Eleonora scrive alla 27ma ora. Però scrive, nel frattempo, anche a me. E io le pubblico.
Buongiorno,
mi presento molto brevemente. Sono una giovane donna di 27 anni, praticante avvocato e vivo a Milano. È da un po’ di tempo che leggo la vostra rubrica “La 27 Ora” e ho deciso di scrivervi per esprimere un mio pensiero a tale riguardo.
Partiamo dal titolo dell’articolo di oggi 21 ottobre 2013, “Femminismo e torte: tornare in cucina mi ha dato forza e libertà”. Oppure il titolo di ieri “Basta Super donne
Facciamo quello che possiamo
(e ci piace)”. Altro titolo di data non precisata “Del genere femminile come genio universale”.
Leggendo questi articoli ho provato un profondo senso di sconforto ed amarezza: quello che trapela è una dicotomia uomo – donna, a volte in favore dell’uno, altre volte (e più spesso) in favore dell’altra (d’altronde il blog “La 27 ora” è nato per dare spazio alla voce delle donne giusto?).
Corollario di questo atteggiamento dualistico sono proprio le questioni che vengono poste in questi articoli, ad esempio, “può una donna mediamente emancipata, con titolo di studio e lavoro che la soddisfa ammettere, con sé stessa e con gli altri che sì, le piace cucinare?” ; oppure “se non avessero ragione, dopotutto, le Sheryl Sandberg e Anne-Marie Slaughter del «Fatevi avanti», del «Yes, you can», del «Le donne possono avere tutto e contemporaneamente»? Se la via alla realizzazione femminile fosse un’altra, e meno massacrante?”
Sì perché, sempre secondo l’autrice dell’articolo “Basta super donne”, il femminismo avrebbe portato ad esigere da se stesse di essere la mamma perfetta, la manager perfetta, la moglie perfetta e tutto questo contemporaneamente.
Ma come si fa a fare tutto? Non siamo Wonder Woman. Ecco che quindi ci viene prospettata una saggia soluzione dall’autrice: gli uomini. Esseri tutt’altro che perfetti e menefreghisti. Prendiamo spunto da loro e vivremo meglio. Fine dell’articolo.
Cara redazione del Corriere della Sera, ecco, io a fronte di tutto questo mi chiedo solo una cosa. Perché? Perché in un blog che si prefigge di essere portavoce dell’universo femminile, facendo emergere le disuguaglianze che purtroppo ancora sono presenti nella nostra società, vengono invece veicolate idee tanto stupide quanto pericolose?
Il femminismo non è fare il tifo per le donne, non siamo ad un derby e non stiamo giocando nessuna partita. Perché sottolineate sempre ( a volte esplicitamente, a volte subdolamente) la dicotomia uomo – donna , “ruoli da uomo” – “ruoli da donna”? Che senso ha scrivere un articolo in cui si prende in esame se la passione culinaria femminile possa essere interpretata come una sconfitta per una donna emancipata? Qual è il ragionamento sotteso a tale quesito? Una donna emancipata non può amare cucinare?
Questi articoli sono benzina sul fuoco della discriminazione. Il problema è appunto questo. Ragionare in maniera manicheista, dicotomica, ragionare per ruoli.
Cosa significa essere una donna? C’è un quid che identifica l’essere donna e l’essere uomo, a parte gli organi sessuali? Ci sono comportamenti consoni alla donna e altri consoni all’uomo? Chi decide se un dato comportamento è “femminile” oppure “maschile”?
Non si diventa “donna” e non si diventa “uomo”. Si diventa solo una Persona. Non esistono comportamenti tipicamente femminili e tipicamente maschili che non siano altro che banali stereotipi codificati in un dato momento storico da un determinato gruppo di persone.
Non ci trovo nulla di anomalo nel comportamento di un padre che sceglie di stare a casa ad accudire i figli mentre la moglie/compagna lavora, così come non trovo retrogrado e maschilista il fatto di una donna che sceglie di occuparsi dei figli a discapito della carriera. L’importante è che tutti, uomo e donna, siano messi nella condizione di avere le stesse possibilità di scelta.
Gli stereotipi di genere, inculcatici fin dalla giovane età, sono la causa di molti problemi della nostra società. Una corretta educazione di tipo “neutrale” aiuterebbe a contrastare l’omofobia, il femminicidio, il bullismo e altre forme di discriminazione a cui assistiamo ogni giorno. Ma questo è un altro discorso.
