In mancanza di azioni governative (perché, sostiene Fornero, i passi grandi contro la violenza sulle donne non si possono fare, c’è la crisi) si discute sull’ennesima morta. Una ragazzina, una diciassettenne. In mancanza di altro, si dice che insomma la colpa è della madre dell’assassino, che ha pure la faccia tosta di dire che il medesimo è un bravo ragazzo (senza considerare che, come notava Claudio su facebook, molto probabilmente stava dicendo la verità, perché gli assassini di donne sono bravi ragazzi e bravi uomini finchè non “si spegne la luce”, e forse sarebbe il caso di capire come evitare che la luce si spenga invece di puntare il ditino e basta). Comunque, le parole sono quel che abbiamo, al momento: usiamole. Apro dunque il blog agli interventi di donne e uomini che desiderino scrivere le proprie riflessioni sulla questione. Comincio oggi con l’articolo di Monica Pepe di Zeroviolenzadonne.
Il sorriso e la morte. Cosa non diciamo sulla violenza sulle donne.
Quando le Tv indugiano su quelle immagini che ci parlano con il sorriso delle giovani vittime e dei giovani carnefici, non c’è più nulla da fare. Rimaniamo sgomenti e basta. E’ la vita di giovanissime come nel caso di Carmela o meno giovani donne che incontriamo ogni giorno per la strada. Istantanee di vita quotidiana felice che si dilatano per noi in un fermo immagine senza tempo, e non più riavvolgibile. Carmela sacrifica la sua vita per salvare la sorella dal suo ex fidanzato, un gesto di grande coraggio costretto dal sesso a cui appartiene l’autrice a intristire nella sua ineluttabilità. Stridono quelle immagini lontane anni luce come sono dal frammento della tragedia in cui precipitano. Stride anche quella di Samuele che sorride, assassino a 23 anni per “amore”, destinato a diventare uomo passando attraverso molte sofferenze. Davanti alla Tv indaghiamo mentalmente sulla famiglie, se a noi come genitori e adulti potrebbe mai accadere. E chi lo può dire?
Il grande cambiamento da qualche anno a questa parte è il modo con cui ormai anche le Tv si occupano di violenza sulle donne, che in Italia aumentano, al contrario della Spagna, ad esempio. Un Paese con cui possiamo tracciare una comparazione sociale e culturale in cui stanno diminuendo, avendo al contrario di noi effettuato provvedimenti di governo culturali e legislativi concreti e di lungo termine.
E’ caduto da noi, per sempre, anche l’alibi dell’immigrato come colpevole principale delle violenze sulle donne, per legittimare provvedimenti razzisti e demagogici. Perché questo è accaduto negli ultimi anni da parte di governi di destra e di sinistra. Ciò non toglie purtroppo che le violenze sulle donne siano in aumento, anche per le strade, aggravate da condizioni sociali più inique per tutti, oltre che dall’imbarbarimento culturale da cui proveniamo.
Sono molti e anche molto autorevoli gli editorialisti e i giornalisti uomini che scrivono ormai delle violenze che le donne subiscono in quanto donne fino alla morte da parte dei loro compagni o ex. Segno di una indiscutibile soggettività maschile che avanza, anche tra gli uomini comuni. Ma non basta. Il femminicidio è in aumento. Finalmente si fa strada tra mille resistenze da parte di tutti, istituzioni, società e famiglie anche l’evidenza della necessità di introdurre nelle scuole educazione ai sentimenti, sessuale o di rispetto tra i generi, il nome conterà poco rispetto alla sostanza dei programmi.
La manifestazione del 24 novembre del 2007 a Roma, che dopo tanti anni sul tema riportò in piazza 150.000 donne da tutta Italia, tra cui molte straniere, rimandava al mittente le giustificazioni di “raptus” o di “malattia mentale”
quando si parlava di mariti, fidanzati o ex che compivano stupri o femminicidi nei confronti di loro compagni e chiedeva a gran voce un “cambiamento culturale” e una presa di coscienza da parte degli uomini.
