Nella rubrica Internet club uscita sabato su Repubblica ho parlato, fra l’altro, di quanto riferisce il Wall Street Journal. Ovvero, di un necrologio lungo diciannove anni: è quello della slush pile, ovvero quei manoscritti “non sollecitati” e inviati direttamente dagli autori o da un agente sconosciuto all’editore. Secondo Katherine Rosman del Wall Street Journal, risale al 1991 l’ultima volta che un editor della Random House pescò un testo dalla sua pila. Era Carpool di Mary Cahill, e divenne un best-seller. Oggi, scrive Rosman, Random House e le altre major non accettano più manoscritti “non sollecitati”: se il sollecito non c’è stato, dicono, c’è una buona ragione. Dunque gli editori americani respingono quei testi che non siano sottoposti da un agente: ma trovare un agente è difficile, e anche se l’esordiente riesce a farsi rappresentare capita spesso che il suo libro venga letto da un manager piuttosto che da un editor. Non tutti hanno la fortuna di Stephenie Meyer che, nel 2003, mandò una lettera all’agenzia Writers House chiedendo se qualcuno era interessato a dare un’occhiata a un manoscritto di 130.000 battute. Per puro caso, le rispose un’assistente ignara della regola dell’agenzia: i romanzi per young adult dovevano essere rigorosamente contenuti fra le 40.000 e le 60.000 battute. A proposito, e il Web? “Il web – scrive Rosman – viene spesso considerato dai cacciatori di talenti come una palude non navigabile”.
E in Italia? Chiacchierando, in questi giorni, con alcuni amici scrittori, va a confermarsi una sensazione che serpeggia da mesi, e di cui avevo parlato in più occasioni a Fahrenheit. Ovvero, che i grandi editori non hanno più alcun interesse a puntare a lungo sugli esordienti, a meno che, al primo libro, l’esordiente medesimo non ottenga subito vendite a quattro zeri. Che male c’è? dirà qualcuno: una casa editrice è un’azienda e non un ente benefico. Verissimo (forse). Ma se questa logica fosse stata adottata anche solo dieci anni fa, molti degli attuali scrittori quaranta-cinquantenni avrebbero pubblicato un solo libro, senza che fosse stata data loro la possibilità di crescere e, infine, raggiungere anche i famosi quattro zeri.
Dunque? Dunque, il ruolo più importante sarà affidato agli editori medi e piccoli: i grandissimi, temo, non concederanno facilmente seconde possibilità a coloro che non entrano in classifica, e il rischio di innescare un circolo vizioso è evidente.
Poi, certo, voglio sbagliarmi.
Il solito problema dell’imprenditoria culturale in Italia. Si investe sugli investimenti sicuri, disconoscendo cioè il concetto stesso di investimento il quale ha dentro una percentuale di rischio. La percentuale di rischio è quella che può procurare il flop, ma se individua la possibilità della creazione di un bisogno, fa procurare lauti guadagni: inventa cioè fette di mercato.
Noi non inventiamo più niente. Nella narrativa poi si va a caccia di soggetti vendibili per il loro ruolo sociale: ingaggi che ricordano un po’ le selezioni del grande fratello. “‘L’Ebreo Cattivello” “La Femminuccia Zozzona” e via così, per false originalità e cliche garantiti. E’ anche questo il modo con cui eventualmente si decide di esplorare il web. ofare libri tratti da blog: si constata che certi blog sono molto visitati, la scrittura è gradevole, ma soprattutto l’oggetto umano è sussumibile dal meccanismo pubblicitario.
Brutta brutta brutta questione. Brutta perché dalle notizie che ho da miei amici scrittori le case editrici stanno puntando sempre più su libri che non costringano i “clienti” a spremere troppo le meningi, che abbiano un contenuto politically correct, che siano insomma tanti piccoli Twilight. Trovo a dir poco aberrante che si punti alla mera banalizzazione, alla semplificazione a tutti i costi.