In conclusione, trovo che quotidiani importanti e di grande diffusione come il “Corriere della Sera” abbiano una grande responsabilità nei confronti della società, perché le idee, il pensiero, il sentire di una data Comunità passa anche dalla stampa, da quello che si legge ogni giorno mentre si sorseggia il caffè. Leggere articoli in cui a giorni alterni si fa il tifo per la donna o per l’uomo o comunque si sottolineano continuamente le differenze di genere, non ci farà progredire e non aiuterà la donna nel raggiungimento di una effettiva parità dei diritti.
Io non mi sento né “donna”, né “uomo”, mi sento e sono solamente una Persona”.
Come non essere totalmente d’accordo.
tutto corretto e apprezzabile, ma un po’ naif. Un problema storico del nostro femminismo è anche quello di mettere sullo stesso piano posizione personale e aspirazioni politiche collettive. Mi fa piacere quando l’autrice dice che non ci trova nulla di strano se un padre resta a casa ad accudire i figli, ma il fatto che per lei non sia un problema non vuol dire che il problema non esista. L’Egalité du chance non esiste in Italia, e sostenere una teoria senza applicarla nella realtà a livello collettivo è solo un buon proposito (o una manifestazione di irrealismo).
Non entro proprio nel discorso “non esiste maschile/femminile ma solo Persone” perché si dovrebbero scomodare categorie del discorso troppo complesse e non è nemmeno quello il punto del post.
Non sono giovane ma non trovo scandaloso che un uomo si occupi della casa e dei bambini. Il problema non è quasi mai femminile ma maschile sì. Un uomo che non porta a casa lo stipendio (perchè di lavoro a casa ce n’è a iosa) si sentirebbe una nullità e solo a parole dice di rinunciarvi volentieri in favore della “comoda” vita casalinga.
La 27 Ora qualcuno che non ricordo l’ha definita, poco elegantemente, “il ghetto rosa”. Mi sa però che non aveva tutti i torti.
E comunque la Persona che ha scritto quella lettera ha ragione da vendere. A enunciarlo, il problema, mi pare perfino banale: garantire l’assoluta neutralità della sfera dei diritti (e quindi della legislazione) rispetto al genere (ma anche all’etnia e a tante altre cose), e al contempo lasciare liberi i singoli e le singole di scegliere la vita che maggiormente aggrada loro. Esiste però il problema delle esternalità negative che i comportamenti prevalenti, affermandosi come modelli, possono comportare: se il 90% delle donne preferisse stare a casa, per il restante 10% sarebbe problematico affermarsi professionalmente perché verrebbero vissute come soggetti anomali (il che, con percentuali meno vistose, è ciò che accade ora). Questa seconda tematica è tutta politica, ed è quello, io credo, il contesto entro il quale andrebbe affrontata e risolta.
Mah no, io per esempio non sono completamente d’accordo. Non perchè mi piaccia la 27ima ora, che infatti non seguo proprio – ma non concordo sulla totale scotomizzazione della differenza di genere, e trovo che venga sempre tanto bene tirarla fuori quando non si hanno figli. Quando i figli arrivano la differenza bussa, e non basta adibirla in toto alla cultura che abitiamo. E poi concordo comunque su tutto quanto dice Mag march, e sui problemi che hanno le persone concrete nel mondo concreto. Di fatto coniugare genitorialità e lavoro nel mondo di oggi, con la famiglia nucleare che non conta nè sullo stato moderno, nè sull’antica rete familiare, fa fatica, e fa meno figli che deve però far mangiare. La divisione dei ruoli secondo un copione rodato è una soluzione che per molti funziona ancora. La lettera è carina, ma dista dalla realtà concreta e ha quella stessa naivitè per cui mi tengo lontana dalla rubrica del corriere della sera.
I media sono zeppi di semplicazioni e luoghi comuni; toccherebbe anche ai lettori dissentire per reindirizzarli, visto che puntano a vendere il prodotto.
Sullo specifico, condivido abbastanza il punto di vista di zauberei.
Leggo da un pezzo come un’educazione, a partire dalla scelta dei giocattoli e dall’atteggiamento dei genitori, meno banalmente insistita sul genere possa formare “persone” non intercambiabili (le differenze ci sono, e non si riducono alla fisicità) ma culturalmente pronte a svolgere molti ruoli. Non la vedo molto praticata, consulterei volentieri i risultati di una sperimentazione, se esistono.
