Stereotipi/uno.
La vostra eccetera, ieri, ha partecipato con enorme piacere alla chiacchierata di Fahrenheit con Emma Bonino, a seguito dell’eccezionale beffa della medesima cui i media hanno abboccato senza riserve. Bravissima.
Stereotipi/due
Da qualche giorno si polemizza a proposito degli scrittori minorenni. L’innesco viene da un articolo di Giorgia Grilli su Tuttolibri, dove la medesima, docente di letteratura per l’infanzia, prende in esame alcuni testi fra loro diversissimi. Cito:
“Destinazione Tokio Hotel (Mondadori), di Dorotea de Spirito,16anni;Bryan di Boscoquieto (Newton Compton),di Federico Ghirardi, 17 anni; I regni di Calaspia (Mondadori), di Suresh e Jyoti Guptara, due gemelli angloindiani che hanno iniziato a scriverlo a 15 anni; La prima volta che ti ho rivisto (Fanucci), di Lorena Spampinato, 18 anni; Love is Forever (Falzea), di Ilaria Marullo, 16 anni; e ora, con un clamore quasi imbarazzante ad opera della stessa casa editrice che lo pubblica, Eroi del Crepuscolo (Einaudi Stile Libero), di Chiara Strazzulla,17anni”
Diversissimi, insisto. Se posso dire la mia, impossibile paragonare le operazioni rosa-teen a quella che Grilli chiama “la mole gratuitamente enorme del più trito fantasy”. E non perché la parola fantasy sia di per sé assolutoria. Ma perché nei libri citati, in sfumature diverse (molto mediocre nei gemelli, più interessante in Ghirardi e Strazzulla) c’è lo sforzo di costruire un impianto narrativo, e di sostenerlo, e di renderlo coerente. Cosa che manca in non pochi scrittori adulti.
Grilli, infine, aggiunge che non dirà nulla di questi libri perché sono falsi, costruiti a tavolino, frutto di editing selvaggio. E invita a leggere Aidan Chambers, settantaquattrenne idolo degli editori per ragazzi: contro cui la sottoscritta non ha nulla, salvo diventare automaticamente guardinga quando sente odor di incenso e incensamenti.
La polemica, come è normale, monta.
Interviene Vittorio Avanzini di Newton Compton raccontando di come si è arrivati alla decisione di pubblicare Ghirardi, e specificando un paio di cose sul genere fantasy:
Mi lasci spendere ancora qualche parola per chiarire i motivi per cui, in questo periodo, il genere fantasy ospita così tanti giovani o giovanissimi autori. Non si tratta, come lei scrive, di «una rincorsa folle da parte di tutte le case editrici», ma di un fatto sociologico-letterario molto particolare. Dopo i grandi successi degli anni Settanta e Ottanta, infatti, il fantasy ha conosciuto un tramonto che ha portato il genere a scomparire dalle librerie (lo stesso Tolkien, uscito pressoché ignorato con l’editore Ubaldini, avrebbe trovato il successo che merita grazie a un’intuizione della Rusconi diretta da Cattabiani). Certo, un piccolo gruppo di appassionati ha continuato a coltivare questo tipo di letture animando siti internet e fanzine: contenuti che, rimessi in circolazione, hanno contribuito a una nuova, recente esplosione dei romanzi d’ambientazione fantastica. Ovviamente, dati i circa venti anni di “silenzio” del fantasy, è successo che si è creato un forte salto generazionale tra gli autori classici e gli autori contemporanei, questi ultimi sempre molto giovani – basti pensare all’americano Christopher Paolini o alla bravissima italiana Licia Troisi (e nessuno ha gridato allo scandalo quando i loro libri sono stati pubblicati!) – proprio perché sono stati i giovani a “impossessarsi” del genere facendolo proprio e vivificandolo.
Interviene lo stesso Ghirardi:
Perché quello che scrive Chambers dovrebbe essere più autentico di ciò che scrive un ragazzo che adolescente lo è per davvero? Un adolescente conosce altri adolescenti e pensa come un adolescente. Certo, se si vuole ottenere un dettagliato quadro psicologico di questa fase della vita, forse un ragazzino non è in grado di fornirlo, ma se si tratta di descrivere situazioni, sensazioni ed emozioni credo proprio che lo sia.
Purtroppo interviene anche la di lui mamma, con una lettera di cui per ora tacerò.
Fine della cronaca, per ora.
Riflessioni della vostra eccetera, con premessa: l’aureo recinto dei bambinologi e adolescenziologi mi ha sempre fatto un po’ paura. Generalizzando, ho spesso l’impressione che i medesimi si ritengano depositari di verità precostituite, e che si rifiutino di adattare la realtà effettiva alle proprie idee. Oltretutto, non ho mai capito come si faccia a separare la “letteratura per l’infanzia” dalla “letteratura”. Non ho mai capito perché gli esperti di cui sopra non accettino, salvo rare eccezioni, che It sia da anni uno dei libri più letti nelle medie inferiori. Né comprendo perché alla parola fantasy (per non parlare dell’horror e del goth) segua automaticamente la reazione disgustata, sempre salvo benemerite eccezioni.
Ciò detto, l’articolo di Giorgia Grilli è condivisibile su alcune cose, e ingeneroso su altre.
E’ verissimo che nell’editoria italiana esista la rincorsa all’adolescente. Ma gli editori inseguono sempre qualcosa o qualcuno: autrici zozzone, noiristi per caso, memorialiste rosa, seguaci di Grillo (al singolare), blogger, calciatori. E’ faccenda nota e non riguarda soltanto i libri: a singola opera di successo segue la serie dei cloni.
Ma fra i medesimi si possono trovare storie interessanti, e trovo francamente ottuso mescolare tutto nello stesso calderone. Vero, un libro come Destinazione Tokyo Hotel è imbarazzante. Non solo perché è in tutta franchezza bruttissimo, neppure utile per uno squarcio generazionale, pubblicato al solo scopo di acchiappare le fan di Bill e soci. Né è stato sottoposto all’editing selvaggio di cui ha parlato Grilli: a Rimini, l’autrice ha dichiarato che è stato pubblicato così com’era.
Ma altra cosa è Eroi del crepuscolo. Che non è affatto un libro impeccabile: l’ho scritto ieri sul quotidiano, e lo ripeto, avrebbe avuto bisogno di liberarsi di un eccesso di Tolkien. Ma indubbiamente la storia tiene: e condurla per quasi mille pagine non è bulimia letteraria, quanto l’adesione ad un modello narrativo non soltanto tolkieniano, che ha bisogno di sviluppare una serie di azioni in un tempo lungo. Può non essere condivisibile: ma merita rispetto. Analogo ragionamento è possibile fare su Federico Ghirardi, che assai più piacevole di molti maggiorenni.