Ne sono seguite altre. Ma anche questo non basta.
C’è qualcosa che non riusciamo a dire sulle violenze sulle donne, anche come donne che si occupano ogni giorno di questi temi. C’è una dissoluzione fin troppo evidente ormai dell’identità maschile, che quel gesto di troppi uomini giovanissimi non ci permette più di non dire. Fino a quella conclamata del principio di autorevolezza di cui la politica maschile dovrebbe essere modello. Mancano i padri, mancano gli uomini di riferimento nelle famiglie. Anche le donne non hanno dato spesso in questi anni esempi positivi dell’utilizzo della loro libertà. Non si tratta di moralismo, ma di dire quello che si vede. E se mancano le famiglie, è una questione che riguarda anche le donne. E’ una difficile esplorazione in un Paese come il nostro in cui, le donne per retaggio matriarcale e per compensazione della continua regressione lavorativa e sociale a cui sono costrette, possiedono da sempre le redini delle relazioni intrafamiliari. Ed è per questo che ci dobbiamo interrogare. Non esiste più un discorso pubblico sulla coppia e sulla famiglia italiana. Dal 1995 al 2009 (dati Istat) le separazioni sono aumentate del 65% ed i divorzi sono raddoppiati (+101%).
Certamente è un diritto civile molto importante quello di poter divorziare da una persona con cui non si sta più bene. Però i ragazzi e le ragazze hanno il diritto di poter contare su adulti veri, che danno l’esempio e riempiono la loro vita di senso attraverso atti coerenti. Le ragazze e i ragazzi per crescere con identità sessuate sane e adulte hanno bisogno di figure di riferimento forte, tanto di uomini quanto di donne.
Perché è vero che ci sono dei modelli deteriorati che passano in Tv, ma è anche vero che i primi modelli vengono dalla famiglia e gli adulti invadono continuamente il terreno di crescita dei ragazzi con i loro stessi problemi di ‘crescita’. Dobbiamo parlare e rendere politicamente costruttivi i nessi e le fratture che da sempre legano e separano uomini e donne: nascita, morte, sessualità, cura. E dovremmo finalmente ribellarci in questo Paese solo per il fatto che insieme ad una politica corrotta e incivile stiamo divorando intere generazioni di giovani e il loro diritto di crescere e di essere felici, come individui e come cittadini.
Un commento forse fuori posto, ma che mi viene ogni volta: cosa direi, come mi sentirei se fossi io la madre di quell’ uomo? Ricordo una scena dal libro Captain Corelli’s Mandolin, in cui la madre dello stupratore, cogliendolo sul fatto, lo malediceva e lo rinnegava e lui si andava a buttare in mare e in questa morte in qualche modo ritrovava la sua innocenza di bambino.
Ecco, il retaggio matriarcale è anche questo, non ce lo scordiamo. Che ti strappi dalle viscere un figlio che infrange le regole di sopravvivenza del clan. Il vero matriarcato ha bisogno di potere e autodeterminazione sulle questioni tra vita e morte, una cosa che in Italia, svuotando la legge 194, creando quello che sappiamo sulla fecondazione assistita, evitando un dibattito etico serio sull’ eutanasia, ci siamo persi per strada. E se il macroscenario è quello, cosa cavolo fai come genitore con i tuoi figli?
La violenza può essere ovunque, neppure così nascosta. Follie domestiche, a volte note alla cerchia del pianerottolo, vicinato, parenti silenti. Non posso che essere sollevata da una qualunque discussione pubblica.
Ma resta un dubbio: è una violenza davvero in aumento, o è solo più scoperta (magari anche solo per necessità elettorali e di ascolti)?
Confesso una sensazione di scoramento. Si chiamano gli uomini a farsi carico del problema, ma penso davvero che la maggior parte non sappia proprio da dove cominciare, come non lo so io. Mi riferisco, ovviamente, a quelli che il problema lo sentono, perché sarebbe ipocrita non ammettere che una vastissima fetta di miei congeneri non si sente granché toccata dalla cosa.