Quanto alla passione per la cucina (non ho letto 27ora), mi sembra la meno adatta connotare in negativo sia femmine che maschi. I quali, ormai legione, da un pezzo si mettono ai fornelli con vero gusto. Potrei elencarne, già tra amici e parenti della mia cerchia ristretta, un bel numero.
Ho letto con piacere e condiviso le opinioni di Eleonora.Grazie.
Io non vado a cercarmi la 27ma ora, ma se la incontro le do un’occhiata, anche perché non è sempre male, va detto. Il post in questione l’avevo visto e avevo pensato: che occasione persa. Mi sento vicina a quanto è stato scritto da zauberei e virginialess. Il punto, come di recente ho sentito ribadire a una meravigliosa Gloria Steinem, è che sempre più uomini si rendano conto di quanto è importante avere cura della famiglia e dei figli – o insomma, anche nel caso in cui non ci siano figli o famiglia, semplicemente avere cura (del pianeta, di tutto ciò che ne ha bisogno). E in un articolo tradotto su Micromega, Nancy Fraser invita a combattere “per una forma di vita che non metta al centro il lavoro di scambio ma valorizzi le attività che producono valore d’uso, tra cui – ma non solo – il lavoro di cura.” Io interpreto tutto questo come un invito a uscire dalla logica da una parte di rivendicare il lavoro di cura e dall’altra di considerarlo come una prigione, anche perché non è certo così che si convincerà nessun uomo a condividerlo. Che poi il punto non è nemmeno solo questo. Credo che dargli valore, riconoscere quel valore, sia il cambiamento di cui abbiamo tutti bisogno, uomini e donne, senza però – e per me è importante – che questo significhi rinunciare alle differenze. E potremmo cominciare dalla domanda di una terapeuta familiare femminista americana che sto leggendo: forse che far crescere dei figli è un lavoro meno complicato che, non so, vendere macchine usate?
Io ho sempre visto la 27ma ora come un’operazione commerciale, vi ricordate in quale momento è uscito? Mi è sembrato puro sciacallaggio, non un servizio o un contributo alla discussione su questi temi.
Non trovo stupidi gli autori o i loro articoli, trovo *grave* che chi ha gli strumenti culturali per promuovere un vero dibattito non solo non si attivi per avviarlo, ma intenzionalmente lo sostituisca con contenuti assolutamente di basso livello e che mascherano e deformano i veri temi importanti.
Sono tutti articoli esca, fatti per scatenare flame tra i lettori, rare volte ho trovato qualche spunto interessante. Che delusione.
“Io non mi sento né “donna”, né “uomo”, mi sento e sono solamente una Persona”, una frase che ho sentito tante volte anche tra omosessuali (uomini e donne)… con un sottinteso terribile: non ci vogliamo confrontare con le nostre diversità.
Se continuiamo a confondere ciò che singolarmente “sentiamo” con ciò che facciamo socialmente e non impariamo a vederli e comprenderli prima in maniera separata per poi reintegrarli con una accresciuta consapevolezza, temo che non usciremo dall’impasse che opprime tutte le minoranze, compresa la più numerosa di tutte (le donne).
Una percezione che prescinda dai ruoli di genere (e di orientamento sessuale) presuppone infatti preventivamente una grande consapevolezza del proprio essere uomini e donne, etero, bi e omosessuali, non la loro (comoda?) negazione: nel “qui e ora” la percezione dei ruoli è molto ben fissata, dichiarare di averla superata può aver valore per sé, non certo per l’insieme della nostra società attuale. E rischia di creare un disimpegno involontariamente omologante.
Dò ragione a chi sposta l’attenzione sugli aspetti quotidiani, pratici. Ma domando loro: come si possono accettare o contrastare senza una consapevolezza di essi e delle loro implicazioni, senza un vero dibattito pubblico che coinvolga tutte le rappresentazioni collettive che ci riguardano (penso al ruolo fondamentale della pubblicità, ad esempio)?
L’articolo mi sembra lo sfogo di un’anima bella che però non vede (non vuol vedere?) ciò che non va attorno a sé. E non credo basti un uomo ai fornelli per gridare alla rivoluzione avvenuta. Purtroppo.
Se portassero entrambi gli stessi abiti la loro apparenza sarebbe la stessa. Fin qui l’opinione di alcuni filosofi e dei più saggi, mai in complesso la nostra è ben diversa. Per fortuna la differenza dei sessi è assai più profonda.