Ma mi domando un libro non dovrebbe dare la misura della complessità del mondo in cui viviamo? Non dovrebbe in qualche modo a fine lettura averci cambiati perché ci ha fatto usare il cervello? Se invece (come purtroppo accade troppo spesso) un testo si limita ad emozionarci dopo averlo letto dopo due minuti esatti la sua utilità è terminata. Questa tendenza editoriale è un’aberrazione del ruolo originario di un editore.
Ah! Ti sei ispirata al mio post:
http://lucioangelini.splinder.com/post/22051231/COME+PRESENTARSI+A+UN+EDITORE
Hai ragione, la situazione non è certo delle più rosee e gli editori medi e piccoli potrebbe migliorla ma non ne sono convinto. Se le case editrici più grandi sono aziende anche le piccole lo sono, seppure in versione ridotta e devono anche loro far quadrare i conti e per farlo sembra che anche loro siano alla ricerca dell’autore che diventi un caso. Senza dimenticare spesso le difficoltà della distribuzione. In alcune librerie questi libri sono totalmente assenti, in quelle grandi spesso sono lontani dagli occhi dei possibili lettori. A meno che non siano dei casi, di vario genere. E spesso non certo per la loro qualità letteraria.
Poi che dire dei manoscritti: purtroppo lo spedire un manoscritto ad una casa editrice se non sei nessuno, se non ti sei fatto notare in qualche modo, non porta a nulla. E non tutti magari, per indole caratteriale o per scelta, sono disposti a tutta una serie di trafile, compreso lo stare su internet.
PS: oltretutto il problema ulteriore che solleva loredana dei numeri fa sì che per raggiungere quelli si spingano gli autori a semplificare oltre il limite dello stravolgimento le loro opere.
PPS: e taciamo sul digitale per carità cristiana
Solita questione. Da una parte l’esigenza economico-aziendale e dall’altra l’esigenza culturale. Difficilmente le due necessità confluiscono in una sintesi. Le grandi case editrici non fanno una politica che punti a tirar fuori la qualità. Per forza di cose occorre affidarsi alle picolle e medie, che non potendo competere con le grandi debbono cercare nicchie di mercato. In parte lo Stato, ma soprattutto la televisione/radio pubbica potrebbe giocare un ruolo determinante nel far emergere il meglio della letteratura. Per questo sono favorevole alla soluzione di uno, al massimo due canali tevisivi ed un canale radio finanziati quasi per intero dal canone. Ciò migliorerebbe l’informazione e garantirebbe un maggiore spazio alla formazione ed alla cultura. In televisione ed in radio non può un manager disquisire sull’opera letteraria, dovrà, necessariamente lasciare lo spazio a coloro che possono cogliere gli elementi artistici di una proposta. Non credo che ci siano altri significativi rimedi alla problematica posta. Troppi libri promozionati alla grande sono mediocri. Il circuito editoriale è fortemente viziato dal “capitale” e da una sorta di “associazione a deliquere letteraria salottiera”. Di certo, contribuire a far cresere il numero dei lettori è un modo per ridurre lo strangolamento della qualità a cui assistiamo quotidianamente.
“Ma se questa logica fosse stata adottata anche solo dieci anni fa, molti degli attuali scrittori quaranta-cinquantenni avrebbero pubblicato un solo libro, senza che fosse stata data loro la possibilità di crescere e, infine, raggiungere anche i famosi quattro zeri.”
Verissimo.
Il problema c’è anche nelle traduzioni. Se viene tradotto un libro di un autore che non fa un botto/boato di vendite e declamazioni cartacee e televisive, i lavori successivi difficilmente verranno tradotti. Idem forse per le riproposizioni in versione tascabile: per esempio io sto aspettando la versione economico tascabile del Mark Danielewski con Casa di Foglie, magari non arriverà mai. http://www.ibs.it/code/9788804526940/danielewski-mark-z-/casa-foglie.html
“Dunque? Dunque, il ruolo più importante sarà affidato agli editori medi e piccoli: i grandissimi, temo, non concederanno facilmente seconde possibilità a coloro che non entrano in classifica, e il rischio di innescare un circolo vizioso è evidente. Poi, certo, voglio sbagliarmi”
Concordo, secondo me però la tendenza è quella di seguire i Grandi editori, soprattutto in questo periodo di alta marea.