Ho sempre sostenuto che sia la politica il luogo dove gli uomini possono confrontarsi su un tema come questo e lo penso ancora, intendendo chiaramente per politica lo spazio pubblico nella sua accezione più vasta, l’insieme di tutte le relazioni interpersonali e non solo lo spazio istituzionale, che pure è importantissimo. Ma in un periodo come questo, in cui quello spazio viene sottratto e si plaude all’operato di tecnici proprio in virtù del loro non essere politici, che possibilità resta di dare corpo a una riflessione collettiva? Quando un ministro dell’istruzione descrive il proprio modello di insegnante ideale non come maestro ma come semplice collettore di conoscenze, facilitatore di apprendimento, che speranza ci può essere per quei ragazzi e quelle ragazze – e sono tanti, forse sono anche la maggior parte – che nascono e crescono in famiglie letteralmente amputate dal punto di vista emotivo e del tutto incapaci di un’educazione ai sentimenti?
Gli uomini hanno bisogno, secondo me, di fare i conti con il proprio rapporto con la violenza. Tutte le manifestazioni della violenza, perché francamente io non ci credo a questi bravi ragazzi innescati come bombe dal puro e semplice rifiuto di una donna: sono convinto che persone così mandino segnali che non sono stati recepiti, che siano pericolosi in generale e non solo per le donne che hanno avuto la sfortuna di trovarseli davanti. La violenza fisica è appannaggio quasi esclusivamente maschile: a caccia ci vanno gli uomini, le statistiche ci dicono che gli omicidi sono compiuti quasi esclusivamente da uomini, il razzismo nelle sue forme fisicamente violente è praticato dagli uomini, le stragi alla Columbine sono quasi sempre compiute d uomini. Dobbiamo capire in che misura le incrostazioni culturali ci condizionano, cosa c’è o – più auspicabilmente – non c’è nel nostro patrimonio genetico in grado di indirizzarci verso comportamenti tanto funesti. Nessuno di noi è in grado di farlo da solo, e se la questione esce dal confronto pubblico è destinata a incancrenirsi nell’ombra, come sta accadendo. Da soli possiamo sì parlare, testimoniare, anche confrontarci, ma resta un confronto sterile, che difficilmente raggiunge i soggetti a rischio e quasi mai è in grado di decondizionarli. Personalmente, avverto la necessità che gli uomini comincino a usare lo spazio pubblico per confrontarsi a 360 gradi, smettendo di appropriarsene per la finalità unica della disputa del potere.
C’è un passo dell’articolo di Monica Pepe di cui mi sfugge il senso; o meglio, che mi lascia molto perplesso. Mi riferisco al passo seguente:
«C’è una dissoluzione fin troppo evidente ormai dell’identità maschile, che quel gesto di troppi uomini giovanissimi non ci permette più di non dire. Fino a quella conclamata del principio di autorevolezza di cui la politica maschile dovrebbe essere modello. Mancano i padri, mancano gli uomini di riferimento nelle famiglie.»
E allora mi chiedo:
– Se c’è «dissoluzione» vuol dire che ciò che è stato distrutto o superato, era buono in sé; o comunque era meno negativo dello stato attuale. Ma davvero l’identità maschile odierna è meno rispettosa della donna di quella di decenni or sono?
– Perché non si dice mai quale dovrebbe essere il tipo di «autorevolezza» maschile auspicabile?
– E poi, che cosa caspita vuol dire «autorevolezza» maschile?
– Davvero «mancano gli uomini di riferimento nelle famiglie»? Sulla base di quali dati si arriva a fare un’affermazione così perentoria?
Ma anche la frase successiva, dove la Pepe coinvolge, in merito alle responsabilità, le donne, mi lascia perplesso. Davvero «mancano le famiglie»? Se così fosse, perché è così bassa la percentuale dei ragazzi che “delinquono”?
