OLD MEDIA, TERRORISMO, DILEMMI

Naturalmente i tempi sono lontanissimi e non paragonabili. Eppure, aprendo i giornali prima e internet poi, mi è tornata in mente l’intervista che il 23 marzo 1978 Ugo Stille fece a Marshall McLuhan. Così, ve la ripropongo.
“Pubblicare o non pubblicare i comunicati dei terroristi in un caso di rapimento? Applicare alle notizie sulla loro attività il normale criterio giornalistico o adottare volontariamente regole di “autolimitazione”? Il dilemma è difficile per la presenza di spinte contrastanti: da un lato la sete di informazione del pubblico rischia di alimentare le tentazioni del sensazionalismo, dall’altro lato la necessità di non fare il gioco dei terroristi pone l’interrogativo spinoso di forme sia pure concordate, e non imposte, di censura. A ogni nuovo episodio di terrorismo il quesito torna ad essere dibattuto e le decisioni variano da caso a caso e da Paese a Paese. Pur ammettendo che ci troviamo in una “situazione sperimentale” in cui ogni possibile formula presenta incognite e incertezze, ritengo tuttavia che la situazione più valida e giusta sia di ridurre al minimo la copertura giornalistica, sino a giungere, se necessario, al “black-out”totale delle notizie: proprio perché i terroristi mirano ad usare la stampa e la televisione come “cassa di risonanza” per la loro immagine e per i loro programmi, occorre negargli il raggiungimento di tale obiettivo”.
Con questa decisa affermazione di principio Marahall McLuhan, professore all’università di Toronto in Canada e studioso di fama mondiale nel campo della sociologia dei mezzi di comunicazione di massa, inizia la sua intervista al Corriere della sera. Nel discutere il tema del comportamento della stampa di fronte ai casi di terrorismo, McLuhan cerca di unire la fermezza dei suoi principi con una flessibilità pragmatica nella loro applicazione.
“Bisogna anzitutto rendersi conto che il problema non si pone nel quadro tradizionale del dibattito tra libertà di informazione e censura, ma è di natura diversa. La strategia dei terroristi è a tale riguardo significativa. La stampa viene spesso e da molti parti accusata di manipolare l’opinione pubblica. Quello che i terroristi si propongono adesso è di rovesciare la situazione e di manipolare proprio la stampa. Essi cioè vogliono trasmettere informazioni alla stampa per manipolare attraverso esse la stampa. Quindi la soppressione delle informazioni da parte dei giornali, diviene il mezzo con cui questi, a loro volta, possono “manipolare i manipolatori”. Si tratta a mio modo di vedere di un “braccio di ferro”, di una “guerra di nervi” di due forze che mirano ciascuna a far ceder l’altra”.
Ma subito dopo aver delineato questo schema teorico del problema, McLuhan si affretta a precisare che la sua applicazione non può essere generale e deve tener conto delle “situazioni speciali” particolarmente nei casi in cui è in gioco la vita di un individuo.
“Nella decisione di un giornale in un caso di rapimento il criterio conduttore deve essere la valutazione degli “effetti” che possono derivare dal pubblicare o dal sopprimere determinate informazioni. Ritengo che non sia possibile seguire la regola automatica di pubblicare quello che “fa notizia” e allo stesso modo sarebbe erroneo adottare in modo automatico una regola di soppressione dell’informazione”.
Come risolvere allora il dilemma in concreto? McLuhan risponde con un suggerimento pragmatico: “Occorre che i giornali prendano l’iniziativa di esporre francamente al pubblico la natura stessa del dilemma, che discutano apertamente con i lettori il problema degli “effetti” tanto della pubblicazione che della soppressione delle notizie. Che chiariscano sia i pericoli che una loro decisione può presentare per la vita delle vittime di un rapimento, sia i vantaggi che i terroristi mirano ad ottenere attraverso la pubblicità data alle loro imprese a alle loro dichiarazioni: sono i giornali quindi che debbono in sostanza chiedere al pubblico di soppesare i vari elementi della situazione e di esprimere il proprio giudizio sulla strategia che la stampa deve seguire”.
Ma a questa prima proposta di un “dibattito popolare” McLuhan ne fa seguire subito una seconda, radicalmente diversa: reagire a un episodio di terrorismo con la decisione di sospendere per un breve periodo di tempo tutte le trasmissioni radio e della Tv. Alla obiezione naturale: “Ma non sarebbe ciò fornire ai terroristi il massimo riconoscimento del loro potere sulla società?”. McLuhan risponde: “Mi rendo conto che questo costituirebbe uno choc, ma credo che sarebbe uno choc positivo e benefico. Si tratta di fare un esperimento in modo da studiarne gli effetti che oggi nessuno è in grado di prevedere”.
Alla base della singolare proposta di McLuhan si trova una delle tesi molto note dello studioso canadese: i mezzi elettronici di comunicazione e in primo luogo la Tv creano nella società un “clima irreale” in cui il terrorismo trova motivi di spinta e per combatterli occorre “restituire alla gente il senso della realtà”. McLuhan sviluppa un concetto analogo dell’analisi generale del terrorismo: tende a sottolinearne il “nesso traumatico” con la rivoluzione tecnologica nel campo delle comunicazioni di massa. Questa rivoluzione, egli sostiene, altera radicalmente la realtà tradizionale, mette in pericolo il “senso di identità” degli individui. Di qui il ricorso alla violenza che McLuhan definisce “ricerca inconscia di una nuova identità”. McLuhan ritiene che il linguaggio ideologico dei terroristi rappresenti in effetti una facciata artificiale (anche se a livello inconscio) che nasconde il loro obiettivo fondamentale: questo obiettivo non è la modifica della realtà esterna sul piano politico e sociale, bensì la “ricerca di un’immagine di se stessi”.

3 pensieri su “OLD MEDIA, TERRORISMO, DILEMMI

  1. A costo di apparire banale, mi trovo moltissimo d’accordissimo con McLuhan.
    Su molti episodi il silenzio stampa, ed il vuoto pneumatico televisivo, avrebbero prodotto risultati senz’altro migliori della notizia divulgata.
    Vermicino ha insegnato, ma non troppo bene evidentemente…
    E’ come per i troll. Se li nutri crescono e si moltiplicano, ma ignorandoli dopo un po’ si placano.
    Certo il terrorismo non è questione così semplice e semplificabile; eppure non vedo come si possa risolvere la questione tramite i media. Il pubblico si è fatto un’idea più precisa del terrorismo dopo tutte queste immagini e questi video? O conosce più approfonditamente la questione?
    Non mi pare. Per niente. Anzi.

  2. In linea di principio mi trovo d’accordo anch’io. Ma quella di McLuhan è un’idea che faceva fatica a trovare applicazione già nel 1978, figuriamoci oggi, coi social media! E questo evidentemente i terroristi lo sanno molto bene. E in particolare sanno come provocare quella crisi del “senso di identità” degli individui, e non a livello inconscio, ma pienamente consapevole. E’ proprio attraverso il meccanismo di immedesimazione con la vittima di volta in volta designata che i video dell’IS stanno trovando spontaneamente il loro pubblico. Non si tratta neanche più di interrogarsi sull’opportunità di un silenzio mediatico, la diffusione del messaggio è ormai comunque inevitabile.

  3. C’è da dire che, ad esempio in Italia, negli anni ’70 un programma televisivo su rai1 faceva venti milioni di ascolto (cioè praticamente tutta Italia) in una sola serata.
    Però, giustamente, la viralità ha la sua potenza e soprattutto la sua resistenza…

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