L’unica soluzione sarebbe che soprattutto i grandi editori che hanno più possibilità economiche (forse) diversificassero.
Il pezzo è interessante – e vagamente inquietante (dal 1991, caspita!). Ma per quello che posso riferire per esperienza personale, diuturna, in Italia non è, ancora, così. I manoscritti – seppure con tempi spesso lunghissimi e magari non con tutta l’attenzione che meriterebbero – vengono letti. Anche quelli degli aspiranti (aspiranti, ché questo sono) che li mandano nel vuoto. Lo so perché leggerli – per alcune case editrici e per agenzie letterarie – è quello che faccio ogni giorno da tre anni, di mestiere.
Poi, che invece non si investa sugli esordienti, seguendoli nella loro crescita è un discorso diverso – e devo ammettere di avere anche in questo campo una certa esperienza.
Ma su una cosa vorrei mettere a fuoco il discorso: l’omologazione dei testi non è – non solo – frutto delle scelte delle case editrici. E’, spesso, a monte, nei testi di coloro che li mandano alle case editrici. Gli aspiranti in primis seguono modelli scontati, spesso mal digeriti, inseguendo mode effimere (queste sì montate, in parte, dall’industria culturale). Non avete idea di quanti thriller complottistici con sette segrete ho dovuto digerire in questi anni! (risentiamo ancora dell’effetto Dan Brown). E la scrittura è, nella maggior parte dei casi, settata sui modelli più facili, di maggior consumo. Molto, molto raramente capita di imbattersi in qualcosa di davvero originale – non necessariamente bello, eh, o forte o importante.
Forse dovremmo interrogarci anche su cosa, davvero, spinge tante persone (e sono tante) a scrivere. La risposta potrebbe non piacerci.
Bòn, mi sembrava giusto dirlo, senza per forza voler difendere in toto un sistema che presenta – è innegabile – delle storture ma che continuare dipingere come una “associazione a delinquere” non è né produttivo (per il discorso critico) né onesto intellettualmente.
lettore una precisazione è d’obbligo il post si intitola “opera seconda” non cedo sia un caso, non credo si stia parlando di autori che pubblicano il primo libro, ma i successivi. In quel caso l’editrice che interviene per appiattire È un’associazione a delinquere perché rovina al puro scopo di attrarre clienti.
Lettore, giusta la precisazione sulla scrittura. Il punto che mi interessava è però diverso: il rischio di non rischiare, appunto, da parte delle major. Che ormai, in effetti, è qualcosa più di un rischio: basta dare uno sguardo ai libri usciti nell’ultimo trimestre 2009. E anche ora, quando ricevo il romanzo di un esordiente, non riesco a non chiedermi quante copie sarà costretto a vendere per potere avere la seconda chance.
Se questa logica, ripeto, fosse stata applicata negli anni Novanta, non avremmo diversi Premi Strega e Campiello. Pericoloso, no?
@Eleas: è vero, mi sono concentrato sul dato iniziale, su quell’immagine così forte dei manoscritti che si accumulano (per poi finire al macero) dal ’91. e mi sono detto: beh, allora noi siamo messi meglio, visto che so, per certo, che da noi non accade. Da qui sono partito per una riflessione sull’industria editoriale, e sull’editoria, e sul fatto, torno a ripeterlo, che, troppo spesso l’omologazione è già nei testi degli aspiranti. In secondo luogo, io non ritengo l’editoria italiana un’associazione a delinquere. Né in astratto né per la conoscenze di molte persone che vi lavorano. E – sebbene non possa esserne certo – non credo che ci sia qualcuno che pretende che gli autori ammorbidiscano le loro opere seconde. Semmai mi sembra più probabile che non se ne curino – nel momento in cui non le dovessero trovare vendibili (ma forse non è vero neppure questo). Sta’ bene.
lettore fidati lo chiedono. È per quello che dico “a delinquere”, capisco che il termine sia forte, che il dipendente in sè non ha responsabilità (ma poi alla fine finisce che non ne ha mai nessuno), ma ritengo delinquenziale chiedere a un autore di ammorbidire, tagliare e banalizzare per fare cassa.
