NADIA, DOVE SEI?

Ho letto l’articolo di Nadia Urbinati su Repubblica di oggi. Ho letto le ultime righe. e mi domando: dove caspita vive e chi frequenta la signora Urbinati?
Non è facile essere donne in questo tempo di stravolgimento dei valori e dei costumi, di smarrimento del senso comune. Non è facile trascendere ciò che ci sta intorno e ci offende: vicende di giovani donne che si lasciano abbagliare da vecchi e meno vecchi uomini potenti; che accettano di farsi rimpicciolire fingendosi “bimbe” di un “papi”. Non c´è glamour in questa società dei diminutivi. Le ragazze che sono vel-ine, meteor-ine e ricevono farfall-ine e targarugh-ine: un linguaggio che le rimpicciolisce trasformando il serraglio in un parco ludico infantile. Nelle Lettere persiane di Montesquieu si trovano immagini rassomiglianti, rappresentazioni attualissime della vita servile di corte, più sordida perfino di quella dell´harem dove, se non altro, a fare da intermediari tra le donne e il sultano c´erano eunuchi. È questo l´esito delle fatiche che donne e uomini di più generazioni hanno sopportato per poter vivere come eguali nella vita pubblica e in quella privata?
Mary Wollstonecraft, la coraggiosa e giovane iniziatrice del femminismo moderno, aveva parole durissime contro una società che preparava le ragazze ad un futuro che era perfettamente funzionale alla società patriarcale: educate a essere cocotte appetibili mentre erano giovani per poi finire a procreare figli e servire mariti. Pensava, lei illuminista, che tutto cominciasse con l´educazione, che la ragione dell´assoggettamento delle donne fosse da cercare nell´ignoranza e nell´esclusione dalla vita della città. In una società dove tutto il vivere civile era strutturato e pensato come una succursale allargata della casa, quello che appariva agli occhi delle sue coetanee come un´occasione da sfruttare non era che una dorata prigione. Mary era durissima e severa con le donne del suo tempo perché remissive e docili; concentrate a sviluppare quelle competenze salottiere che potevano, questa la loro speranza, spianare la strada verso un buon matrimonio; per questo, si facevano complici del serraglio nel quale vivevano, «oggetto di attenzioni triviali da parte di uomini che considerano tali attenzioni un tributo virile da pagare al gentil sesso, quando in realtà essi lo insultano affermando la propria superiorità».
La bella Mary si rivoltò contro quel mondo goldoniano di serve furbette e padroni protervi e rivendicò l´inclusione delle donne nelle scuole e nella vita pubblica; donne protagoniste senza intermediari ma per loro capacità e con i loro sforzi, non attive da dietro le quinte. Il pubblico invece che l´esilio forzato nel privato; la sfera della politica per via di consenso aperto tra cittadini eguali invece che per via di intrigo di cortigiani; l´arma dei diritti invece e contro quella della forza: questa è stata dal Settecento la strada percorsa da chi ha difeso la dignità di uomini e donne; anche degli uomini, perché la condizione della donna è sicuramente lo specchio nella quale si riflette lo stato di tutta la società.
Da qui le donne sono partite nei decenni a noi più vicini per rivendicare un´altra fetta di diritto e di potere, quella che avrebbe dovuto sollevare finalmente il velo del privato per mostrare le nicchie di violenza e sopruso che ancora resistevano, non viste, non dette, non considerate: la violenza domestica in primo luogo, ma anche l´abitudine inveterata a leggere come naturalità ciò che invece era ed è sempre stato frutto di cultura e società, dominio e dipendenza. La stagione dei diritti ha rovesciato un modo di leggere i rapporti umani e tra i generi, nel privato e nel pubblico; ha svelato e decostruito l´interpretazione consolidata di ciò che è sociale e di ciò che è naturale, ridefinendo il genere e il ruolo dei e tra i sessi. Questa è stata la grande lezione delle battaglie per i diritti civili combattute dietro lo slogan “il privato è politico”, “il privato è pubblico”.
Decine di anni dopo quelle battaglie per i diritti, le società moderne, quella italiana in maniera abnorme, si trovano nella condizione paradossale di veder rovesciata quella logica, per cui tutto il pubblico è ora privato e il privato ha occupato il pubblico con le conseguenze aberranti per cui da un lato vi è una legge che mette la privacy sull´altare della religione secolare e dall´altro vi è una vita politica che è il palcoscenico sul quale si recita soltanto una parte, quella privata. E se questa parte si mescola (come può essere diversamente?) con questioni politiche o di Stato e i cittadini vogliono sapere e i giornali cercano di svelare, allora si evoca la sacralità della privacy, sulla quale si pretende di inchiodare l´informazione, facendola passare come un´intrusione invece che come un bene pubblico. Il paradosso è che chi per primo ha cancellato ogni distinzione tra pubblico e privato si fa ora rivendicatore di quella separazione. È evidente il giuoco delle parti che si cela dietro questa che è come la magia della stanza degli specchi: confondere tutti i piani per potere usare a piacere l´uno e l´altro a seconda dell´interesse. Allora, le ragioni di Stato sono l´arma per nascondere questioni che con lo Stato nulla hanno a che fare; e le ragioni del privato servono a nascondere ciò che è di interesse pubblico e di cui i cittadini hanno diritto di sapere.
In giuoco, è stata l´unanime e giusta diagnosi, c´è la legittimità e la credibilità delle nostre istituzioni, non solo di fronte a noi cittadini italiani, ma anche presso i paesi stranieri. L´Italia è una miniatura di se stessa, lo specchio di quel linguaggio di diminutivi che le giovani ragazze si lasciano appioppare con sorprendente indifferenza da profittatori di ogni età. La loro presenza sulla scena sociale è tutta privatissima, proprio come vogliono che sia da tempi immemorabili gli uomini “a mal più ch´a ben usi”.
Le donne sono sempre lo specchio della società, il segno più eloquente della condizione nella quale versa il loro paese: quando muoiono per le violenze perpetrate da un potere tirannico o quando viaggiano con voli prepagati per ritirare un cotillon a forma di farfalla. Nelle loro storie è riflessa la storia tragica o patetica delle loro case e delle loro città. E come nel caso delle donne vittima di violenza del tiranno, anche nell´altro è urgente che si levino voci di critica, di sconcerto, di denuncia; voci di donne. Questo silenzio ammorba l´aria.