Tre considerazioni finali e semplicissime
Primo: se proprio gli editori devono rincorrere qualcuno, meglio che acchiappino uno storyteller in erba piuttosto che il solito biografo di se stesso
Secondo. Per gli editori, e per i critici. Sarebbe bene comprendere che la convinzione secondo cui i ragazzini sono indotti ad acquistare il libro di un coetaneo è, perdonate la finezza, una stronzata. Meyer è adulta e vaccinata, Moccia pure. E, grazie al cielo, anche King. L’anagrafe interessa i giornalisti (purtroppo), non i lettori.
Terzo. Appello alla signora madre di Federico Ghirardi, che interviene a gamba tesa nella questione con una minacciosa lettera alla Stampa. Signora, la prego, si faccia da parte. Se suo figlio è stato in grado di scrivere e pubblicare, saprà anche difendersi da solo. Stritolato fra la mamma e l’esperta di letteratura per l’infanzia, il giovane Ghirardi ha, al momento, la mia personale solidarietà. Anche se deciderà di deporre la penna e di fare altro della sua vita.
Se ne sta parlando da più parti, Loredana.
Pongo solo una questione, che viene toccata di rado: pubblicare un adolescente o giovane esordiente significa anche bruciarlo presto, metterlo in gabbia, obbligarlo a ricostruirsi precocemente una carriera alternativa (sic!) di scrittore, se è questo che desidera.
Quindi lascio con un dilemma etico: gli si concede una possibilità o gli si fa un torto?
Su questo gli editor dovrebbero riflettere un po’…
Dipende, Mario.
L’effetto Lara Cardella-Melissa P etc esiste, indubbiamente. Ma non è automatico, se l’adolescente medesimo ha effettivamente qualcosa da raccontare.
Quello che trovo sbagliato (ed è uno dei pochi punti su cui Grilli ha ragione) è impostare la promozione sul fatto anagrafico: ma questo è un punto che dovrebbe far riflettere i giornali, oltre che gli editori (e la televisione, ovvio).
Se si facesse una moratoria sulle biografie degli autori (tutti, adolescenti e no) per concentrarsi sui testi sarebbe cosa salutare e saggia, e consentirebbe di dissipare i fumi delle polemiche pretestuose.
Al tuo dilemma rispondo che, a mio parere, generalizzare è impossibile: per qualcuno è un’opportunità, per altri un torto. Ma vale anche per scrittori adulti cui, molto spesso, sarebbe bene dire “ripassi fra un po’”…
Ok, scusate, la questione morale la poneva (anche se in altri termini) pure l’articolo di Gioia Grilli…
Diciamo che poneva una questione moralista, magari? 🙂
Loredana, ti propongo una classificazione empirica che secondo me gli editori di settore applicano, non so se consapevolmente o meno.
Letteratura per l’infanzia: nessuno tromba né mostra interesse per il sesso
Letteratura per adolescenti/young adults: eccezionalmente i protagonisti trombano, e ciò fa parte di un accidentato percorso alla ricerca di sé (ammesse varianti con disperati e orribili casi della vita legati a torbide vicende) bla bla
Letteratura: il sesso fa (quasi) normalmente parte della vita e dei problemi della vita e lo si può dire e mostrare senza problemi — ma che non lo sappiano i bambini!
http://fantasy.gamberi.org/
in homepage se ne parla.
Ma ancora più interessante l’intervista (al lancio del libro) alla Strazzulla:
http://it.youtube.com/watch?v=Gw42MSWGsyU
Stavo intavolando il discorso con l’organizzazione di Lucca Comics&Games, con un invito agli scrittori giovani… ma vedo che mi hanno anticipato!
I N E C C E P I B I L E ! ! !
Paolo, la classificazione è esemplare, ma va aggiornata al punto due: non si copula prima del matrimonio . Vale soprattutto per il filone post-Meyer: tesoro, puoi mordermi il collo e fare tutto il resto solo dopo nozze regolari.
Il mio commento era rivolto al pezzo della Lippa. Ma, ora che lo leggo, anche al commento di Psaolo S 😉
Però qualcuno può dire che sono per la gran parte delle ….?
E che i ragazzi stessi se ne accorgeranno e avranno di che pentirsene?
E che dovranno al 98% dei casi inventarsi un altro mestiere, dopo aver assaggiato la mela?
E solo perché qualcuno li ha “manipolati” e mandati allo sbaraglio non ancora maggiorenni o a un’età in cui pubblicare fa figo?
Lo dico io, come personalissima opinione, intendo.
Ma aspetta, Mario. Questo vale anche per gli autori esordienti maggiorenni, abbi pazienza.
Per questo insisto sulla necessità di fare dei distinguo fra libri per teen ager a carattere biografico-sentimentale-musicale e fantasy. Nel secondo caso, davvero dipende da come e cosa scriveranno gli autori in questione: non mi sembra affatto che i lettori di fantasy giudichino in base all’età.
Nel primo caso, hai probabilmente ragione: qualcuno dei teen smetterà, qualcuno magari continuerà a scrivere vergognandosi un poco del suo esordio.
Infine.
Quanto al “qualcuno può dire”: ebbene, dipende da come lo dice, e da cosa dice. La critica letteraria (sia pure esperta in infanzia) che spara nel mucchio commette lo stesso errore dell’editore che nel mucchio getta la minorenne fan dei Tokio Hotel.
Non fare distinguo, e ragionare sugli autori e non sui testi, significa cadere nel medesimo abbaglio anagrafico, secondo me.
Se si arriva ai testi, Loredana, è un totale macello…
Qui mi fermo, e tu sai perchè.
Torno al nuovo di Dan Simmons, felice di leggere storie di ghiacci, iceberg e orsi polari, in questa calura!
Aspetta di nuovo, Mario. Era finito in moderazione il commento dove linkavi a fantasy.gamberi.
Ancora una volta, ho la sensazione che la comparazione fatta fra Strazzulla e altri testi risenta della divulgata età della stessa. Non la sto difendendo, attenzione. Sto dicendo che questo tipo di lavoro (metto vicini gli incipit del libro A, B e C) viene fatto con un pregiudizio suggerito dalla biografia dell’autore, e non da una riflessione sul testo stesso.
Per esempio: ho appena iniziato a leggere Virus di Sarah Langan: ottimo incipit, ma poi comincio a trovare delle cose che non mi soddisfano, di cui parlerò. Ma il mio giudizio non può, non deve basarsi sulla persona Langan, di cui non voglio sapere nulla, ma sul suo lavoro.
Mi pare che sia l’articolo su Tuttolibri, sia molte critiche in rete siano invece legate alla persona dell’autrice, ecco tutto.
Secondo me, Mario, il rischio opposto è anche peggiore.