Sono due discorsi diversi. Io sto parlando di quel che sostiene lettore nelle ultime due righe, ovvero dell’autore che dopo un libro rischia di essere gettato via come un topo morto qualora non raggiunga un tetto che, oggi, è sempre più alto. Ed è esattamente questo che sta avvenendo. Genna, se non ricordo male, parlava di teratomercato già due anni fa. Se fosse stata adottata negli anni Novanta la tendenza a innalzare la soglia del numero di copie che vanno assolutamente vendute per continuare a pubblicare un autore, forse non avremmo lo stesso Genna. Il punto è questo.
Penso che le C.E. dovrebbero pensare che i lettori, sono lettori. E gli scrittori, scrittori. Non “utilizzatori finali” ed “escort”.
Ah bello questo post. Per un esordiente la vita è durissima, e non so se affidarsi alle piccole medie case editrici sarà una soluzione. Io ho avuto la fortuna dopo 3 lunghi anni di trovare una piccola ma onesta casa editrice che mi ha pubblicata senza chiedermi nessun tipo di contributo. Tiratura bassissima (300 copie), e per pubblicarne un altro l’accordo verbale era di riuscire a venderne almeno 50 del primo. Ho trovato l’accordo più che onesto, e se pensate che 300 copie siano vendibilissime beh vi sbagliate. Il distributore è conosciuto, ma gli è più facile piazzare Dan Brown e Fabio Volo piuttosto che la sottoscritta, perciò nella mia città non ho visto nemmeno una copia. Allora mi sono mossa personalmente e qualche cosa dovrei riuscire a ottenere. Più facile fare presentazioni. Comunque le piccole case editrici investiranno anche nei giovani sconosciuti, ma se i giovani sconosciuti non vendono l’editrice chiude bottega e tanti saluti ai nuovi nomi dell’editoria italiana esordiente.
E si torna al punto di partenza: quale soluzione per l’avvenire? quale speranza per le nuove reclute? Per ora esistono le piccole e medie case editrici, ma per quanto ancora sopravviveranno? Nel marceto vige la legge della giungla: sopravvive il più forte. Staremo a vedere.
Sarà che non capisco niente di economia aziendale però mi chiedo: perché i piccoli editori rischiano e quelli grandi no? In fondo i grandi editori dovrebbero avere più margini per rifarsi delle perdite.
@Eleas: mi dispiace ma no, non mi fido. Messa così – fidati che lo fanno – non significa niente. O fai degli esempi di autori costretti ad ammorbidirsi per pubblicare il secondo romanzo oppure la tua accusa è troppo generica. Potrebbe essere accaduto come no. E, visto che accusi, l’onere della prova è tuo. Sia detto senza – davvero – polemica.
@Lipperini: credo che sia vero quello che dici. Ma è anche vero che voci all’opera seconda – Murgia, Falco, Pierantozzi per dire i primi – ci sono ancora – e non tutti omologati, mi sembra.
Quello che capita spesso, da quel che posso vedere, è che gli autori prendano una “china discendente” e da editori grandi e mediograndi, passino, via via, ad editori minori. C’è una soluzione? Forse una maggiore coscienza dal basso – per esempio dimostrandosi fedeli e seguendo certi autori anche quando sono più difficili da reperire. E sforzarci, noi per primi, di foraggiare – non solo con gli acquisti ma anche con l’attenzione e la visibilità – l’editoria di nicchia e ricerca (che non è quella piccola in toto.)
@lettore pazienza 😉 Ero certo della risposta. Concordo con te però nel dire che i lettori dovrebbero essere soggetti attivi e non meramente passivi in questa vicenda.
@loredana: ho l’impressione che il concetto stesso di imprenditoria sia andato a ramengo, non è che di due giorni fa la segnalazione da parte del blog di falconi che metteva in guardia gli esordienti da case editrici A PAGAMENTO. Il problema è che la sensazione generale che si ha osservando lo scenario è di puro conservatorismo imprenditoriale. Che è una contraddizione in termini in quanto l’imprenditore dovrebbe amare la sfida.