11 pensieri su “NADIA, DOVE SEI?

  1. Scarsa comunicazione fra donne, ecco cos’è, mia cara Lippa.
    Ognuna incastrata nel suo piccolo mondo. Perché i tempi sono stretti, le strade tortuose, le cosa da fare troppe, le distrazioni molte.
    E finisce che persino l’Italia – piccolissima striscia di terra ad altissima densità – sembra troppo grande per sapere le une cosa fanno e dicono le altre…
    😮

  2. Lontana dalla rete, credo. Lontano da femminismo-a-sud, da lipperatura, da marginalia, dai contatti di facebook, dalle mailing list e dalla miriade di altre forme di dissenso, di critica e creatività che stanno circolando tra donne e a cui né i giornali, né le tv (ovviamente) danno spazio.

  3. Veramente io apprezzo molto Nadia Urbinati, che mi pare viva e insegni negli Stati Uniti.
    Lo so è un’intellettuale e il suo stupore sembra abbastanza stupefacente e quindi non ho intenzione di fare una sterile difesa d’ufficio.
    Solo che, al di là della rete, non si avvertono segnali di sorta oppure sono io distratta al punto di non accorgermene.
    Questo tessuto sotterraneo di contatti, critica e creatività di cui parla Deceptacon sembra assomigliare più ad uno scambio di samizdat che ad un’esplosione di dissenso. E io questo, in effetti, mi aspettavo di fronte a questo attacco nei confronti della donna: una esplosione pubblica di rabbia, di dissenso.
    Penso che sia proprio il contrasto tra la massiccia sovraesposizione mediatica di un modello femminile degradato e la reazione sotterranea a questo ad essere percepito come totale silenzio.
    E comunque non sottovaluto per niente il lavoro che si sta facendo in rete, però sento tanto bisogno di aria.

  4. ho difficoltà a giudicare i singoli comportamenti delle singole donne di cui si tratta perchè in giro c’è davvero una disperazione sopra le righe.Per usare un linguaggio giuridico direi che molti comportamenti sono dettati da uno “stato di necessità”.Al giorno d’oggi è abbastanza semplice finire in mezzo a una strada(nel senso che sta diventando un lusso fare i bamboccioni).Siamo quasi al si salvi chi può.E Il meretricio(“turpe mercato del proprio corpo”)a volte può apparire l’unica via d’uscita

  5. Con il rischio di risultare impopolare dico questo: il femminismo in Italia ha perso significato e vigore.
    Significato, perché una parte delle donne ha deciso di assecondare la stupidità di certi uomini e di vivere da “geishe” professionali pur di ottenere obiettivi lavorativi, sfruttando la sensualità e il modus da oche.
    Vigore, perché l’intellettuale ha perso l’autorevolezza d’un tempo e, quindi, le intellettuali donne non rappresentano più una voce forte, netta, ascoltata e stimata con intensità diffusa.
    La condizione delle donne in Italia vive di un certo imborghesimento degenerante, mi pare assai lontana dalle violenze in altri luoghi della terra (lapidazioni, stupri come bottino di guerra e altre azioni vergognose).
    Qui la guerra italica è fra donne e donne oramai, fra le donne vere e le ochesensualigiulivechesirifannoilsenopersentirsidonneecc.
    E non si dica che è sempre stato così. No, non è vero. Le oche sono sempre di più e ciò complica la vita alle donne vere.
    Non credo più alla categoria “donne”, troppe diversità al suo interno. Il rispetto implica nessuna violenza, sia chiaro, ma certe sciacquine stupide sono e rimangono per me sciacquine stupide.
    Il nodo è come arginare tale fenomeno in grande espansione, quello delle ochegiulivesensuali ecc ecc.