Se scrivo (che io sia giovane o meno) e quello che scrivo non vale, maledetto chi mi pubblica, per qualsiasi ragione lo faccia (per gratificarmi, per spremermi, perché è l’aria che tira).
Se scrivo e sono giovane e quello che scrivo vale, benedetto il momento in cui mi pubblicano — e magari mi consigliano.
Se scrivo e sono giovane e quello che scrivo vale e non mi pubblicano, quello che ho da dire in un particolarissimo momento della vita resterà una cosa solo mia.
Conseguenza 1: il pubblico non potrà conoscere e valutare quanto di buono ho fatto.
Conseguenza 2: crescendo la mia testa e la mia penna cambieranno, potrei non scrivere più, o innamorarmi di Thomas Bernhard o di Sartre (per fare 2 nomi a caso) e trasformarmi in un epigono intellettualoide perfettamene inutile
Conseguenza 2 alternativa: potrei invece decidre che PUBBLICARE, non scrivere, è la cosa che voglio, e metamorfosarmi volontariamente in un clone di Dan Brown.
Il problema rimane sul fatto che il “magari mi consigliano” di cui sopra da queste parti è un’utopia, e che il mercato editoriale è appunto un mercato.
Stessa linea di pensiero, la mia.
Guardare i testi. Non pretendo “leggerli”, ma perlomeno guardarli.
Con un minimo di prospettiva di genere, tu stessa sottolineavi le tolkienate. O le berserkate di altri autori. E via così.
Per sdoganare il fantasy, non so come si possa fare, e nemmoeo pretendo che sia fatto: ma almeno estirpare i clichè; ma almeno curare la scrittura; ma almeno narrare una storia e dico una…
Sulla deriva post-Meyer, direi che è miopia degli editori e colpa del degiovanimento del paese. i lettori faranno giustizia da sé ignorando la cosa.
Gianni: troppo buono. Ma che tristezza, aver ragione in questo caso!
Le tue due ultime righe, Paolo, riassumono bene la questione.
Paolo, non voglio autocitarmi. Ma la deriva meyer non si può scollegare dalla deriva della letteratura “rosa”. E rieccoci con gli stereotipi di cui al punto uno di questo post. Il ritorno di “quel” tipo di eroina ha un perchè. Basta saperlo, almeno per cominciare.
Mario, non voglio “sdoganare” il fantasy, perchè davanti a molta parte della critica ho già alzato le mani: non c’è niente da fare. Ancora fanno fatica a digerire Tolkien, figurarsi, che so, Martin…
Ps. Se proponi una discussione di questo tipo a Lucca, caro co-giurato, ti appoggio senza riserve.
Cliccando su “beffa” appare sia la beffa, sia la promozione:
“Cerchi un partner? Contatta Eliana Monti
Vuoi conoscere persone nuove? Scrivi il tuo annuncio personale gratis.
Rivolgendosi a Eliana Monti, magari la Bonino un fidanzato lo trova pure…
L’ultima frase è desolante.
E perché, poveraccia? Non c’è nulla di male a trovare davvero un fidanzato con cui uscire dalla letteratura per ragazzi (Paolo S.).
Mi mancava il/la troll, oggi, in effetti…
La signora Lipperini mi tira in causa per la lettera che ho inviato al dott. Genta, della Stampa, in quanto tutrice di un minorenne insultato, Federico Ghirardi.
L’art. della Grilli, nella sua accusa di “sfruttamento minorile”, implicitamente coinvolgeva, oltreché editori e ragazzi, i loro genitori snaturati che – nella stessa logica di quelli che mandano i figli a vendere accendini ai semafori delle strade -, li consegnano in pasto alle case editrici.
Per questo ho ritenuto doveroso scrivere e spiegare cause ed effetti delle scelte personali di Federico ed evidenziare come non tutte le storie e i percorsi siano uguali. Le generalizzazioni, infatti, sono sterili e sconfinano spesso nella banalizzazione.
E’ veramente ridicolo che, da una parte, si accusino velatamente i genitori di vendere i propri ragazzi, dall’altra li si additi come invadenti e troppo protettivi. Giornali e tv pontificano, spesso giustamente, su quanto siano “lasciati soli” i nostri bambini e i nostri adolescenti, quando, invece, le famiglie li seguono sono delle rompiscatole…
Diteci allora qual è la verità assoluta ed esclusiva da seguire.
Angela Lano
Gentile signora Lano, io non possiedo verità, e nemmeno le cerco, si figuri se posso additarle a qualcun altro.
Le ho rivolto un appello perchè, ribadisco, suo figlio mi sembra perfettamente in grado di difendersi da solo, come del resto ha fatto.
A mio modestissimo avviso, il genitore infuriato va ad avvalorare proprio le generalizzazioni che lei vuole giustamente contrastare, rischiando l’effetto “Bellissima” in cui, sono certa, non si riconosce.
“Ma altra cosa è Eroi del crepuscolo. Che non è affatto un libro impeccabile: l’ho scritto ieri sul quotidiano, e lo ripeto, avrebbe avuto bisogno di liberarsi di un eccesso di Tolkien. Ma indubbiamente la storia tiene: e condurla per quasi mille pagine non è bulimia letteraria, quanto l’adesione ad un modello narrativo non soltanto tolkieniano, che ha bisogno di sviluppare una serie di azioni in un tempo lungo. Può non essere condivisibile: ma merita rispetto.”
LOL! Sono a pagina 500 del romanzo. Il rispetto avrebbe dovuto averlo Einaudi inaugurando la propria collana fantasy con qualcosa di degno (non so, l’ultimo romanzo di Swanwick, o della Gentle o la conclusione del Ciclo Barocco di Stephenson).
Gli Eroi del Crepuscolo è un’immane porcata. Storia banale fino all’inverosimile, dialoghi insulsi (quello tra la principessa e il Signore delle Tenebre è da incorniciare), zero documentazione, zero verosimiglianza, zero coerenza interna.
La Strazzulla è una degna rivale della Troisi in quanto a sciattezza.
È facilissimo imbastire una storia complessa quando una se ne fotte della coerenza interna, quando si butta dalla finestra qualsiasi considerazione economica/militare, quando a pagina tot è un’afosa serata estiva, caldo soffocante, e due pagine dopo il personaggio si lamenta che se non chiude la finestra morirà assiderato (e di questi problemi ce ne sono a mucchi – complimenti anche al lavoro di editing).
La storia non tiene neanche fino a pagina 10, quando un personaggio che ha 250.000 anni e da diversi MILLENNI vagabonda per il mondo, si stupisce di non aver mai esplorato le ehm… “Terre Sconosciute”(sic), Terre che si trovano a MENO DI TRE GIORNI di cammino dai confini del Reame.
