra i servizi. Google. Amazon. Facebook. La cui filosofia è guadagnare poco da moltissimi: nulla è gratis nel web 2 e 3.0. Ricordiamocelo.
Poi dici perché recensisco solo libri vecchi… 🙂
Sì, ci provano da anni a vendere il talento. Purtroppo è fatto anche di cose non vendibili e di cose casuali, quindi – per nostra fortuna – per la tecnologia non ce n’è, non ci arriverà mai. Malgrado lei – la tecnica – ci stia provando in un altro modo: non potendo riprodurre il talento per venderlo, crea sempre più strumenti di simulazione per far apparire le sembranze del talento dove non c’è (e per far sembrare “la tecnica” un qualcosa di vivente e autonomo, e non scelte personali di individui identificabili).
Boh non penso esista qualcuno così ingenuo da vedere “solo” libertà nella rete: ormai lo sanno tutti che i servizi che ci danno i giganti del web sono gratis perché dai loro in cambio qualcosa, e non esiste nessuna libertà, perché mica puoi essere libero in un posto dove sei rintracciabile per ogni starnuto che fai. Ma a milioni di persone sembra che vada bene così.
A parte questo piccolo ot, con la mia forte orticaria per i catastrofisti (che non sono altro che conformisti), non credo proprio che questa cosa porterà alla morte del libro (ma quante volte l’abbiamo sentita?): sono considerazioni basate su schemi e strutture passate, conservatrici e tradizionali tendenti alla reazione, senza considerare appunto che invece le cose cambieranno e nasceranno nuove vie ora neanche concepibili per il mondo del libro.
Dobbiamo andare a ricercare quelli che dicevano che mp3 e pirateria avrebbero ucciso la musica?
Certo, l’industria discografica ha avuto una crisi, ma le crisi servono per rinnovarsi, e servono per evolversi, non sono mai sterili. Senza le crisi saremmo all’età della pietra.
Oggi i musicisti fanno più soldi coi concerti (quelli famosi), il vinile ha un mercato di tutto riguardo, la gente compra ancora i cd (io sono uno di quelli che compra solo cd che gli piacciono veramente) e anche sconosciuti si fanno conoscere (anche a prescindere dalla qualità, ma non mi sembra un tema nuovo nato con internet il fatto che abbiano successo anche opere di scarsa qualità, né che gli editori ci puntino: la Invernizio ha avuto successo un secolo fa, ma non mi sembra che abbia impedito la nascita e la lettura di tutti quei colossi di scrittori del ‘900).
La qualità ha sempre avuto difficoltà a emergere, ma penso che prima o poi ci riesca: troverà altre vie adattandosi al nuovo; certo, c’è anche il rischio che emerga postuma, come per esempio Morselli in letteratura, che fu rifiutato da Sereni e Calvino, o Van Gogh in pittura: ma essere riconosciuti postumi è frequente e può purtroppo capitare, perché si è oltre il tempo che si vive e anzi spesso è sinonimo di grandezza.
Insomma, non è che a ogni cambiamento si debbano vedere conseguenze escatologiche: un po’ di equilibrio?
Niente di nuovo sotto il sole, a mio parere.
Ma sono curioso: chi è questo autore di successo-del-web? 🙂
Ma certo che il libro non morirà, è sopravvissuto a periodi assai oscuri e alle calate dei barbari, figuriamoci se non sopravvive al digitale. 🙂
Però Carolina Invernizio scriveva assai meglio di certi “autori di successo” e attualmente vedo poca gente nell narrativa all’ altezza di un Dumas.
E riguardo al futuro sono fiducioso, non però riguardo a quello prossimo.
Pier, sia i catastrofisti che gli entusiasti sono, abitualmente, conservatori 🙂
Sì Loredana, infatti anche gli eccessivamente entusiasti mi procurano diffidenza!