La frase sul «divorzio», poi, è veramente triste. Dopo i dati dell’aumento dei divorzi in Italia, la Pepe dice:
«Certamente è un diritto civile molto importante quello di poter divorziare da una persona con cui non si sta più bene. Però i ragazzi e le ragazze hanno il diritto di poter contare su adulti veri, che danno l’esempio e riempiono la loro vita di senso attraverso atti coerenti. Le ragazze e i ragazzi per crescere con identità sessuate sane e adulte hanno bisogno di figure di riferimento forte, tanto di uomini quanto di donne.»
Come a intendere che è colpa di chi divorzia se viene meno un «riferimento forte» nelle famiglie. Posso dire che questa frase è molto … molto cattolica?
La perplessità più grande riguarda il modello di famiglia che la Pepe propone tra le righe. Non già una famiglia “aperta”, bensì chiusa in se stessa e attorcigliata nei ruoli tradizionali. Niente di diverso da quello che dicevano i miei nonni; o da quanto hanno cercato di inculcarmi, in reazione alla mia “ribellione” giovanile, i miei genitori.
http://www.ibs.it/ser/serfat.asp?site=libri&xy=donne+violenza
— In mancanza di altro, si dice che insomma la colpa è della madre dell’assassino, che ha pure la faccia tosta di dire che il medesimo è un bravo ragazzo (senza considerare che, come notava Claudio su facebook, molto probabilmente stava dicendo la verità, perché gli assassini di donne sono bravi ragazzi e bravi uomini finchè non “si spegne la luce” —
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“Nelle nevrosi c’è sempre un deficit di memoria, o nel senso della rimozione o in quello della distorsione. Nella rimozione, intesa in senso psicoanalitico, l’Io sottrae alla coscienza un contenuto psichico spiacevole e disturbante, attivando un meccanismo psichico che opera al di fuori della sfera del conscio. A questo punto, occorre precisare che i meccanismi difensivi dell’Io, a parte la sublimazione, sono sempre patologici, in misura più o meno significativa. Questo vuol dire che sottoporre a rimozione un contenuto psichico determina per forza di cose u…..”
http://www.sublimazioni.it/rimozione.htm
http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/14e4c66a913e07454bcb3087c1766201.pdf
A volte ritornano (e sono pure criptici)
E’ necessario ogni sforzo, serve la nostra presenza in Parlamento per ottenere delle leggi più avanzate sulla violenza di genere. Però nessun partito si schiera apertamente con noi, le donne elette se ne fregano, perchè tanto ormai loro sono a posto, non corrono più io a rischio di essere pestate. Ci vogliono altre vie, ragazze, altre piazze.
le operatrici culturali inoltre dovrebbero forse fare un giro in carcere a trovare i condannati per reati connessi a quanto costituisce oggetto del post e capire a che punto e la notte.Rendersi conto se l’opera di rieducazione sancita dalla costituzione è restata lettera morta oppure se qualcuno dei colpevoli dentro ha maturato una nuova consapevolezza meritevole di essere tradotta fuori da quelle camere di redenzione,affinchè qualcuno possa compredere di come giocare con le vite degli altri,e col proprio destino personale per tare che avrebbero potuto essere calibrate se tutto non fosse sprofondato nell’indifferenza delle istituzioni deputate a impedirlo
@ Maurizio
sto leggendo uno dei libri citati da luzinfo, ginocidio, molto interessante come panoramica, e fra le ricerche citate c’è questo di carmine ventimiglia: la fiducia tradita, che dovrebbe raccogliere interviste a uomini che hanno usato violenza.
Io sono mamma da poco di un bambino, quando sento queste notizie mi domando se i nostri comportamenti educativi di mamme non siano la prima causa di questi omicidi. Impariamo per imitazione, sarà dura non fare errori e ripetere schemi. Questa cosa mi sconforta parecchio.
L.