O quando poche pagine dopo si decide di mandare a salvare la principessa quattro tizi senza nessuna esperienza (va bene la “profezia”, ma Lyannen non poteva essere accompagnato da una squadra di persone qualificate?)
O quando dev’essere una missione segreta e ci sono ali di folla a festeggiare la partenza, perché TUTTI sanno che i tizi stanno partendo per salvare la principessa…
E così via. “Gli Eroi del Crepuscolo” è una presa per i fondelli. Non altro.
Timeo fandom et dona ferentes 🙂
Gamberetta, sull’editing non sono io a doverti rispondere. Sull’impianto del libro, incongruenze a parte, ribadisco quello che ho detto: il libro può piacere, piacere poco, essere detestato. Non merita attacchi esclusivamente anagrafici, però, nè difese condotte secondo la stessa ottica.
Una critica come la tua è comunque argomentata, e la rispetto (appunto). Rispetto meno l’articolo di Tuttolibri.
Gentile Gamberetta,
Einaudi Stile libero è orgogliosa di aver inaugurato la sua collana fantasy con il romanzo d’esordio di Chiara Strazzulla, che però, come ogni libro, può incontrare i gusti di alcuni lettori e deluderne invece altri.
Ci è sembrato di prestare attenzione alla coerenza interna del libro, ma è naturalmente possibile che ci siano delle sviste.
Non nei casi però che lei segnala, per quel che ci pare.
Per esempio, se l’Eterno di 250.000 anni cui si riferisce è il Solitario, che ha vagato per millenni senza mai addentrarsi nelle Terre Sconosciute, non crediamo ci sia un problema di coerenza: il Solitario ha vagato per le Terre a Nord, per le Foreste dell’Ovest, per le Rive del Mare a Sud, come di fatto dice, ma non è mai deliberatamente andato nelle Terre Sconosciute perché: “C’è un motivo se le chiamano Terre Sconosciute, o no? Secondo le loro regole dovremmo essere pazzi per essere qui”, come gli dice Slyman. Andare lì significa quasi necessariamente non fare ritorno, e le sarà stato di certo chiaro che la decisione del Solitario di andarci è legata proprio alla sua stanchezza di vivere, di cui non fa segreto. “Mi sono spinto per le Terre Sconosciute in cerca del completo isolamento dal resto del mondo”.
Per quanto riguarda la missione dei Rinnegati, non si tratta di una missione segreta, se non per chi vive al di fuori del Reame, quindi non c’è una contraddizione nella parata che viene fatta il giorno della loro partenza. E inoltre: se i Rinnegati fossero stati accompagnati da esperti adulti e qualificati, questo romanzo sarebbe stato esattamente un altro libro, il libro opposto. Negli Eroi del crepuscolo, non sono gli eroi, appunto, a salvare il Reame, ma sono i reietti, gli scarti, gli incompetenti, i diversi, i giovani: gli adolescenti. È questo il senso più forte del libro, condivisibile o meno: che non servano degli eroi per combattere le tenebre, che l’unione delle persone più diverse, anche di chi è apparentemente un perdente, un nessuno, potrà riuscire anche in ciò che sembrava impossibile.
Rispetto alla contraddizione “climatica”, posso solo ipotizzare a che cosa si riferisca, ma dato che non mi dà riferimenti di pagina non posso essere sicura. Se parla di Slyman, è vero che a pagina 208 cammina sotto il “caldo opprimente” della Desolazine (un deserto), e poi a pagina 333, cioè più di 100 pagine dopo, dice che la finestra che non si chiude bene potrebbe causargli una morte per assideramento. Ma non c’è contraddizione, perché in quel momento Slyman si trova non più nella Desolzione di giorno, ma in una foresta di notte.
Quello che avviene in questo romanzo ha, evidentemente, proporzioni mitologiche. E tengo a sottolineare che Chiara Strazzulla, appassionata di mitologia greca, vi ha attinto moltissimo, in particolar modo all’Iliade, al ciclo degli Argonauti e a tutta l’opera tragica di Euripide, così come alle leggende nordiche e celtiche, e dichiaratamente all’opera di Tolkien, in particolare al Silmarillion; alcuni luoghi sono un tributo esplicito ai luoghi del Signore degli Anelli.
Rosella Postorino
Einaudi Stile libero
Loredana concordo con te Emma è stata bravissima
http://rageagainsttheworld.wordpress.com/2008/06/26/femminismi-brava-emma-hai-fatto-bene/
A Chiara piace anche molto Silvana de Mari (L’Ultimo Elfo, Salani), sia nei contenuti d’insieme del libro che nell’affabulazione durante le interviste! Ho linkato l’intervista su youtube perché ne è testimonianza, avendo partecipato a più riprese agli incontri della De Mari, non ultimo quello alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna.
Loredana, oggi hai creato un putiferio! 🙂
(comunque un piacere incrociare qui le tante voci, spesso non abbastanza ascoltate, di chi scrive, commenta, edita, redige articoli…)
@Rosella Postorino.
“Per esempio, se l’Eterno di 250.000 anni cui si riferisce è il Solitario, che ha vagato per millenni senza mai addentrarsi nelle Terre Sconosciute, non crediamo ci sia un problema di coerenza: […]”
Non stiamo parlando delle Colonne d’Ercole e di attraversare l’Atlantico in barca: dagli spalti dell’Ultima Città si possono vedere le “Terre Sconosciute”, e in 250.000 anni (ripeto duecentocinquantamila anni, fai a tempo a colonizzare metà Galassia in un tempo del genere) nessuno ci è mai andato? È RIDICOLO. E tra l’altro non c’è alcun reale pericolo, tranne una tribù di gente pelosa.
“E inoltre: se i Rinnegati fossero stati accompagnati da esperti adulti e qualificati, questo romanzo sarebbe stato esattamente un altro libro, il libro opposto.”
Infatti sarebbe stato (forse) un buon libro invece di una vaccata. Si chiama VEROSIMIGLIANZA che sta alla base della “sospensione dell’incredulità”. Se non c’è verosimiglianza, il romanzo frana come un castello di carte.
Se il Presidente degli Stati Uniti sta male e lo ricoverano, poi viene operato dal primario, non dal primo studente di medicina che passa di lì per sbaglio. Nel romanzo non c’è alcuna giustificazione alla scelta di mandare Lyannen e amici, scelta appunto inverosimile.
E per rimanere in argomento Tolkien: lo stesso Tolkien auspicava che le storie fantastiche fossero però così credibili da non dover neanche richiedere “sospensione dell’incredulità” da parte del lettore. Qui invece non solo è richiesta, ma è richiesta in dosi inumane (e infatti io sono rimasta incredula).