@Valberici: sul fatto che la Invernizio scrivesse bene (penso “bene”, anche se non l’hai detto, visto che usi “assai meglio”) avrei le mie perplessità 🙂
Certo, se la confrontiamo con Fabio Volo hai ragione. 🙂
@Valberici
Poi penso che se vedi “poca gente” nella narrativa all’altezza di un Dumas, sia anche una cosa comunque positiva e giusta così: i bravi non sono sempre pochi? (a proposito di talento). Non è che all’epoca di Dumas ci fossero chissà quanti bravi scrittori tra tutti quelli pubblicati. A noi sembrano magari molti perché ricordiamo solo loro, ma tutti gli altri anonimi che sono scomparsi?
L’importante è che ci sia questa “poca gente”.
@Pier Ammetto di aver letto la Invernizio 😀
E riguardo ad ella ti dico solo una cosa: metteva le virgole e i punti al posto giusto.
Invece ho citato Dumas per le storie che sapeva raccontare, Croce disse a proposito: “Da parte mia, non provo il rossore di cui altri sentirebbe inondato il volto nel dire che mi piacciono e giudico condotti con grande brio e spigliatezza i Trois mousquetaires di Alessandro Dumas padre. Ancora molti li leggono e li godono senza nessun’ offesa della poesia…”. Ecco oggi mi pare che si raccontino sempre le stesse storie, senza brio e spigliatezza, ma solo seguendo improbabili generi di successo, imitando chi “ce l’ha fatta”, che a sua volta ha scritto storie banali, ma semplici. 🙂
E intanto in Francia si pensa ad una legge che protegga le librerie e vieti le consegne gratis a domicilio. Ovvero lo stato che si muove contro Amazon et similia.
http://www.lemonde.fr/livres/article/2013/03/25/aurelie-filippetti-lance-un-plan-d-aide-aux-librairies-independantes_1854052_3260.html
Potrebbe sembrare una sciocca battuta, ma prima di “trovare nuove entrate” per l’editoria, citando Marco Ferrario di BookRepublic, mi preoccuperei di mettermi alla ricerca di inedite (aggettivo piuttosto calzante, imho) vie d’uscita.
ho sentito dire che la meritocrazia tarda ad affermarsi perché vista in una certa prospettiva ha qualcosa dell’eugenetica.Ognuno dovrebbe provare a lasciare un graffio nel mondo.Il problema sta che il marketing ha truccato le carte per cui oggi tende ha vincere chi ha dietro il miglior ufficio stampa,metaforicamente parlando(per ciò che concerne la questione dei diritti d’autore penso che sia inevitabile un’impennata dei reading.E,a dire il vero,una fruizione pubblica dell’arte,con tutte le complicazioni del caso,è spesso preferibile a quella privata che come posso testimoniare spesso conduce nei sentieri impervi del solipsismo o,nei casi migliori,alla sopravvalutazione delle proprie opinioni)
@ Valberici
scusa, ma nel tuo commento ci trovo tutti difetti che puntualmente ricorrono da queste parti sullo stato delle cose in letteratura, e perché no in musica, nel cinema o chissà cos’altro. Tu parti da alcuni assunti che proprio non stanno in piedi, ovvero che la qualità letteraria sia inferiore rispetto al passato e che oggi ci sia più ignoranza, quindi meno buoni lettori. Ma stai scherzando? A parte che dovresti chiarire se intendi buoni lettori in rapporto al numero dei lettori e cosa sia un buon lettore ( e voglio vedere se ci riesci ), ma poi vogliamo confrontare i tassi di analfabetismo dell’Italia e del mondo di non so quanto tempo fa e quelli di oggi? Poi hai questa idea bislacca molto diffusa che il mercato abbia una qualche influenza sulla qualità prodotta, e tiri fuori Dumas. Ma la qualità l’hai quantificata, c’hai fatto uno studio? La critica sacrosanta al capitalismo non c’entra un H con la fantomatica qualità di cui parli. Al massimo l’aumento dei profitti potrà aver spinto persone che un tempo non avrebbero scritto libri a farlo, e possiamo pensare alle biografie di personaggi famosi o all’autoproduzione massiccia, ma questo che c’entra con l’idea che oggi abbiamo meno buoni scrittori, cosa che affermi sulla base di non si sa bene cosa? Un conto è che una casa editrice produca titoli in cui non crede tanto per vendere, e comunque vorrei sapere se è mai esistita una casa editrice che non l’ha fatto ( e poi vorrei sapere dov’è il problema ), e un conto è pensare che questo comporti diminuzione di buoni scrittori. Lascialo perdere Dumas.