Virginia Woolf (Orlando)
Forse ci voleva l’ ingenuità di Eleonora per far risultare in tutta la sua enormità il paradosso del femminismo dell’ uguaglianza .Con femminismo dell’uguaglianza intendo quello che nega ogni qualsivoglia diversità tra uomo e donna, o comunque tali diversità vengono bollate come “stereotipi di genere” , o “culturali”, cioè imposte da un sistema. Le diversità contestate in genere sono quelle riferite al comportamento, le attitudini e propensioni, ( es. quella alla cura) ma manche quelle biologiche, possono, secondo alcuni estremismi , essere frutto di imposizioni culturali. Ma qui stiamo volando troppo alto. Eleonora ci dice semplicemente a noi tutti;” ma se uomini e donne sono uguali, che senso ha per es. occuparsi dei problemi sociali dal punto di vista femminile? Se ci interessiamo “troppo” dei problemi delle donne, non è che alla fine ghettizziamo ancora , decretando la loro debolezza?
La soluzione in realtà , secondo lei, è l’abolizione delle supposte diversità a partire dalla scuola, non più bambini e bambine ( via i grembiulini!), solo persone. questa abolizione in effetti risolverebbe gran parte dei problemi che affliggono l’universo femminile, se infatti facciamo sparire le peculiarità delle donne sparisce anche il loro universo, le donne stesse, per cui nel radioso avvenire non più differenze e discriminazioni.
Ora, più seriamente, la differenza tra uomo e donna c’è. Le donne, a quanto mi dicono, hanno la possibilità di generare partorire e allattare, ma queste diversità ( che poi sono opportunità in più), vengono appunto scotomizzate, sia da un certo femminismo, sia dall’emergente sistema riproduttivo tecnobiologico. Entrambi hanno interesse a negare queste peculiarità della donna; le femministe perché temono gli “sterotipi di genere” i tecno biologici, perché hanno tutto l’interesse a questa espropriazione dell’autonomia riproduttiva . La maternità viene in questi ambienti problematizzata, complicata, “snaturalizzata, sempre più ostaggio ( più che alleata) del sistema sanitario. Per cui i parlerà piuttosto di allattamento artificiale , epidurale o aborto, perché il fine non è il sostegno alla maternità, ma la sua negazione.
La soluzione riproduttiva accettata è quella bioteconologica, l’utero in affitto, di cui invece non si parla molto, anche nel suo clamoroso aspetto di sfruttamento e schiavitù. In questo caso la donna, con buona pace della tecnologia e di certi femminismi, non è più madre, non è più una persona, ma un utero da sfruttare.
ciao,k.
Grazie ad Ilaria per il commento che va al nucleo della questione: i “servizi” di cura e accudimento sono sempre stati estorti alle donne approfittando proprio della componente emotiva che sta alla base della loro prestazione, ma sono quelli, come tutte/i sappiamo, o come dovremmo sapere, che permettono a tutto il resto di funzionare. Toglierli dal fuori campo e illuminarli ben ben servirebbe a capire che tutte/i possono prendervi parte, e che il tempo che ciascuna/o di noi vi dedica nell’arco della vita è tempo di lavoro e di vita.
“Ora, più seriamente, la differenza tra uomo e donna c’è. Le donne, a quanto mi dicono, hanno la possibilità di generare partorire e allattare”.
Da cui non scaturisce “naturalmente” che le donne *debbano* (o si realizzino in parte o del tutto) generare o vivere in funzione di ascendenti e discendenti. C’è una bella cosa che si chiama “autodeterminazione” o libertà di scegliersi la propria vita.
By the way, qualcuno presti attenzione al fenomeno mediatico Bergoglio, con la sua ossessione del *dover* essere madri e non “zitelle”
Non si diventa “donna” e non si diventa “uomo”. Si diventa solo una Persona.
Come giustamente fanno notare alcuni commenti, se è vero che siamo tutti esseri umani, ad un certo punto alcuni di questi esseri umani si gonfiano e devono assentarsi dal lavoro per partorire. A questo punto il datore di lavoro, giustamente indignato di fronte ad una persona che si ostina a comportarsi da “donna” e a giocare questa stupida partita tra maschietti e femminucce priva di senso, tira fuori dal cassetto un bel foglio con le dimissioni già firmate: giusto tutelarsi da sciocchi stereotipi culturali, non vi pare?