Per la segrettezza: pagina 114, Lyannen spiega a Dalman che sono partiti “In gran segreto”.
Per il caldo: pagina 333 Slyman si lamenta di poter morire assiderato se non chiude la finestra, peccato che a pagina 325 la serata esista è detta “molto calda” tanto che lo stesso Slyman si stupisce che Rabba Nix sia così coperto o che la gente facci andare i camini. (ah, e come fa la locanda, con camino acceso e atmosfera soffocante, a offrire a tutti birra gelida?)
E ce ne sono a pacchi di contraddizioni, appena avrò finito di leggere nella mia recensione le elencherò tutte.
“Negli Eroi del crepuscolo, non sono gli eroi, appunto, a salvare il Reame, ma sono i reietti, gli scarti, gli incompetenti, i diversi, i giovani: gli adolescenti.”
Sì, come no: Lyannen ammazza 40+ folletti in un colpo solo, tiene testa a 3 centauri contemporaneamente, ammazza il drago di palude con la magia, ecc. (e ovviamente solo con minimo addestramento e senza esperienza), sì proprio il tipico adolescente, UGUALE.
“Quello che avviene in questo romanzo ha, evidentemente, proporzioni mitologiche.”
ROTFL! Scusa è l’unico commento sensato.
Rispondo a Mario, intanto. Spero che il putiferio sia benefico, se non altro perchè mettere in contatto editori e lettori a me sembra cosa salutare, al di là delle reciproche puntualizzazioni.
Magari sono la solita ottimista, ma tant’è 🙂
Non sono abituata a partecipare a conversazioni condotte con toni di questo tipo e francamente non le amo, quindi sono costretta a sottrarmi, anche se è vero che l’incontro tra editori e lettori, come dice Loredana Lipperini, è salutare. Potenzialmente: dipende sempre dagli interlocutori. E anche se mi piacerebbe disquisire, per es., sul concetto di verosimiglianza in letteratura, non mi sembra purtroppo la situazione adatta. Chiudo soltanto ricordando che il sistema ghiacciaia esisteva già nell’antica Roma. E ringraziando in ogni caso Gamberetta per l’attenzione che sta riservando a un nostro libro.
Rosella Postorino
Einaudi Stile libero
Chiudo anch’io, ricordando che la locanda in grado di servire birra gelida ai suoi avventori nel bel mezzo di una soffocante serata estiva, si trova in mezzo a una foresta, ed è circondata da ogni lato da mostri e pericoli vari… una bella fatica portare fin lì il ghiaccio, addirittura dovrebbero prenderlo fuori dai confini della mappa, ma fuori della mappa c’è solo una pagina bianca con una dedica!!!
E la strega di “Hansel e Gretel” come cazzo avrà fatto a tenere il forno acceso dentro una casa fatta di marzapane e con vetri di zucchero alle finestre senza che l’intera casa si sciogliesse? INVEROSIMILE. Come il fatto che, pur non essendosi mai visti leoni in Argolide, Ercole ne uccida uno e ne vesta la pelle. Tze’… Storielle che non stanno in piedi. Realismo, porco zio, realismo!
Io ho letto Gli eroi del crepuscolo e mi è abbastanza piaciuto: non è il massimo, ma è un libro piacevole e che mi sento di consigliare. Però ho due cose da dire: primo, le critiche che rivolge gamberetta saranno anche giuste, ma non influenzano il giudizio complessivo. Gli errori, le inverosmiglianze, come dice Wu Ming, sono in tantissimi libri, non soltanto fantasy. Forse soltanto in Tolkien è difficile trovarne proprio per la natura della sua opera, e per la professione dell’autore.
Ma a me non importa tanto se la birra ghiacciata abbia un senso, quanto se la storia in generale tiene. E questa mi ha preso: la sospensione di incredulità io ce l’ho avuta. Probabilmente sarò una lettrice sciatta, ma non tutti leggono libri con la penna rossa in mano per sottolineare gli errori.
Però mi ha colpito l’intervento della Pastorino di Einaudi quando parla di mitologia greca. Per chi legge fantasy è evidente che i riferimento dell’autrice sono all’interno di questo genere, come infatti ha detto anche qualcun’altro quando citava la mitica Silvana De Mari. E mi chiedo: gli eidtori che cominciano adesso a pubblicare fantasy, lo leggono? nn è una provocazione, è una domanda sincera.
Scrive Wu Ming 1: “Come il fatto che, pur non essendosi mai visti leoni in Argolide, Ercole ne uccida uno e ne vesta la pelle.”
I leoni erano diffusi in Grecia nell’antichità, come anche in Italia oltre alle scimmie -usate per la pena dei parricidi (poena cullei) già nella roma monarchica, come dichiara Cicerone… e non era un Fantasy!- e a varie altre specie di animali a cui non siamo più abituati.
Aristotele attesta l’esistenza del leone in Grecia, e sono presenti anche mosaici greci sulle cacce al leone come l’arcinoto -ma forse non a qualcuno- mosaico di Pella http://it.wikipedia.org/wiki/Pella_(Grecia)
In generale erano presenti nel medio oriente fino a tempi molto più recenti, quando i Crociati li incontrarono lasciandocene testimonianza.
Tral’altro a Micene, in Argolide, c’è anche la famosa “Porta dei Leoni” del 1300 a.C.
http://it.wikipedia.org/wiki/Porta_dei_Leoni
Pare che ci siano parecchie prove a supporto della presenza di leoni in Grecia nel mondo antico.
Non capisco dove sia il problema per Wu Ming 1 se Ercole uccide un leone in una regione in cui sono presenti leoni o è possibile che siano presenti (il Peloponneso).
La “sospensione dell’incredulità” non è distrutta perché il leone è credibile in quell’ambiente, quindi ci sono elementi di realtà assieme a quelli “fantastici” (Ercole!), mentre lo sarebbe stato meno nel caso di un “Ercole palombaro che uccide leoni marini in Scozia a gomitate” o un “Ercole che uccide Pinguini armati di mazze da golf in Argolide”.
Come vedi ci sono diversi livelli di stramberia e NON tutti hanno la stessa dignità quando si tratta di mantenere in piedi la sospensione dell’incredulità.
Da questo post
http://fantasy.gamberi.org/2008/05/31/riassunto-delle-puntate-precedenti/
scrivere narrativa di genere significa raccontare storie. Dato che parliamo di narrativa, tali storie non esistono, le stiamo inventando. Ma per il lettore devono essere verosimili; il lettore dev’essere invogliato a “sospendere l’incredulità” di fronte alla nostra storia, o addirittura, come auspicava Tolkien, il lettore dev’essere così rapito dalla vicenda da non aver neanche bisogno di trucchetti mentali per credere che elfi e draghi esistono sul serio.