Lavoro su due fronti: agente letterario part time e traduttrice, e posso confermare che la sensazione del libro-merce e autore-merce è preponderante: L’indifferenza e la diffidenza sono dolorosamente presenti nel lavoro quotidiano. Ho incontrato ben pochi editori realmente interessati alla qualità letteraria, la valutazione di un manoscritto (ha ragione Loredana, viene preso in considerazione solo se avallato dalla presentazione di un agente con relativa scheda di facile digestione) si basa sulla forza commerciale sia dell’opera che dell’autore. Cala, anzi scompare, l’attenzione anche nei confronti dell’autore straniero tradotto e lodato dalla critica, se non produce importanti risultati economici. Salvo rari esempi non esiste più lungimiranza, neppure l’ambizione di un bel catalogo.
Il discorso del bel catalogo è fondamentale, Andrea.
Lettore: i nomi che tu citi, se fossero stati pubblicati lo scorso anno, non avrebbero avuto la seconda chance. Non dopo che l’imperativo categorico per fronteggiare una crisi pesante (molto più pesante di quel che viene detto) è: vendere, e tanto.
Mirco: i piccoli editori hanno anche meno spese, però. A me sembrano davvero gli unici, insieme ai medi e medio-grandi (anche quelli confluiti in Gems, per esempio), che possano sottrarsi all’asfissia.
@eleas: Sì, ma purtroppo siamo a primi a non porci nella maniera giusta con l’editoria. Comunque, avrai le tue ragioni per affermare quello che affermi – io sono solo contrario alle generalizzazioni. 🙂
@lipperini: sembri essere molto sicura di quello che dici. Io non ho la stessa impressione (ma la mia è, appunto, un’impressione).
Lo sono 🙂
Poi, ripeto, voglio essere smentita: dai fatti, però.
loredana però (e qui chiedo) sembra che la reazione delle editrici per come la descrivi (intendo la relazione con la crisi) sia più devastante rispetto alle premesse da cui sei partita: e cioè non sia dettata dal voler vendere per vendere perché non siamo onlus, ma vendere per salvarsi le chiappe. Forse è pure peggio per certi aspetti.
Eleas, nel momento in cui alcune grandi case editrici mandano in libreria tutti gli autori di punta, e tutti insieme, nel giro di due mesi, la strategia mi sembra evidente. La crisi c’è e colpisce tutti, giornali e libri, e nonostante i dinieghi. Se c’è stato un piccolo rialzo nei dati 2009 si deve – per ammissione Aie – a Twilight, e non scherzo.
A questo punto, a meno di inversioni di tendenza, le major devono andare sul sicuro. E’ realistico, anche se desolante.
Io non me ne intendo molto di strategie editoriali, e nemmeno di funzionamento delle tipografie, per questo faccio una domanda: una possibile soluzione per coniugare necessità di guadagnare e tutelare gli autori esordienti non può essere puntare sulla vendita tramite internet e adottare un sistema tipo quello di lulu (e cioè stampare solo le copie prenotate dagli acquirenti)? E se no, quali sono i fattori che lo ostacolano?
“chiedere a un autore di ammorbidire, tagliare e banalizzare per fare cassa”
a volte l’autore lo fa già da solo senza accorgersene 🙂
Skeight, ma per questo l’autore non ha bisogno dell’editore, suppongo: e comunque immagino che una questione del genere si porrà fra non molto, in ambito ebook…
@will: ecco, la tua ipotesi mi sembra più credibile e vicina alla realtà
No, la questione dell’on demand con gli ebook non si porrà proprio più. Dobbiamo solo sperare che si produca l’effetto virtuoso descritto come “coda lunga” da Anderson. Speriamo. E magari attiviamoci per digitalizzare quanti più libri importanti e che rischiano di scomparire (o già scomparsi) possiamo.
Mettiamola così: malgrado tutti i discorsi speranzosi sul radioso futuro che la Rete prepara per l’umanità in generale ed i consumatori in particolari, futuro nel quale non ci sarà posto per antiquati gatekeeper come editori, majors, studios, giornali, media tradizionali in genere, ebbene malgrado tutto ADESSO troviamo da ridire sulla mancanza di coraggio degli editori nel sostenere giovani scrittori che non rendono immediatamente.