E le femministe, poi… Perché stanno dalla parte delle donne? Non si spiega come possa essersi sviluppato un movimento del genere. Eliminiamo il femminismo (la parola stessa è offensiva, non vi pare?) e vedrete che tutto andrà a posto: i grembiulini azzurri e rosa scompariranno, come per magia, la lingua italiana creerà dal nulla il genere neutro e l’amore e la pace scenderanno su questa società turbata dalla dicotomia uomo-donna…
Sono l’autrice della lettera. Faccio alcune precisazioni, perché a quanto pare leggere una lettera con attenzione prima di commentare è un lusso che pochi possono permettersi.
1) Ci sono differenze tra i sessi: differenze biologiche (sessuali) ma non di genere. Sesso e genere sono due concetti differenti. Il “sesso” definisce le caratteristiche biologiche di donne e uomini. Il “genere” è una costruzione sociale che “cuce” addosso ad ogni sesso stereotipi, comportamenti, tratti caratteriali, modi di fare, ecc. che vengono spacciati per “tipici” di quel sesso.
Nella mia lettera scrivo appunto: “C’è un quid che identifica l’essere donna e l’essere uomo, a parte gli organi sessuali? Ci sono comportamenti consoni alla donna e altri consoni all’uomo? Chi decide se un dato comportamento è “femminile” oppure “maschile”?”
2) Quella di cui al punto 1 è una mia opinione, che purtroppo non rispecchia il sentire comune di oggi. Gli stereotipi di genere ammorbano la società italiana, in cui non vi è pari accesso alle opportunità, in cui non sono garantiti pari diritti. La donna è spesso rappresentata o santa (nelle sue varie declinazioni di moglie o mamma) o troia e l’uomo è o l’essere dominante o l’eterno bambino da accudire, il pasticcione, che quando ha un ruolo attivo nella genitorialità viene definito “mammo”.
Sottolineo ancora una volta: sostengo che non vi sono/non dovrebbero esserci differenze/stereotipi di genere, ma, purtroppo, oggi, 29 ottobre 2013, nella nostra società ci sono eccome.
La soluzione che prospetto non è certo quella che ha dedotto il lettore/lettrice K nel suo commento “Eleonora ci dice semplicemente a noi tutti;” ma se uomini e donne sono uguali, che senso ha per es. occuparsi dei problemi sociali dal punto di vista femminile? Se ci interessiamo “troppo” dei problemi delle donne, non è che alla fine ghettizziamo ancora, decretando la loro debolezza?”
Non ho mai detto né sottinteso una simile fesseria. Anzi.
Ma occuparci dei problemi sociali dal punto di vista femminile non è chiedersi se una donna emancipata possa cucinare. Non è additare l’uomo come essere imperfetto e menefreghista, da cui prendere esempio. Questo è sessismo.
Il femminismo – preciso: la mia concezione di femminismo – è diametralmente opposta. Il femminismo è avere pari libertà di scelta per uomini e donne. Il femminismo è autodeterminazione.
E di fronte alla continua negazione di questa libertà, bisogna agire:
occorre sensibilizzare la società, occorre fare emergere i rigidi stereotipi che ancora ci attanagliano, a partire dalla stampa, dalla pubblicità, dalla tv, dalle sedicenti femministe opinioniste (vedi Concita De Gregorio).
Occorre parlare di temi importanti e fondamentali come la violenza di genere, il sostegno alla genitorialità (sottolineo, ho scritto “genitorialità”), il congedo di maternità in Italia e metterlo a confronto con altri Paesi. A tale proposito (considerando anche i non pochi commenti alla mia lettera riguardanti il tema “donna – madre – procreazione”) voglio consigliare la lettura di un bellissimo, intelligente ed esaustivo articolo di un blog, altrettanto intelligente ed importante per le battaglie che sta conducendo. Il blog è http://comunicazionedigenere.wordpress.com/
L’articolo è questo: http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2013/10/24/perche-il-problema-non-e-la-durata-del-congedo-di-maternita/. Leggetelo.
In conclusione, “femminismo” e “neutralità di genere” non significano “appiattimento, uguaglianza omologante e disimpegno politico” come qualcuno ha scritto. Significano anzi: impegno culturale e politico per favorire e promuovere una formazione libera ed autonoma dell’individuo, della Persona, scevra da stereotipi che incasellano l’uomo e la donna rispettivamente come dominatore/sottosviluppato da accudire– santa/puttana.
Ecco perché tutti, uomo e donna, dovremmo essere femministi.
