NUNZIO GALLO, FANTOMAS E IL DOMINIO DEL ME

Questa mattina, svegliandomi, avevo in testa un ritornello che mia madre cantava spesso quando ero bambina, e che faceva “sedici anni, non devi pianger mai così”. Da dove salti fuori, canzonetta?, mi sono chiesta. Ho digitato la ricerca, e ho trovato che era Nunzio Gallo a raccomandare alla fanciulla Non piangere perché/Il tuo tempo non ha incontrato il mio/Tu sei il domani/Io l’oggi che va. Gira al largo, suppongo, perché sei troppo piccola.
Soddisfatta la curiosità, mi sono chiesta che razza di conti facciamo col passato, che sia quello lievissimo e per gli altri non significativo del ricordo personale, che sia quello comune. E mi sono detta di nuovo  quel che mi dico spesso: è il ricordo personale ad aver sopravanzato, fin quasi ad annientarlo, quello comune. Niente di nuovo, affatto, da quando ci siamo abituati a ragionare esclusivamente di noi stessi: agli inizi degli anni Zero, esperimenti come “tu, dov’eri?” (provammo a farlo alla nascita del canale cultura di RaiNet) erano quasi avanguardia. Si trattava di individuare un avvenimento storico e di chiedere ai pionieri-navigatori cosa ricordavano di quel giorno. Oggi è la prassi. Qualunque sia l’anniversario, se quello tragico di una strage o quello felice di evento spartiacque, è la propria esperienza ad annientare il fatto, o per meglio dire a narrarlo dal proprio esclusivo ed escludente punto di vista. E fin qui non ci sarebbe nulla di male, e anzi uno storico del Tremila, ammesso che nel Tremila ci siano gli storici, non saprà come mettere ordine in tanta sovrabbondanza.
Il problema è che quel punto di vista, il proprio, non ne ammette quasi altri. Ci rifletto da mesi,  pensando ai discorsi sulla pandemia: perché bisogna pur pensarci a quei discorsi, e su questo sono noiosissima, mi rendo conto, perché non si può fingere che quel che è accaduto sia un inciampo fra gli altri, e non un evento che ha creato e crea fratture di cui ancora non ci capacitiamo fino in fondo, e invece sembra sia stato risucchiato nelle cronachette politiche, e a seconda se neghi o accetti appartieni a uno schieramento o all’altro, e a me questo sembra più surreale della Cantilena di Fantomas del più folle fra i surrealisti, Robert Desnos (la ricordate? E’ qui). E certe volte mi sembra che tutto collimi, la tentazione a cui sempre più spesso cede la letteratura, in Italia e non solo, a raccontare il sé, la famiglia la casa l’infanzia il proprio passato, quel dilagare dell’io che copre e nasconde tutto quello che non ci interessa, che piega i fatti al proprio volere come i vecchi illusionisti facevano con le forchette.
E poi, visto che l’autunno si avvicina e il fresco ci sgombrerà un po’ i pensieri, e non sappiamo cosa dovremo affrontare ma troveremo il modo di farlo, mi auguro, penso che forse la curva discendente del Me si arresterà infine, e ritroveremo la seconda persona plurale. Fino a quel momento, osservo, prendo appunti, aspetto.

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