Una specie di ‘coraggio, fatti ammazzare!’
Si ammette il momento difficile dell’editoria e si invitano gli editori a farvi fronte con ‘coraggio’, magari passando decisamente al digitale – e qui la mente ritorna alla decisione di abbandonare il vinile per passare al CD che tanto bene ha fatto all’industria discografica…
Ma lo stesso coraggio si potrebbe chiedere agli autori: rinunciate all’idea di far soldi scrivendo, fatelo solo per la gloria (continuando il vostro lavoro da McDonald o in banca) e regalatevi online…
E il coraggio dei lettori: basta pappa pronta, basta classifiche, basta best seller, fidatevi del passa parola e buttatevi nel mare di infinite offerte gratuite – qualcosa di buono spunterà fuori, ogni tanto…
Tutto l’ethos della rete punta alla scomparsa degli intermediari in tutti i campi, fra i quali quello artistico: niente intermediari fra artista e pubblico. Il gatekeeper è, di per se’, un male: un tempo un male necessario, forse, ma ora c’è la possibilità di farlo finalmente sparire.
Ora si comincia a notare l’altra faccia della faccenda, quella oscura, ma probabilmente è troppo tardi per farci alcunchè: l’incredibile opportunità di poter raggiungere tutti instantaneamente si paga con la scomparsa della possibilità di poter vivere della propria arte (un musicista può suonare dal vivo: per lo scrittore le possibilità sono più limitate)…
P.s. Alcuni dei commenti precedenti mostrano un caratteristico difetto italiano. Nell’articolo ci viene detto che negli Usa gli editori non leggono più i manoscritti non sollecitati mentre in Italia gli editori non sostengono gli autori giovani al secondo romanzo (ma, ovviamente, provano col primo): insomma, due reazioni alla crisi forse simili ma tutt’altro che identiche, con la reazione americana tutto sommato più pavida di quella italiana. Eppure alcuni danno per scontato che si tratti di un problema solo italiano, anzi ‘solito’ o ‘tipico’… Mi capita di notare che qualsiasi discorso di ambito più generale in Italia viene sempre ridotto a dimensioni italiane (l’esempio classico: la crisi dei giornali negli Usa e nel resto del mondo? Soluzione: abolire l’ordine dei giornalisti e i finanziamenti ai giornali – che per quel che ne so esistono in Italia ma non negli Usa o altrove…)
@giulia: chi è,ti chiedo, il piccolo editore che ti ha pubblicato senza chiedere un contributo? La situazione delle major è quella descritta un po’ da tutti,invece la quasi (!) totalità dei piccoli e medi editori chiede un contributo. Soprattutto se si tratta di poesia,la grande rimossa da ogni luogo e/o classifica ( chi l’ha vista?).
E questo anche a fronte di testi che vengono riconosciuti( da persone competenti nel campo specifico) interessanti e innovativi.
Un medio editore(molto conosciuto) mi ha richiesto: mille euro per comprare un centinaio di copie più altri mille a fondo perso (!?). Tant’è!!!
@sascha: la tua analisi mi sembra perfettamente condivisibile. In effetti, però, non è che possiamo farci molto – difficile contrastare le evoluzioni tecnologiche (e non stiamo qui a valutare quanto vengano “spinte” – vedi interesse spasmodico per il tablet di Apple prima ancora che esca). Per altro, essendo, di mio un gatekeeper (uno dei primi, un mostro di primo livello, diciamo) la cosa mi tocca anche parecchio. Che fare? Forse, e dico forse, l’unica soluzione è evolverci, noi “custodi” dico, e da guardiani, trasformarci in cartografi, mentori, bussole che possano aiutare e indirizzare la scelta nel magma dell’eccesso di offerta. E, altra cosa che invece dovremmo fare noi lettori attenti in generale è comprarci uno scanner e digitalizzare libri importanti che rischiano di fare la fine di certi testi latini e greci che non hanno superato il passaggio dal volumen al liber (una vecchia rivoluzione tecnologica dimenticata). Tipo, chessò, i romanzi italiani del ‘900, quelli che non legge più nessuno. Io mi candido a tramandare Luce D’Eramo. Chi altri si fa avanti?