Ora, se il lettore si accorge che stiamo scrivendo bene, se esclama davvero “Che prosa raffinata!”, abbiamo fallito il nostro compito, perché appare chiaro che tale lettore non era davvero stato trasportato nella Terra di Mezzo, bensì era rimasto bello inchiodato in poltrona a leggere uno stupido libro.
La narrativa di genere è una forma ante litteram di realtà virtuale. L’autore impiega la sua arte per strappare il lettore dal suo mondo e immergerlo in un altro mondo, mondo che non solo non esiste, ma che spesso non potrebbe neanche esistere. Lo “scrivere bene”, inteso in senso letterale, è in contrasto con tale obbiettivo. Lo “scrivere bene” è come un salvagente, che impedisce al lettore d’immergersi completamente nella storia.
Corollario: lo scopo della narrativa di genere non è suscitare piacere. Quando leggo della Terra invasa dagli alieni, non dev’essere piacevole. Dev’essere pauroso, angosciante, bizzarro o mille altre emozioni, ma non dev’essere piacevole. L’immagine del lettore in poltrona, intento a gustarsi un romanzo – libro in una mano, bicchiere di liquore nell’altra –, è tipica della literary fiction. Se un romanzo di genere può essere affrontato in questa maniera pacata, non è un buon romanzo.
(…)
Il problema, specie in ambito fantasy, è che si devono raccontare storie piene di elementi fantastici, dei quali il lettore non può avere previa esperienza. Il lettore non ha mai incontrato un drago in vita sua, e quando leggerà un romanzo sui draghi la prima reazione non sarà: “ma allora i draghi esistono sul serio!”, bensì: “che razza d’idiozia, ho speso 18 euro per leggere cretinate!”.
L’autore ha l’arduo compito di convincere il lettore che non sono cretinate. Anche se solo per qualche ora, il tempo che il lettore impiegherà a leggere il romanzo, i draghi devono sul serio esistere. Per riuscire in quest’impresa, l’autore deve calare i draghi in un mondo verosimile, credibile. Tale mondo dev’essere “concreto”, palpabile, tanto che il lettore lo possa accettare come Realtà, draghi compresi.
È necessario che l’autore sappia di cosa sta parlando. Un’accurata conoscenza degli argomenti dona alla narrazione quella che gli inglesi chiamano texture. Quell’intreccio di particolari che fa credere che lo scrittore non stia raccontando favole, ma sia lì nella Terra di Mezzo o su Marte, a filmare la storia.
Per tale ragione bisogna scrivere di quel che si sa. Questo però non significa che se uno è un tramviere può solo raccontare storie di tram e mezzi pubblici, significa che se decide di raccontare storie di guerra ambientate in Africa, si documenta.
Il lavoro di documentazione dev’essere soprattutto una questione d’orgoglio. Si deve essere fieri di presentare al pubblico un mondo preciso e curato, dove ogni particolare è verosimile.
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Inforigurgito, o infodump, per usare il più diffuso termine inglese. L’inforigurgito è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. L’autore si rende conto che il lettore ha bisogno di determinate informazioni per comprendere gli sviluppi della storia, e perciò gliele vomita addosso. Peggio, spesso l’autore crede che le informazioni siano vitali, quando in realtà non lo sono.
L’inforigurgito si esplica in due modi principali: con l’intervento diretto dell’autore e attraverso dialoghi o pensieri farlocchi.
Il primo modo è il più brutto. La narrazione è interrotta e l’autore sale in cattedra per insegnare al lettore. Non c’è niente di meglio per dare una svegliata al lettore e ricordargli che invece di far qualcosa di utile sta sprecando la vita a leggere romanzi da quattro soldi.
Esempio:
“Laura sollevò la spada, pronta a tagliare la testa al coboldo. I coboldi sono una razza goblinoide che si insediò duemila anni fa nei Boschi Neri. I coboldi hanno sviluppato una rudimentale civiltà, dedita all’allevamento dei polli e alla coltivazione dei pomodori. I coboldi vivono in piccoli villaggi, e amano pescare nei ruscelli, sebbene non consumino i pesci presi. Il DeWitt nel suo Trattato Generale sul Coboldo sottolinea come non si possa… zzz… zzz… Laura si guardò attorno, esterrefatta, il coboldo non c’era più! Mentre l’autore si dedicava all’inforigurgito, il coboldo doveva essere scappato!”
Nell’ambito del fantasy, questo errore è spesso tipico di quegli scrittori che mettono l’ambientazione davanti alla storia. Sono quelli che passano anni a ideare un loro mondo, e si convincono che siccome loro ci hanno perso tutto quel tempo, allora l’ambientazione è bella in sé. Non è così. Quel che conta è la storia, non i coboldi! La reazione del lettore di fronte a questo tipo di inforigurgito è: “chi se ne sbatte dei coboldi!”, e se l’autore insiste, il lettore non si appassionerà alla società dei coboldi, lascerà a metà il libro.
Le informazioni in sé non sono interessanti, è come vengono integrate nella storia che le rende interessanti.
La seconda forma tipica di inforigurgito è il dialogo farlocco.
Esempio:
“Laura e il coboldo erano seduti su un muretto di pietra. Dondolavano i piedi e si godevano il sole primaverile. Laura si rivolse all’amico:
«Come saprai bene, i coboldi sono una razza goblinoide, che si insediò duemila anni fa nei Boschi Neri. I coboldi hanno sviluppato una rudimentale civiltà, dedita all’allevamento dei polli e alla coltivazione dei pomodori. I coboldi vivono in piccoli villaggi, e amano pescare nei ruscelli, sebbene non consumino i pesci presi.»
Laura fece una pausa, per prendere dallo zaino il trattato del DeWitt. Quando rialzò lo sguardo, il coboldo non c’era più…”
Questa forma di inforigurgito è meno grave, perché almeno è tutta racchiusa nella realtà virtuale, non c’è intervento esterno dell’autore. Tuttavia, come si può notare, il dialogo è forzato. È un dialogo inverosimile, che rovina la credibilità della storia. Per non parlare dell’effetto comico: se la storia vuol essere seria, dopo un frammento del genere, non potrà più esserlo.
@WM1: però, il grado di verosimiglianza che ci si aspetta da una fiaba o da un racconto mitologico non è quello che ci si aspetta da un romanzo fantasy, a meno che non ci siano chiari segnali che lo avvicinino all’una o all’altra cosa.
Può darsi che Gamberetta abbia una soglia dell’incredulità particolarmente alta (e/o che parta molto prevenuta) però in linea di principio le critiche che solleva (e quello che scrive sulla narrativa fantastica) non mi sembrano sbagliate.
Pardon, ho scritto a tarda notte e mi è saltato un elemento: leoni invulnerabili. Il leone di Nemea aveva una pelle che non poteva essere perforata da alcuna arma.
