Come molti, sono rimasta colpita dalla decisione del coro dei Crodaioli di cessare l’attività. In cerca di silenzio, visto che l’ascolto non è possibile. E’ difficile, dicono, tacere per ascoltare il canto di un gruppo di persone che armonizzano le proprie voci, è difficile parlare se non si parla facile, svelto, immediato. Vale, credo, per tutti.
Quando, dodici anni fa, ragionavo sulla diversità dei modelli proposti alle bambine e ai bambini, mi stupivo per due fenomeni. Il primo, di cui ci si era reso conto tardissimo, era la cosiddetta re-genderization, il ritorno alla differenziazione per genere sessuale in atto fin dagli anni Novanta nella produzione e diffusione di giocattoli, programmi televisivi, libri, cartoni. Il secondo era l’allarme che attorno alle bambine e ai bambini veniva creato. Ancora una volta partiva dagli anni Novanta, nella campagna di terrore che si diffondeva attorno ai piccoli, alla caccia alle streghe nei confronti di chiunque, presunti pedofili, cartoni animati degenerati, compagni di scuola ritenuti inadatti, attentasse all’unicità e alla perfezione del proprio figlio.
Dodici anni dopo, le cose sono migliorate e peggiorate. Nella produzione di immaginario destinato alle bambine e ai bambini si fa, almeno nella maggior parte dei casi, maggiore attenzione. Forse persino troppa, e proverò a spiegare perché. Dodici anni fa, le eroine delle storie non erano numerose come lo sono oggi. Oggi la stragrande maggioranza dei film Disney ha come protagonista una ragazza. I romanzi Young adult hanno ragazze come protagoniste o coprotagoniste nel peggiore dei casi. Difficilmente, credo, si ripeterebbe l’esperimento di 13 anni fa, quando
un professore di Medicina della Columbia University, Allan Lazar, un programmatore di computer del Mit di Boston, Dan Karlan, e un ingegnere, Jeremy Salter, compilano una lista di miti contemporanei e scrivono un libro, I 101 personaggi che più hanno influenzato la storia senza essere mai esistiti. Fra i primi cinquanta ci sono il Principe azzurro, Sigfrido, James Bond, Marlboro Man, Babbo Natale, Edipo, Sherlock Holmes, Apollo. I personaggi femminili, va da sé, erano in numero molto minore: Pandora, la sventata fanciulla creata da Efesto che scoperchiò il vaso fatale lasciando che il male si diffondesse nel mondo. Cenerentola, che solo grazie al matrimonio riscatta la propria miseria. Lady Chatterley, che celebra il piacere femminile (dal punto di vista maschile). Giulietta, l’innamorata (ma in compagnia di Romeo). Barbie. Hester Prynne, l’adultera della Lettera scarlatta. Uniche tre eccezioni alla prevedibilità: Rosie the Riveter, l’operaia-simbolo che durante la Seconda guerra mondiale sostituiva in fabbrica i maschi al fronte. Nora Helmer, che in Casa di bambola di Ibsen fugge da un destino segnato. E Buffy l’ammazzavampiri.
Oggi abbiamo Katniss Everdeen dalla serie Hunger Games di Suzanne Collins, l’ultima jedi di Star Wars è una ragazza, il Trono di spade si è sviluppato come una guerra fra regine. E via così.
E soprattutto, sull’onda delle Storie della buonanotte per bambine ribelli esiste una produzione editoriale vastissima che va in questa direzione.
Aiuta?
Non lo so. Sono qui per esporre dubbi, non per fornire certezza. Penso che ci sia un rischio, come sempre avviene in questi casi, quando un argomento, un tema, un filone, diventano enormemente popolari: che è quello di sminuire l’argomento stesso e il filone stesso.