A proposito di editori che si fanno pagare dagli autori nessuno ricorda la Garamond S.p.a. del ‘Pendolo di Foucault’?
E l’Eco nel 1988 non inventava mica, si limitava a usare a scopi comici una realtà che esisteva da decenni.
Secoli, se pensiamo agli editori-librai delle Illusioni Perdute…
Clara: è Tabula FAti, non l’ho scritto perchè non so se si può. Comunque zero euro di tasca mia e 10 copie omaggio per contratto senza nessun obbligo di acquisto copie…non mi è costato niente di niente. Per carità non è un contratto con Mondadori ma è più che onesto considerando il contesto, secondo me.
@clara: dimenticavo una cosa però: il libro mi è stato pubblicato in dicembre ma l’avevo scritto da almeno due anni…l’attesa è stata lunga e prima di avere questa possibilità ho ricevuto molte ma molte proposte “indecenti” simili alla tua (ma anche peggio).
Considera anche che a volte gli editori partono sparando che vogliono un contributo (così mi ha detto la mia editor) ma si può trattare fino a far loro calare le braghe, a volte. Io sono stata fortunata e la proposta è stata subito quella definitiva.
La cosa che mi preme anche precisare è che è stata la casa editrice a contattare me, e non il contrario. Questo è il potere di internet: l’avevano letto in rete, e mi hanno trovata su facebook! Pensa te…
Con tutta la simpatia, Giulia, non amo l’autopromozione: neanche quella a cui si accede cliccando sulla firma.
Ovviamente, si stava cercando di fare un discorso generale senza scivolare nei personalismi: e di capire cosa avverrà nel panorama nazionale.
Giusto, chiedo scusa e tolgo subito il link.
Allora senza personalismi mi riallaccio all’ultima frase del post: se i grandissimi non concederanno la seconda opera a chi non esordisce con vendite da capogiro, come ci si può oggettivamente aspettare che le piccole e medie facciano diversamente? DA questo punti di vista io sono poco fiduciosa, dato che sì, avranno anche meno spese, ma scommetto che hanno molti più “resi”, che sommati alle copie omaggio che in Italia sono un obbligo fanno un bel peso sul groppone.
Inoltre sì, forse le nuove tecnologie consentiranno una certa rivoluzione in ambito editoriale, ma quanto ancora dovremmo attendere prima che tale rivoluzione si estenda alla lingua italiana? Mi pare che già ora per sfruttare al meglio un kindle sia necessario avere una buona conoscenza dell’inglese perchè la quantità di libri italiani o in italiano disponibili nel formato sia poco soddisfacente.
giulia: piratati a parte il formato elettronico in Italia è un x che tende a zero per dirla matematicamente
La Lipperini non ama l’autopromozione, infatti in alto a destra c’è la copertina del suo libro.
Loredana Lipperini non ama l’autopromozione, infatti in alto a destra c’è la copertina del suo libro.
@ Will (temo di essere OT ma spero sia comunque segnalazione utile, in caso contrario mi scuso per l’invadenza).
Per House of Leaves, a mio avviso esempio significativo di letteratura fantastica di buon livello, potresti tentare alcune vie alternative rispetto all’attesa del tascabile italiano, che potrebbe risultare lunga e vana.
1) Puoi tentare nelle biblioteche, che spesso purtroppo vengono sottovalutate.
Io l’ho trovato nel circuito bibliotecario Milano Est (http://www.bibliomilanoest.it): coi prestiti inter-biblioteche, se non abiti in posti poco coperti potresti avere fortuna.
2) Se leggi abitualmente in inglese lo trovi in vari negozi online a circa 9 dollari, ovvero poco più di 6 euro. Non metto link in quanto non vorrei fare pubblicità, eventualmente posso fornirti i collegamenti in privato.