  6. Concordo con Valeria. La rete non e` poi cosi` diffusa, e cio` che circola sulla rete risulta in qualche modo ‘sotterraneo’. ‘Il corpo delle donne’ e` stato presentato sul canale televisivo nazionale meno seguito. L’attacco alle donne e` palese e sotto gli occhi di tutti. L’espressione del dissenso e` molto piu` nascosta. Anche io mi aspettavo, e ancora auspico, una gigantesca, pubblica, condivisa, esplosione di indignazione e di rabbia.

  7. In fondo Urbinati non ha torto. La sua è una chiusura retorica – magari non bella e non vera ma efficace – ovvio che sa da sola che ci sono altre voci; ma insistere sul silenzio ammorbante è un modo di dire che tutte e tutti devono cambiare rotta, che quelle voci che ci sono sembrano flebili lamenti, sommerse cone sono dal rumore generalizzato, etc. etc.

  8. Ho appena chiuso una telefonata con un’amica giornalista anche lei in cui ho fatto, loredana, lo stesso tuo commento… Mi sembra che questo del silenzio delle donne sia ormai un consunto ritornello giornalistico.
    Le donne stanno zitte, le femministe dove sono… non è raro che qualcuna venga interpellata non sui fatti in questione ma sul presunto – proprio e altrui – silenzio. Domanda successiva e altrettanto banale: e allora perchè non scendete in piazza (a comando, tutti i giorni e su un elenco infinito di questioni…)? Quasi fosse questo l’unico modo che ci è dato…
    Inutile spiegare che forse sono i grandi media a guardare assai poco a quello che si pensa, si dice, si fa fuori dal loro recinto e che il loro silenzio produce silenzio e non circolarità delle info.
    Intanto alla proiezione de Il corpo delle donne che abbiamo organizzato in Camera del lavoro a Milano c’era gente seduta per terra che ha visto e dibattuto con Lorella Zanardo & c. per tre ore, in quell’occasione sono saltati su un paio di ragazzi per invitarci al presidio del 2 luglio a Milano http://groups.google.it/group/reteperladignita/files?hl=it.. Piccole cose? Può darsi, ma cose…

  9. Cerco di chiarire quello che volevo dire.
    Innanzi tutto non era mia intenzione sminuire il lavoro che si fa in rete e le cose, anche se piccole, che avvengono fuori delle rete.
    Il fatto del ‘silenzio percepito’, quasi che fosse l’unica (inesistente) risposta all’attacco massiccio nei confronti delle donne dipende, secondo me, sicuramente dal silenzio dei media, dallo scarto vertiginoso che c’è tra l’entità delle reazioni e quello dell’attacco e, per ultimo, al fatto, da non sottovalutare, che la modalità di reazione delle donne è sempre stata la piazza, per una questione di visibilità e di riappropriazione della dimensione pubblica.
    Mancando questa modalità sembra che manchi la reazione.
    Potremmo inventare un nuovo slogan: ‘tremata tremate le streghe son cambiate’. E quella del cambiamento di modalità, e del conseguente spiazzamento, potrebbe essere forse una buona strategia.

  10. Scusate, ma non capisco (e mi sembra cieco) questo levare di scudi contro l’art. della Urbinati (attualmente insegna alla Columbia University, se ben ricordo, costretta ad emigrare perchè in Italia non c’era posto per questo cervello) e, in particolare, sulla conclusione
    Non è forse vero che nelle storie delle donne o donn-ine è “riflessa la storia tragica e patetica delle loro case e delle loro città”? Ci dimentichiamo dell’educazione famigliare e scolastica delegata all’unica vera grande educatrice che è la TV? La Lipparini che lavora nei media e nel mondo dell’informazione lo dovrebbe ben sapere. Non è forse il caso di gridare SPEGNETE LA TV? E’ vero, c’è anche la rete, ma sulla rete c’è ciò che si vuole cercare e le famiglie di queste donn-ine cercano forse sulla rete la storia del femminismo? Sì, io sono sconcertata da queste ragazz-ine, da dibattiti fra donne in radio che giustificano il comportamento di queste donn-ine: basta! Il giustificare non è forse una forma di silenzio-assenso di come l’informazione tratta il corpo delle donne? Dire apertamente che quando succedono queste vicende – il “papi”- l’etica politica viene calpestata, il rispetto di noi cittadine schiacciato.
    Quindi, dove è Nadia Urbinati? Vi consiglio di leggere il seguente articolo http://www.lavoce.info/articoli/-informazione/pagina1001190.html e di guardare il doumentario “Il corpo delle donne”.

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