Condivido quello che dice @___@, e faccio un paio di citazioni:
«Passo gran parte del mio tempo con persone che lavorano nel settore librario […] Vado anche alle Fiere, alle troppe Fiere […]. Professionisti e non, mi fanno spesso domande come: “C’è la crisi del libro in questo o quel Paese?”
«Una delle cose che piace ai bambini, a detta degli psicologi, è spaventarsi o essere spaventati dagli altri. C’è una specie di adulto che fa la stessa cosa; è colui che si occupa di libri. Spesso, in Francia o in Spagna o in Italia, guardando i risultati di un’indagine sulla lettura, si scopre che il 50% o 60% della popolazione non legge (o non compra mai) un libro, che il 60 o 70% legge solo un libro all’anno, ecc. – e questo dovrebbe scioccarci. Ma ciò presupporrebbe che noi sapessimo in che percentuale la popolazione leggeva o comprava libri 25 o 50 o 100 anni fa. Se lo sapessimo veramente, ci sentiremmo meglio, perché scopriremmo che le statistiche di oggi sono le più favorevoli che si possano avere. I libri non sono mai stati distribuiti così diffusamente e non sono mai costati meno; sicuramente ci sono più lettori e consumatori di libri oggi che in passato.
Certo, in periodo di recessione, si compra meno di tutto – e di questo ci accorgiamo.
«“Non siete stufi di sentire che la letteratura è in crisi”, ha chiesto l’editore francese Hubert Nyssen di recente, “che gli editori sono matti, che i librai non sanno fare il loro mestiere, che i francesi non leggono?” Nyssen […] aggiunge che è ben stufo di sentire queste lamentele. “A volte penso”, dice, “che se tutta quell’energia venisse spesa per migliorare le cose che vanno male, tutto migliorerebbe. Possiamo negare che vengono pubblicati buoni libri, che i librai se ne occupano, che i critici ne scrivono e che i lettori li leggono?”»
Herbert R. Lottman, Dieci domande sui libri, Sellerio editore Palermo
Sarà stato pubblicato ieri? Di che anno sarà? –> 1993
Poi:
«Da sempre e dovunque tutte le persone interessate all’editoria libraria […] si lamentano per la scarsa diffusione dei libri.
Nessun livello di vendita, nessuna quantità o qualità mai venduta in qualsiasi parte del mondo e in qualunque epoca ha generato altro che un lamento di insoddisfazione. Questo benché sia dimostratissimo che si sono venduti negli ultimi cinquecento anni sempre più libri.
Perché allora questa insoddisfazione perenne e planetaria?
Forse perché tutti avvertono in modo più o meno consapevole che il libro è uno specchio della situazione sociale e culturale di un paese e la sua diffusione, se in crescita o in diminuzione, un inesorabile segno di progresso o decadenza.
Ma il libro non è soltanto questo. Veicolo deputato a diffondere e conservare il sapere e forse la verità, riflette l’ansia oltre che le speranze di chi vorrebbe trovarsi già in quel luogo e in quel tempo in cui si leggerebbe di più come causa ed effetto ad un tempo di un paradiso terrestre sempre all’orizzonte e mai raggiunto.»
Luciano Mauri, dall’introduzione allo stesso libro di Lottman.