3) Non ho idea di quel che tu pensi del formato digitale e/o delle copie gratuite che circolano in Rete, ma non mi costa nulla segnalarti che esistono varie versioni (sai che il romanzo è uscito in diverse edizioni e “colori”), fra cui un pdf pregevole da più di 80 mega su gigapedia (di nuovo non metto link in quanto non conosco con precisione le regole di posting qui, ti sarà facile approfondire se interessato).
Saluti!
è da diversi anni che il mercato italiano del libro sta vivendo la sua fase “storica” di ristrutturazione in senso di concentrazione: gruppi grandi tendono a divenire sempre più grandi e intervenire in tutta la filiera (vedi il recente acquisto del distributore PDE da parte dell’editore/libraio Feltrinelli). Sono sempre diversi anni che lo scenario che ci prospettiamo di fronte è la conseguente sofferenza degli editori piccoli e medi a trovare posto e ruolo in questo scacchiere sempre meno capace e sempre meno avvezzo al rischio: più si andrà sul sicuro per l’agire dei grandi gruppi editoriali che vorranno solo libri di sicura vendita, meno scommesse vedremo sul tappeto verde. Mi spiego: faccio sempre più fatica a capire quale potrà essere tra qualche anno il ruolo di editori lungimiranti come ad esempio E/O, schiacciati tra i possenti attori di mercato che, nel frattempo, saranno diventati ancora più possenti di oggi. Finiranno per fare il serbatoio delle major? Finiranno per vendere la loro autonomia alla sicurezza di entrare a far parte di un grande gruppo, vendendo se stessi? Perché non credo neppure che basteranno i successi stratosferici come “L’eleganza del riccio” per garantire la loro autonomia sul mercato: anzi, li renderà sempre più appetibili come bocconi, come know-how da mettere al servizio dei grandi numeri. E le conseguenze, lungi dall’esser chiare, saranno tutte da valutare: d’altronde proprio nello specifico di E/O, escluso Carlotto, non ci sono scrittori italiani cresciuti nella loro scuderia…
OT
@elvezio: grazie mille, grazie, devo dire che l’ho letto solo un paio d’anni fa la prima volta e proprio grazie al sistema interbibliotecario.
sulla 3) mi informo.
saluti a te e grazie!
@lettore: e a volte l’autore lo fa già da solo accorgendosene eccome
Elvezio, pubblica tranquillamente i link: grazie, anzi.
Desian: certamente il rischio per gli editori medi è e sarà quello di fare da serbatoio. Però potrebbe essere, alla luce di quel che sta accadendo, un rischio che si trasforma in vantaggio. Stiamo a vedere.
Grazie.
Allora, su Amazon, presso uno dei negozi affiliati, si trova House of Leaves in paperback a 8,37 dollari (http://www.amazon.com/House-Leaves-Mark-Z-Danielewski/dp/0375703764 bisogna scegliere l’opzione Show more formats nell’apposita casella).
Invece Gigapedia (http://gigapedia.com) mette a disposizione tonnellate di testi (con uno occhio di riguardo verso saggi e manuali tecnici), per trovare House of Leaves (o qualsiasi altro testo) bisogna iscriversi (è gratuito e richiede solo nome e pass), fare login, settare la ricerca nell’apposita casella in alto a sinistra (che di default è su google, attenzione) e immettere il nome dell’autore o del romanzo che si cerca, alle volte occorre sbrigarsi in quanto i pdf corrono il rischio di sparire.
ho trovato il post estremamente interessante ma soprattutto assolutamente calzante con la realtà contro la quale si scontrano i nuovi autori. Se non ti spiace l’ho postato nella home del sito del quale mi occupo e che tratta appunto di tale problematica. Una battaglia contro i mulini a vento? Forse, anzi certamente, ma perchè non provarci?
Ciao e grazie
Ls, niente autopromozione qui, grazie.
scusa, giuro assolutamente non era mia intenzione, ho trovato la cosa interessante e volevo avvertire che la riportavo, se possibile rimuovi il post con il collegamento al sito che ho inserito perchè presente nel campo di richiesta.
Chiedo nuovamente scusa.