Siccome è difficile che in Argolide potessero circolare animali simili, che nella storia dell’evoluzione si sono visti soltanto nel Delta del Po (oggi ne sopravvive uno solo nel Bosco della Mesola, riserva naturale protetta), è richiesta una certa sospensione dell’incredulità per accettare che Eracle (che non era ferrarese né rovigoto) possa averne ucciso uno.
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Detto questo, sono poco interessato a questo dibattito, ma veramente l’ultima obiezione che ho letto, quella che nell’osteria non può esserci birra fredda perché intorno ci sono i mostri e nessuno può portare il ghiaccio, mi è sembrata una cosa da conta dei peli del culo dell’autrice. Per questo ho commentato.
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Più in generale, già la pratica costante della stroncatura è un po’ una roba da frustrati, ma portare avanti un blog interamente consacrato alla stroncatura delle versioni nostrane di un particolare sotto-genere va al di là del commentabile. Trascorrere le giornate leggendo libri che ti fanno schifo per il mero gusto di poterli stroncare e prendere per i fondelli gli autori (in alcuni casi dei ragazzini) in post *kilometrici* lungo i quali si strizza continuamente l’occhio per dire: “Visto quanto sono cattiva? A me non la si fa! Non c’è porcheria che mi sfugga!” mi pare una routine da sfighé. Trovarsi una vita da vivere no? Quante ore al giorno prende una simile livorosa “attività”, tutta reattiva e subalterna all’iniziativa e alla fantasia (scarsa o meno che sia) altrui?
C’è gente sprofondata nelle miniere o inchiavardata in fabbrichette di merda che si bacerebbe i gomiti per avere anche solo un pizzico di tempo liberato, ogni tanto pensiamo a loro e vediamo di non sperperare quello che abbiamo in grazia.
Osservo incuriosito e un po’ affascinato tutta la discussione… in fondo nata durante il Salone del Libro di Torino nel 2007, quando Federico mi ha incontrato allo stand della Newton Compton lasciandomi il primo manoscritto.
Da editor, devo dire che un po’ me l’aspettavo (e magari ci speravo): nei confronti di soggetti come “letteratura di genere” o “adolescenza” mi pare che le risposte degli addetti ai lavori tendano, ciclicamente, ad assomigliarsi.
A stupirmi, se mai, è l’emergere nel dibattito di temi relativi alla “carriera” o alla gestione delle risorse creative da parte dei giovani scrittori: la salute e il fascino dell’editoria devono essere davvero in gran forma se, per parlare di libri, si ricorre a parole simili a quelle impiegate per descrivere il calcio mercato!
Personalmente non vorrei dimenticare che, prima di tutto, o si è spinti alla scrittura da una qualche esigenza immanente (il miraggio della “carriera” non basta, viste anche le prospettive non proprio esaltanti del mercato) o non mi pare che abbia molto senso accendere il pc per mettersi a sbattere le dita su una tastiera.
Armati
@WM1
“C’è gente sprofondata nelle miniere o inchiavardata in fabbrichette di merda che si bacerebbe i gomiti per avere anche solo un pizzico di tempo liberato, ogni tanto pensiamo a loro e vediamo di non sperperare quello che abbiamo in grazia.”
Sottoscrivo.
In generale penso che un libro e la storia che racconta sia scarso se non mi prende, e bello se mi prende. L’età dello scrittore e il genere non mi interessano. Credo che nessun lettore vivisezioni un libro controllando se rispetta le “100 regole dello scrivere”.
Da editor dovresti proprio sapere che non esiste esigenza immanente nella scrittura, se non quella dell’autobiografismo, del caro diario.
Parlo di carriera, certo.
Di vivere di scrittura, più precisamente.
O di vivere di editoria, ancora più precisamente.
Sono progetti di vita come lo è una carriera (o cursus, se la parola provoca fastidio) in qualsiasi azienda. Ti fai le ossa scrivendo cose o cosette, poi ghostizzi, poi mantieni progetti paralleli, scrivi qualche libro decente sotto pseudonimo, poi sei forse pronto a spendere il tuo nome, o almeno ti senti che o la va o la spacca.
Nessun miraggio, al limite attesa e lavoro.
Questi ragazzi rischiano sulla loro pelle un’attenzione che può anche travolgerli. Da una parte editori che li lanciano come prodigi, dall’altra il lettore scettico che non crede agli ufo, soprattutto dopo *non* averli visti nei testi proposti. Magari testi che meritavano la pubblicazione, ma non l’enfatizzazione. Che fa male a loro, in prospettiva nnon solo umorale.
E allora è inutile parlare di prospettive non troppo esaltanti del mercato: non c’è prospettiva esaltante nemmeno nella ricerca scientifica, figuriamoci qui dalle nostre parti…
Lavorare sodo e intanto crescere come individuo e maturare un’identità professionale: questo si chiede a un autore giovane, oltre alla palese richiesta di avere una o più storie da raccontare.
Lasciarli lavorare (offrire loro un cursus, non un singolo da hit parade) è vostra precisa responsabilità e missione, come editor e come case editrici.
O forse mi sbaglio?
Nessuna polemica, anche se i toni sembrerebbero suggerirla. Anzi, sempre più felice che questo argomento sia nato proprio qui, dove di cultura pop si parla eccome.
@WM1
“C’è gente sprofondata nelle miniere o inchiavardata in fabbrichette di merda che si bacerebbe i gomiti per avere anche solo un pizzico di tempo liberato, ogni tanto pensiamo a loro e vediamo di non sperperare quello che abbiamo in grazia.”
Mi dispiace che l’argomento fantasy non ti interessi, WM1. Prendila come una discussione sui generi, se la cosa la trovi più stuzzicante. Se arrivasse una generazione (è arrivata, ma non Italia) di giovani autori goth horror che vengono sparati nel mucchio?
In sostanza, prendo le difese di gamberi fantasy. Si dedicano a quello con passione, al genere fantastico. E non guardano l’anagrafe. Hanno deciso di dedicare il *loro* tempo a *kilometrici* interventi sulla narrativa fantastica, come dalle tue parti si fa per il NIE o Jenkins o altri. Poi voi siete più propositivi sul versante delle frontiere culturali, ma gamberi fantasy propone altrettanto nel loro campo. Cazziando quello che non trovano onesto e ben fatto.
Quindi la storia delle fabbriche e della mancanza di tempo libero, bé… non la tirerei proprio fuori, con tutto rispetto!
Non so come, ma arrivo sempre a contestare amabilmente Mario. Non sono affatto convinta che l’esigenza dell’autobiografismo sia sempre e comunque primaria, nella scrittura. Neanche se chi scrive è giovane o giovanissimo.