Dopo quelle storie della buonanotte abbiamo avuto, in ordine sparso:
Io sono una bambina ribelle. Il quaderno delle mie rivoluzioni
Io sono una ragazza ribelle. Storie incredibili di donne coraggiose. Tante attività per diventare come loro
Sarò una principessa ribelle!: Io mi salvo da sola…
Le donne son guerriere. 26 ribelli che hanno cambiato il mondo. Edizione a colori
Come crescere bambine ribelli & bambini illuminati
Il Diario Delle Bambine Ribelli: libretto d’appunti Blocco Notes Quaderno Agendina Diario
Storie della buonanotte per ragazze senza paura
Tanta roba, certo. Qual è il problema che si pone in questo caso? E’ quello, secondo me, di un eccesso di zelo che fa sì che la narrativa si metta al servizio di un messaggio che non viene ritenuto semplicemente giusto, perché lo sarebbe, ma funzionale e vendibile. Anche al prezzo, e mi riferisco al libro capostipite, di inserire Margaret Thatcher come modello per le bambine ribelli, e una politica cui si deve la frase più devastante mai pronunciata (non esiste la società, esiste la famiglia) non è esattamente un modello a cui aspirare, così come risulta sconcertante l’aver dipinto Virginia Woolf semplicemente come una donna depressa.
Ora, andrebbe anche bene, e forse bisognerebbe soltanto rallegrarsi della moltiplicazione dei modelli femminili quando fino a dodici anni fa i modelli femminili per le bambine erano le Winx. “A grande potere corrisponde grande popolarità”, ricordate?
Però. Una delle vere, grandi ribelli, come Matilde di Roald Dahl viene vissuta da molte madri come un problema perché mette in discussione il mondo degli adulti. Però. In molte scuole viene proibito Cappuccetto rosso, perché non femminista, e perché i lupi non si uccidono. Però. Molta della produzione letteraria per l’infanzia è diventata didascalica: contro il bullismo, contro il razzismo, contro la mafia e va bene tutto, certissimo, ma tutto è realistico, scala uno a uno.
Quando il messaggio che si ritiene accettabile dagli adulti uccide l’immaginazione – e ben lo sapeva Rodari, e speriamo che venga ricordato nell’anno rodariano imminente -, abbiamo un problema. O più di uno.
Primo, il maschile. La fragilità del maschile a confronto di modelli femminili ribelli e vincenti è una questione da affrontare, e non da espellere.
Secondo, il saggio immaginario dei libri non tiene conto della realtà dei giocattoli. Dove la regenderizzazione è ancora fortissima. Un giretto su Amazon e abbiamo ancora la stessa separazione: per le bambine l’Atelier dei gioielli e l’Atelier delle unghie, la tenda principessa di veli rosa, il magico forno, la toletta giocattolo, la macchina da cucire, la Sapientina, il set di accessori per capelli di Frozen. Per i bambini, il solito: aerei soldati macchine armi.
Dunque, la questione è semplice: ci sono stati passi avanti, ma il timore è che quei passi avanti siano, almeno in parte, una faccenda di facciata. Pinkwashing, si chiama. Il femminile, anzi il femminista, vende. Allo stesso modo in cui vende il greenwashing, e tutti di colpo si scoprono ambientalisti, salvo dare addosso a Greta Thunberg perché troppo giovane.
Come si vede, la faccenda è enormemente problematica.
Come se ne esce?
Ps. Questi sono alcuni degli argomenti di cui parlerò domani ad Asti per Ethica Forum.
Venerdì, invece, sarò fra Alba e il Castello di Grinzane Cavour per ascoltare Murakami Haruki in religioso silenzio e per la cerimonia di Premiazione del Lattes Grinzane.
Domenica alle 18 sono a InQuiete per una lettura da Magia nera. A lunedì.
al di là del maschile e del femminile, e della moda del gender, e dei corsi e ricorsi della storia e della cultura, il primo pericolo rimane la riduzione, la compressione (se non l’abolizione) degli spazi narrativi: svuotando l’immaginazione non si perde la mera “fantasia”, ma una dimensione decisiva della costruzione del pensiero astratto.
Narrazione e pensiero astratto sono l’una il riflesso dell’altro.
@venetianangel