Mi ha fatto piacere leggere il commento di Alessandra che ricorda di quando papa Francesco in un incontro con le suore, le invitava a “essere madri e non zittelle”. mi sembra che quelle poche parole del papa possono riuscire ad accordare punti di vista diversi pure in guesta discussione;. Rivolgendosi così a delle suore, invita infatti a pensare che la condizione di chi, per scelta o costrizione esterna, non genera figli,,. non necessariamente è una condizione castrante, ( con questa accezione negativa, ci si riferiva alle zittelle”), ma può a pieno diritto vivere una vita completa. come appunto dovrebbe essere la condizione di ogniuno. Sottolineando però che la vera maturità di una Persona corrisponde al periodo in cui essa è in grado di proteggere i più piccoli e sostenere i più deboli, e anziani. così è un adulto( pensare alla statua di enea anchise e ascanio)
naturale che questo avvenga nella famiglia, ma può realizzarsi benissimo anche in comunità diverse.
Le persone immature invece, sono quelle egoiste , incapaci di pensare ad altro al di fuori di sé, come i fanno i bambini, che tutto vogliono e desiderano, ingenuamente convinti della loro immensa “autodeterminazione”…
ciao,k.
Interessante che il discorso sulle suore venga ripreso e soprattutto in questi termini, visto che le suore cattoliche americane sono state messe sotto commissariamento proprio perché si occupavano – da madri, se vogliamo – dei poveri e bisognosi, invece di preoccuparsi di fare rispettare la dottrina soprattutto in materia di negazione del diritto all’autodeterminazione (fare le “zitelle”, se vogliamo continuare nella contrapposizione non proprio elegante, e soprattutto non priva di antipatici e ingiusti significati nemmeno troppo vagamente sessisti.) E’ vero che si era trattato di una iniziativa di Benedetto XVI, come è altrettanto vero che l’incaricato della supervisione è stato confermato da Francesco. Una delle suore, ex preside della facoltà di teologia di Yale, e che ha visto un suo libro censurato da Benedetto perché, tra altre cose, celebrava il piacere femminile ed era favorevole al matrimonio tra omosessuali, è ora convinta che Francesco sia “teachable” sui temi dell’autodeterminazione e del ruolo delle donne all’interno della Chiesa, come anche dei diritti reali degli omosessuali (e non parlo solo dell’accogliere le persone, che questo la dottrina di già lo dice). Vedremo.
Poi magari più che le distinzioni di genere sono le discriminazioni e le gerarchie di potere e di status legate alle cristallizzazioni di ruoli, in primis quello di cura, sulle quali dobbiamo concentrarci, trovando strade per uscire dalla prigione degli stereotipi. Dunque mi fa piacere sentire che anche k è d’accordo, se ho ben capito, sulla necessità e anche sulla bellezza di una più ampia condivisione di certe occupazioni da parte dei diversi generi. Insomma, possiamo tutti essere più o meno metaforicamente genitori, come anche trovare nuove parole per definire i nostri ruoli. Le suore sono donne che hanno scelto di non essere madri, e nemmeno zitelle. Alcune sono anche avvocate e dirigono gruppi di pressione per una maggiore giustizia sociale, in USA.
“Ma occuparci dei problemi sociali dal punto di vista femminile non è chiedersi se una donna emancipata possa cucinare.”
Quando la de Beauvoir diceva “donna non si nasce, si diventa”, ci invitata ad analizzare gli stereotipi di genere per decostruirli. Forse la 27esima ora pecca di superficialità, ma decostruire gli stereotipi significa anche interrogarsi sul lavoro di cura, sul valore che esso ha per la società e sul perché e il percome oggi questo valore non viene riconosciuto: perché gli uomini ancora oggi non cucinano e il lavoro domestico è a carico delle donne anche quando queste donne lavorano fuori casa? Come mai l’ingresso nel mondo del lavoro non ha contribuito a debellare determinati stereotipi? Che genere di violenza simbolica subiamo e messa in atto da chi?
Sono molte oggi che si interrogano sul significato di empowerment e le questioni sono molto più complesse del principio “uomini e donne devono essere liberi di scegliere”: liberi di scegliere tra quali opportunità? Chi dovrebbe offrirle queste opportunità? E inoltre: con quale consapevolezza opero delle scelte?
Penso ad esempio a Vandana Shiva e alla sua battaglia per la biodoversità… Posso considerarmi emancipata se sono una impiegata della Monsanto? O sono solo la serva di un potere economico che sta distruggendo questo pianeta? Un potere economico creato da chi?
E’ per questo che lettera è stata giudicata un po’ naif…