Non sono convinta neanche che sia giusto pensare di “vivere di editoria”: mi sembra che occorra distinguere, ancora una volta, fra chi vede nell’editoria una scorciatoia per la celebrità (e non mi pare il caso di scrive fantasy) e chi vuole raccontare una storia.
Insisto sul fatto che il discorso sugli autori minorenni è falsato dall’inizio con l’aver messo insieme, nell’articolo di Grilli, libri “generazionali” e fantasy.
Insisto sul fatto che non necessariamente pubblicare a diciotto anni condizionerà gli sviluppi eventuali e futuri in ambito narrativo.
Quanto al puntiglio del fandom, dico solo che non mi sorprende troppo, e che da entrambe le parti occorrerebbe, forse, una presa d’atto dei meccanismi reciproci.
No, Mario, il paragone è infondato.
Dedicare il proprio tempo a stroncature acri e livide ha ben poco a che vedere con quel che faccio io.
A me non interessa spendere le giornate inoltrandomi in cose che disprezzo, per poter gridare al mondo che le disprezzo. Questo è il comportamento reattivo da “uomini-ventre” di nietzschiana memoria.
Il cecchinaggio degli autori è una pratica troppo facile e banale, una scorciatoia per evitare la critica vera, che invece costa la fatica di gettare sguardi non consueti, stabilire connessioni inattese, allargare i contesti, unire ciò che è diviso e dividere ciò che è unito.
Certo, può capitare di dire che un libro ti fa schifo, e spiegare il perché, ma dedicarsi anima e corpo alla stroncatura è un’altra cosa. L’acribia fanatica e la “vis tetrapilectomica” con cui alcuni si dedicano a tale missione fa pensare che *non si veda l’ora* di trovare un’opera che faccia schifo, e si legga ogni testo con quegli occhiali.
Non ne può che derivare uno sguardo pregiudiziale, che troverà per forza la merda anche dove non c’è, e produrrà una critica tesa alla ricerca di peli nelle uova (come l’obiezione mentecatta sulla birra – per inciso, perchè una birra sia fredda basta conservarla in un sotterraneo dalle mura spesse).
Il passo immediatamente successivo è considerare idiota o sprovveduto chi invece ha letto l’opera con un atteggiamento diverso e magari l’ha apprezzata (in parte o in toto).
A giocare di rimessa e rovesciare rancore su quel che propone il prossimo son buoni tutti. Più difficile è saper criticare e al contempo essere fondativi. Più difficile – perché più umano – è saper criticare, anche duramente, senza mai dimenticare che un’opera, buona o cattiva che sia, può essere costata a chi l’ha scritta impegno, progettualità, fatica, amore. La “cultura del sospetto” che vede in ogni autore un potenziale truffatore da smascherare va nella direzione diametralmente opposta a quella che interessa a me, cioè la lenta e faticosa costruzione di comunità basate su “circoli virtuosi” e rapporti reversibili tra autori e lettori.
Contento di essere contestato, Loredana!
L’autobiografismo come esigenza immanente… certo non lo è raccontare fantasy.
Alcuni autori (autrici, diciamolo) fantasy hanno assurto al ruolo di popstar, seguite da schiere di fan. Forse non era un fenomeno studiato a tavolino come nella musica, ma l’effetto si è verificato.
L’articolo della Grilli fa effettivamente confusione mettendo generazionale e genere accostati, non ho dubbi.
Ed è vero, a qualcuno pubblicare adolescente può far bene: è costretto a vedere il mestiere fin da subito e ha l’occasione di crescere. Ritorno però sull’etica di case editrici e giornalisti: a qualcuno farà bene, per altri significherà abbandono del settore. Con un bel ricordo. So già che contesterai, sempre amabilmente, anche agli adulti. Permettimi di dire che però un quarantenne è minimamente più attrezzato e quasi sempre ha un mestiere. Non un liceale: almeno non il me liceale.
In ultimo, non mi ritengo del fandom, e nemmeno appassionato del genere fantasy. Del fantastico tout court, magari. E dei libri per young adults. Non vedo, almeno nel mio caso, che presa d’atto sia possibile. Ma il fandom è davvero esigentissimo. L’esplosione del reparto fantasy nelle librerie e di fronte agli occhi di tutti. E si origina dal cliente occasionale, non dal fandom.
Capisco, Roberto.
Non era una difesa di gamberi a spada tratta. Dico solo che non fanno solo quello che tu dici. Ci sono buonissimi articoli, quello è soltanto il dessert. Al veleno, molto spesso. Ma parte di un discorso più ampio.
Il paragone che facevo con WM era solo sulla passione. La direzione del vostro operare è sempre stata diversa, l’ho vista, letta, seguita, analizzata, giudicata, a volte accettata a volte no.
Ma non trovo giusto, anche nella più totale differenza di impostazione culturale, osservare:
____“C’è gente sprofondata nelle miniere o inchiavardata in fabbrichette di merda che si bacerebbe i gomiti per avere anche solo un pizzico di tempo liberato, ogni tanto pensiamo a loro e vediamo di non sperperare quello che abbiamo in grazia.”___
perchè allora basta che facciamo due passi nella nostra Bologna per metterci le mani nei (miei) capelli. 🙂
In pratica, ritengo quella di gamberi una forma di cultura o controcultura che ha diritto di esistere e che ascolto volentieri, con tutte le riserve del caso, in atteggiamento non osmotico.
@Signor Ming.
a) Il blog dei Gamberi non è un blog di stroncature. Ci sono 23 recensioni neutre o positive su 55, quasi la metà. Contando che credo sia vera la legge di Sturgeon, stiamo parlando di una percentuale altissima.
b) La critica usata prende a modello quella di Twain a Fenimore Cooper. L’analisi è sul testo, sulla precisione delle parole usate, sul problema che una barca per navigare su un fiume dev’essere meno larga del fiume stesso, sul rimbalzo delle palle di cannone e simili. Capisco che far notare che in una notte d’estate afosa non si possa morire assiderati non è “gettare sguardi non consueti, stabilire connessioni inattese, allargare i contesti, unire ciò che è diviso e dividere ciò che è unito.” ma forse è proprio più facile allargare i contesti che non leggere i testi…
c) Il problema della birra gelida non è nella birra gelida in sé, ma in quello che comporta. Consiglio di leggere “Worlds of Wonder” di David Gerrold, capitolo “To Build a World”, nel quale è illustrato in maniera chiara quanto i singoli particolari dipingano un intero mondo (e quanto perciò per uno scrittore sia importante starci attento).
Secondo alcuni, l’avvento della refrigerazione ha comportato uno dei più profondi cambiamenti sociali nella storia. Servire birra gelida in piena estate non è una fatto insignificante.